CILE 1973-2023: NON DIMENTICHIAMO

CILE 1973-2023: NON DIMENTICHIAMO

Pubblichiamo il testo dell’intervento letto da Enrico Calamai alla Festa nazionale di Rifondazione a Bologna durante l’incontro sul cinquantesimo anniversario del golpe in Cile. Enrico Calamai è stato definito lo “Schindler italiano” per aver salvato centinaia di vite in Argentina e Cile.

L’11 settembre 1973 segna un tornante nella storia del mondo occidentale, ponendo brutalmente fine al sogno che sia possibile arrivare al socialismo per via democratica. Ma c’è di più. Il sangue sparso da Pinochet è l’atto fondativo del neoliberismo in cui tuttora viviamo immersi. Le caratteristiche di quest’ultimo le troviamo nei fatti di cui in questi giorni ricordiamo il cinquantenario.
Sono stato inviato in missione a Santiago un anno dopo il golpe, perché il giovane collega in servizio presso l’ambasciata era stato appena dichiarato persona non grata, mentre era tuttora aperto il problema rappresentato dalla presenza dei rifugiati inu ambasciata. Era una situazione di grande tensione che complicava i rapporti già tesi tra Italia e Cile, in quanto la Farnesina temeva un pull factor per cui, quanti più rifugiati accoglieva in Italia, tanti più ne sarebbero entrati, e i cileni mal sopportavano la presenza di rifugiati, che dimostrava che la repressione era ancora scatenata in Cile.

La Santiago che trovo è una città che sembra appena uscita da una guerra, con edifici distrutti e la stessa Moneda che portava ancora visibili i segni del bombardamento ad opera di Pinochet, le strade praticamente prive di traffico con lunghissime file alle fermate d’autobus, un’inflazione galoppante. notizie di vera e propria fame dalle borgate dove si ricorre alla Holla comùn, un calderone in cui ciascuno versa ciò di cui ha disponibilità e poi riceve una porzione, mentre nei ristoranti, quando si esce a cena, è normale che ciascuno si porti a casa ciò che lascia nel piatto.
La mia permanenza presso l’ambasciata a Santiago, mi permette di venire a conoscere le atrocità subite da molti dei rifugiati presenti. Il golpe di Pinochet si caratterizza infatti per la totale spregiudicatezza nel calpestare il complesso delle norme internazionali in materia di diritti umani.

Ciò è strumentale all’imposizione di un sistema politico/economico che più in contrasto con la politica di Unidad popular non avrebbe potuto essere. E’ indispensabile, per imporlo, smantellare partiti politici e sindacati, dare la caccia a qualunque anche ipotetico oppositore e a qualunque forma di dissenso, diffondere un vero e proprio terrore nella vita di tutti i giorni, per fare in modo che si polverizzi la solidarietà fino a quel momento invalsa nella società cilena, per costringere il popolo cileno a dare assoluta priorità alla ricerca e al mantenimento di una qualunque fonte di reddito, a rinunciare alle chimere della politica, a trasformare l’homo politicus dell’Unidad popular nell’homo oeconomicus del neoliberismo. La violenza nei confronti dei più vulnerabili è allora come oggi al centro dell’ideologia neoliberista, ieri i cosiddetti sovversivi che volevano cambiare il Cile, oggi i migranti che con la loro nuda vita rappresentano dei potenziali costi per Governi che non pensano ad altro che alla riduzione della spesa sociale. La martoriata società cilena si arrende obtorto collo alla convinzione che la realtà socio/economica non possa più cambiare, che non ci sia alternativa, come dirà anni dopo la Sig.ra Thatcher.
Contrasta con il caos a Santiago la situazione di relativa libertà in cui si vive, paradossalmente, all’interno dell’ambasciata d’Italia, in cui ci sono circa 200 rifugiati. Sono politici o sindacalisti o militanti con le loro famiglie e si sono organizzati per l’autogestione.

C’è una commissione per ogni aspetto della vita comune: pulizia, attività culturali, scuola, dato che ci sono 40 bambini, cucina, sicurezza, dato che sulla piccola comunità dei rifugiati grava sempre la minaccia di una possibile incursione da parte dei militari, controllo sui nuovi arrivati, ad evitare l’arrivo di provocatori o infiltrati. Ogni commissione è composta da un membro per ogni partito presente in ambasciata. Vi è poi un comitato centrale per il coordinamento delle attività delle diverse commissioni, che elegge il presidente e la cui composizione è proporzionale alla presenza numerica di iscritti ad ogni partito presente in ambasciata. Soprattutto, il comitato centrale segue l’andamento dei rapporti tra Italia e Cile, ben sapendo che entrambi sono spinti a mettersi d’accordo per liberarsi della presenza di rifugiati. Ma sono politici esperti e sono perfettamente in grado di manovrare grazie ai costanti rapporti intrattenuti con i partiti e i giornali e con l’opinione pubblica che nel mondo occidentale seguono con solidarietà l’andamento della situazione dei rifugiati.

È, quella creata presso l’ambasciata d’Italia a Santiago, una struttura da piccola polis greca, che funziona alla perfezione e che permette ai rifugiati di partecipare alla partita in corso sulle loro teste tra i governi italiano e cileno.
Verso la fine dei miei tre mesi di missione, l’impasse prodotta dalla presenza dei rifugiati in ambasciata verrà superata con l’arrivo a Santiago di due funzionari, uno dei servizi e uno della Farnesina, i quali prenderanno direttamente contatto con i militari cileni, malgrado non vi siano formalmente contatti bilaterali, e arriveranno a un gentlemen agreement, in base al quale l’Italia concederà il visto come rifugiati politici a tutti coloro che sono presenti in ambasciata e i cileni concederanno il salvacondotto perché possano lasciare il Paese, ma contemporaneamente da parte italiana si innalzerà il muro di cinta e vi si sovrapporrà la concertina, mentre da parte cilena si assicurerà il controllo di polizia necessario a prevenire qualunque futuro tentativo di avvicinamento per entrare nel recinto dell’ambasciata. In tal modo, i rifugiati potranno partire e l’operazione verrà presentata in Italia come un successo della Farnesina, ma si accompagnerà alla chiusura dell’ultima porta ancora aperta a Santiago per chi è in fuga per la vita.

Enrico Calamai

calamai26


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