
«Siamo al punto di non ritorno»
Pubblicato il 3 lug 2013
di Antonio Sciotto -
Dobbiamo essere messi davvero bene se il ministro dello Sviluppo economico, Flavio Zanonato, dice che l’Italia «è a un punto di non ritorno». Certo la messe di dati piovuta anche negli ultimi giorni non segnala miglioramenti (ad esempio la disoccupazione anche in giugno è inesorabilmente aumentata), ma nonostante questo il governo (fatto salvo Zanonato) cerca in qualche modo di rassicurare, prevedendo una qualche ripresa per fine anno.
Il ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni, ad esempio, ha spiegato di prevedere un trimestre di transizione (cioè luglio, agosto e settembre), appunto verso una ripresa di fine anno (da ottobre in poi): che poi, ricordiamolo, in autunno si accavallano le scadenze per ora rinviate di Imu e Iva, si dovrebbero cominciare a vedere i primi effetti del pagamento dei debiti alle imprese (per ora «fantasma») e magari anche qualche bocciolo di risultato dal tanto decantato «pacchetto lavoro», quello che incentiverebbe a occupare i giovani. Anzi, proprio sui pagamenti dei crediti vantati dalle imprese rispetto alla pubblica amministrazione, il ministro ha promesso sempre ieri «una accelerazione», e inoltre si è detto favorevole «a una riduzionedella pressione fiscale».
Saccomanni ha dunque definitto il trimestre che viene come «prodromico a un consolidamento della ripresa, anche grazie alle misure che sono state prese». «Credo – ha poi aggiunto – che una luce un po’ più positiva la stiamo vedendo in questi giorni».
Se lo dice Saccomanni…. Il bello è che nemmeno i principali protagonisti della supposta «ripresa», e cioè gli industriali, ci credono più di tanto. E anzi, al contrario, ieri hanno replicato in modo parecchio polemico al ministro: «Io stimo moltissimo Saccomanni, ma in effetti la luce non la vedo ancora», ha spiegato il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi.. «Maggio è meglio di aprile, giugno di maggio, ma la produzione industriale a giugno è in calo dell’1,7% su base annua – ha proseguito – Ci stiamo stabilizzando sul fondo e verso fine anno credo che ricominceremo la risalita».
Quanto alla riduzione della pressione fiscale, invocata da tempo da imprese e sindacati, e su cui ieri Saccomanni, seppure iper-genericamente, si è detto favorevole, ha detto la sua anche Squinzi: «Bisogna mettere mano veramente alla legge di delega fiscale – ha commentato il presidente della Confindustria – Il Paese vive una situazione di abuso di diritto fiscale». Di più, i confindustriali chiedono al governo guidato da Enrico Letta un gesto forte: «È questo che deve fare il governo Letta, rischiamo il prossimo anno di avere una risalita dello 0,3% o dello 0,4%, che non risolve i nostri problemi, una disoccupazione al 12% e al 38-40% per i giovani. Per ricreare occupazione vera – ha aggiunto Squinzi – serve una crescita minimo al 2-3%».
Insomma niente pannicelli caldi, e nessuno si sogni di gioire e trionfare – è il messaggio – se dopo l’autunno si registrerà una qualche mini-ripresa: Squinzi dice chiaro che la vera crescita non si misura in decimali, e soprattutto che deve essere accompagnata da una vera risalita dell’occupazione.
Sul tema «ripresa o no» si pronuncia anche Nomisma: «Nell’industria la situazione, grazie all’export, è meno sfavorevole rispetto a pochi mesi fa; restano forti le difficoltà negli altri settori, l’80% dell’economia, che dipendono principalmente dalla domanda interna – dice il capo economista Sergio De Nardis – Ma fino a che non avverrà l’inversione in campo occupazionale, non potremo dire di esserci lasciati alle spalle la crisi».
Dal fronte del Pd, Cesare Damiano sottolinea che «i conti sono in miglioramento: in giugno c’è stato un avanzo di 14 miliardi, superiore di 8 miliardi al dato dell’anno scorso. Il ministro Saccomanni può così affrontare entro l’estate i nodi di Imu e iva. Vogliamo ricordargli però di occuparsi anche delle pensioni: salvaguardare gli esodati esclusi dalla prima platea dei 130 mila garantiti. Introdurre la flessibilità di uscita, che permetta di lasciare il lavoro dai 62 ai 70 anni di età e 35 di contributi;; con penalizzazioni per chi esce prima dei 66 anni».
Il Manifesto – 03.07.13
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