UNA NUOVA LEADERSHIP PER IL POPOLO PALESTINESE

UNA NUOVA LEADERSHIP PER IL POPOLO PALESTINESE

 

Giovanni Bruno*

Premesso che ogni situazione geostorico-politica nonché la fisionomia culturale e ideologica (compresa la dimensione spirituale e religiosa) di ogni popolo ha la sua specificità peculiare, ritengo che nella lotta del popolo palestinese per la propria sopravvivenza, prima ancora che per la libertà e l’indipendenza, sia oggi più che mai necessario individuare una figura che incarni innanzitutto una leadership unitaria e riconosciuta, e conseguentemente la prospettiva di soluzioni politiche praticabili.

Nella lotta per la libertà e l’indipendenza dei popoli, assieme all’organizzazione politica, sono sempre emerse figure che hanno incarnato simbolicamente e politicamente quelle cause: senza voler aprire una dibattito sul ruolo e “la funzione della personalità nella Storia”, mi limito a notare come alcuni personaggi abbiano saputo catalizzare le istanze dei propri popoli su posizioni che hanno acquisito una consistenza di massa e sono divenute patrimonio culturale riconosciuto e riconoscibile anche al di fuori della cerchia puramente identitaria.

Una di queste personalità è senz’altro Nelson Mandela che trasformò l’ANC (African National Congress) in una forza politica capace di aprire contraddizioni tali da diventare il motore propulsivo per la fine del regime razzista dell’apartheid e la nascita di un nuovo Sud Africa (certamente tuttora attraversato da contraddizioni dilanianti, ma formalmente non più fondato sulla segregazione razziale).

Un altro protagonista della lotta per il riconoscimento del diritto a esistere di un popolo, quello kurdo, è Abdullah Ochalan, del PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan) il quale ha saputo elaborare una proposta di società (confederalismo democratico) che ha aggregato settori sociali non attratti dalla rigida impostazione marxista-leninista precedente.

Da questi casi esemplari ne deve scaturire una lezione per tutti coloro che sostengono la causa palestinese: è necessario che si ricostituisca una leadership forte e unitaria, per avviare un nuovo processo di pace in cui i diritti della popolazione palestinese siano finalmente riconosciuti e garantiti. Esiste una figura che deve ambire a ricoprire questo ruolo? Dopo la morte di Arafat, l’uomo che probabilmente può maggiormente incarnare la causa del popolo palestinese è Marwan Barghouti, dal 2001 detenuto nelle carceri israeliane con accuse infondate di terrorismo: rappresentante di Tanzim, l’ala militare di al-Fatah, e protagonista della prima intifada (1987) e della seconda (2000), Barghouti ha il profilo radicale adeguato a restituire credibilità ad una leadership laica del popolo palestinese, dopo la fase sbiadita e declinante di Abu Mazen, che ha fatto dell’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) una struttura sostanzialmente asservita alle direttive israelo-statunitensi, nonostante il riconoscimento nel 2012 dello Stato palestinese come 194° membro dell’ONU.

Barghouti è un leader che può contendere ad Hamas la leadership del popolo palestinese, restituendo non solo fiducia in un processo di pacificazione e di realizzazione dello Stato palestinese, ma anche una prospettiva laica e democratica, ridimensionando la radicalizzazione religiosa che sembra essere l’unica narrazione ad aver assunto credibilità nella Striscia di Gaza, e ora allargandosi anche in Cisgiordania.

Non è un caso che, nonostante le innumerevoli richieste internazionali, e anche da parte israeliana, di scarcerazione, Barghouti resti in carcere, impedendo coì la ricostruzione di un fronte unitario delle forze laiche e democratiche, e sottraendo le formazioni di origine marxista-leninista come il FPLP all’influenza nefasta di Hamas.

Barghouti può essere colui che, ridimensionando la diffusione di Hamas, possa permettere la riapertura di una trattativa per la restituzione di territori occupati e sottratti e la costituzione dello Stato di Palestina accanto allo Stato di Israele: condizione storica riconosciuta dall’ONU, la cui realizzazione potrebbe aprire una nuova fase per un processo confederale finalizzato alla formazione di uno stato unitario, non etnico, aconfessionale, democratico.

L’immediato cessate il fuoco su Gaza, l’apertura di una fase di negoziazione per la restituzione degli insediamenti e dei territori occupati ai palestinesi, la formazione di uno Stato palestinese reale ed il riconoscimento reciproco con Israele: sono obiettivi necessari, che oggi sembrano lontani o addirittura disperatamente irrealizzabili, ma che potrebbero essere favoriti dalla liberazione di Barghouti e dalla restituzione dell’agibilità politica a una nuova leadership unificante, che eserciti quel ruolo carismatico e catalizzatore che potrebbe cambiare le sorti del popolo palestinese e del conflitto israelo-palestinese.

*Segretario PRC-S.E. Pisa

 


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