«Neoliberismo», non basteranno pentimenti teorici

«Neoliberismo», non basteranno pentimenti teorici

 

 

Paolo Favilli*

Il complesso normativo liberista ha come punto di riferimento un complesso teorico.  Siamo portati a pensare che tra tenuta del complesso teorico e tenuta del quadro normativo ci sia una relazione biunivoca, magari non eccessivamente rigida.  Se, però, il quadro di riferimento teorico si dimostra fallimentare nello spiegare i processi economici in corso, come sta avvenendo da tempo, anche il quadro normativo dovrebbe mostrare elementi accentuati di crisi. Invece la stabilità della cornice neoliberista che definisce la nostra realtà economico-politica non mostra alcun segno di cedimento.

Dopo l’apoteosi degli anni Novanta del XX secolo, agli inizi del nuovo, prima con gli scricchiolii delle microcrisi, poi con la grande crisi iniziata nel 2008, la forma neoliberista del «capitalismo reale», diventa di nuovo oggetto primario di studio. Ed anche al di fuori dall’area degli economisti critici, tra economisti di formazione neoclassica cominciano ad emergere ripensamenti e persino abbandoni di alcuni lineamenti teorici.

Esemplare, a proposito, il percorso intellettuale di Joseph Stiglitz. Il Nobel per l’economia nel 2001gli era stato assegnato per studi di sostanziale impianto neoclassico. Nei successivi 11 anni egli scrive tre libri nei quali prende progressivamente forma il suo distacco dalla «legge propria» neoliberista che impedisce quella civilizzazione del capitalismo da lui auspicata. Successivamente (2018) finisce per auspicare la necessita di una «inversione della direzione» rispetto ad un neoliberismo «che si è preso tutto, condividendo niente».

Anche chi trent’anni fa aveva coniugato la «fine della storia» all’affermazione definitiva e naturale di una logica che predispone le società umane al capitalismo neoliberale, dice di trovarsi oggi di fronte ad un «mondo malthusiano premoderno a somma zero, nel quale è la depredazione, non la creazione di nuova ricchezza, a essere la via più semplice alla prosperità» (Fukuyama, Trent’anni dopo, 2018). Addirittura il «Financial Times» ha aperto una discussione su quella che con grande enfasi ha chiamato «The New Agenda». L’oggetto al centro della nuova agenda riguarda nientemeno che questo tema: «Capitalism Time for a Reset» (16 settembre 2019).

A 4 anni di distanza sono scomparsi dall’orizzonte sia il «Reset» che la «New Agenda» ed il neoliberismo continua ad essere la formula politico-economica predominante per la legittimazione economica del capitalismo reale, nonostante le teorie assiomatiche di equilibrio siano ormai  considerate tipiche solo dell’apologetica propria dell’«economia volgare».

Per comprendere un fenomeno di tale rilevanza è necessario invertire l’ottica con cui in genere si affronta il problema: tra il complesso teorico ed il complesso normativo è il secondo che assume la funzione sorrettiva del primo e non viceversa. Bisogna, con Marx, indagare dentro «l’espressione dei rapporti che appunto fanno di una classe la classe dominante» e dunque sui modi in cui si impongono «le idee del suo dominio».

Il neoliberismo è una «razionalità governante», cioè una «attività che consiste nel guidare la condotta degli uomini entro un quadro e mediante degli strumenti statuali» (Foucault Corso al Collège de France (1978-1979, Feltrinelli 2005).

Le critiche sono impossibilitate a scalfire il processo in corso in quanto proprio nella traduzione in norme di legge di quella specifica teoria economica consiste l’asse portante della costruzione neoliberista. L’Europa di Mastricht, ad esempio, è costruita tramite il percorso legificante del trattato europeo di «stabilità» e «governance» (fiscal compact), a proposito, esemplare. Pareggio di bilancio e tagli strutturali alla spesa pubblica ne sono il cuore pulsante.  Si tratta di una «costituzione economica» sul modello che uno dei padri del neoliberismo, Friedrich von Hayek, aveva raccomandato fin dagli anni Venti del Novecento.

Di qui il recentissimo altolà della Corte Costituzionale tedesca al tentativo del Cancelliere Scholtz di forzare i limiti di spesa consentiti da un Fiscal compact che, proprio perché costituzionalizzato, determina rigidamente il quadro delle politiche economiche.

Quali sono state le condizioni che hanno reso possibile la realizzazione di questa «gabbia d’acciaio», con sbarre costruite direttamente dalla giurisdizione statuale? Dalla politica, dunque.

Elemento centrale la scomparsa dell’«antitesi» alla dinamica di moto dell’accumulazione capitalistica, cioè l’evento più rilevante verificatosi nella storia del capitalismo dell’età contemporanea.

La critica vera al neoliberismo passa attraverso culture politiche e pratiche sociali impegnate in  tutte le forme possibili di ricostruzione dell’antitesi. Cioè alla ricostruzione di una politica (la lotta sociale ne è una forma fondamentale) all’altezza della tenuta politica della gabbia d’acciaio.

*da Il Manifesto, 13/12/2023

 


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