intervento del nostro compagno Vincenzo Colaprice, al dibattito ““Struggles and alternatives for a Europe of peace, progress, cooperation”. al Festival do Avante

intervento del nostro compagno Vincenzo Colaprice, al dibattito ““Struggles and alternatives for a Europe of peace, progress, cooperation”. al Festival do Avante

Vincenzo Colaprice*

Care compagni,

Vorrei iniziare questo il mio intervento confessando che è un onore ed un piacere immenso per me poter intervenire in questo dibattito. Per diversi anni ho lavorato come responsabile esteri della nostra organizzazione giovanile e la Festa dell’Avante rappresentava sempre l’occasione per incontrare le decine e decine di delegati internazionali che sono qui, oltre che immergersi in questo splendido spazio di amicizia, solidarietà, lotta e divertimento che è la Festa do Avante. Sono felice di essere cresciuto politicamente anche grazie alla vostra festa, alla forza del PCP. Quindi rappresentare il mio partito in questo dibattito è una splendida occasione.

Ancora una piccola premessa prima di cominciare. Ho studiato per un breve periodo a Lisbona, per cui terrò il mio intervento in portoghese, seppure aiutandomi con questi appunti. Spero siate clementi nel comprendere il mio portoghese nel caso ci fossero domande.

Bene, passiamo al tema del dibattito di oggi. Pace, Europa e attività che stiamo svolgendo nei nostri Paesi.

Come forse saprete l’Italia vive negli ultimi anni processo di indebolimento costante delle forze della sinistra, comunisti compresi. Il nostro paese è stato a lungo un laboratorio del neoliberismo, dove sono state poste le condizioni materiali per l’annientamento del senso critico davanti tutto quello che accade, sul piano nazionale e internazionale.

Credo però che questa guerra abbia aperto uno squarcio nell’indifferenza complessiva degli italiani. Un’indifferenza che si manifesta con una fortissima astensione alle elezioni di qualsiasi livello, generale, regionale e amministrativo. È un’astensione critica, che in realtà rifiuta la classe dirigente che abbiamo al governo e che è diffidente verso le forme organizzate del fare politica.

Quando la guerra tra Russia e Ucraina è cominciata, il nostro Paese è stato uno dei primi a porsi l’elmetto in testa. In quel momento il presidente del consiglio era Mario Draghi, arcinoto in Europa per l’adozione delle peggiori misure neoliberiste. Immediatamente come partito della Rifondazione Comunista, insieme ad altre realtà politiche e sociali, insieme ai sindacati, abbiamo subito lanciato mobilitazioni per la pace. Queste mobilitazioni hanno assunto le forme organizzative dei comitati per la pace dando luogo a mobilitazioni locali e cercando anche il dialogo con le comunità ucraine che risiedono in Italia da decenni.

Non sempre fare questo è stato semplice, ma uno dei primi sondaggi condotti in Italia dopo lo scoppio della guerra ci dimostrava che la stragrande maggioranza della popolazione era contraria alla guerra. Contraria alla guerra ma soprattutto all’invio di armi verso l’Ucraina. Questo è uno snodo fondamentale, poiché questo tema ha permesso di identificarci chiaramente nel dibattito pubblico italiano.

Nei primi mesi successivi allo scoppio della guerra, il nostro Partito è stato capace di ritagliarsi alcuni spazi sui media, i quali hanno comunque cercato di intrappolarci nella solita logica: “se sei contro la guerra, sei amico di Putin, quindi sostieni una dittatura”. Ma alla propaganda liberale con l’elmetto, noi abbiamo risposto una sola cosa: “siamo contro la guerra, perché vogliamo la pace e volere la pace non è desiderare un mondo Disney fatto di arcobaleno, la pace è giustizia sociale, giustizia climatica, è fermare la proliferazione di armi nucleari, è evitare che ogni anno miliardi di euro vengano spesi dai Paesi dell’Unione Europea per sostenere la NATO e i fabbricanti di morte.

Da questo punto di vista possiamo dire che il nostro Paese viene da una lunga storia di pacifismo che parte da posizioni radicali di sinistra. Come sapete, Italia e Portogallo condividono una data, che è il 25 Aprile, giorno in cui entrambi i Paesi si sono liberati della dittatura fascista. Pochi anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, soprattutto dopo la creazione della NATO nel 1949, appariva evidente il rischio che il mondo fosse sull’orlo del conflitto nucleare. Con la creazione della NATO l’Italia e l’Europa occidentale si sono riempite di basi e missili nucleari rivolti verso l’Unione Sovietica. Ebbene, in Italia, gli stessi partigiani che avevano combattuto il fascismo dettero vita al movimento dei partigiani della pace organizzando grandi manifestazioni in tutto il Paese per ricordare agli italiani che il Paese per cui avevano lottato e sofferto per 20 anni non era un Paese asservito agli Stati Uniti, ma un Paese libero e indipendente, imperniato attorno ai valori della pace e della giustizia sociale.

Questa coscienza antifascista e pacifista è sopravvissuta e ogni richiamo alla guerra viene vissuto dai lavoratori come una minaccia concreta. Non a caso nel novembre 2022 siamo riusciti a portare in piazza a Roma circa 100.000 persone per dire no alla guerra e all’invio di armi. La minaccia rappresentata dalla guerra ormai emerge pienamente anche a causa dell’enorme impatto economico che essa sta avendo sulle famiglie e sui consumi. L’inflazione sta inasprendo le disuguaglianze sociali nel nostro Paese mentre i salari restano fermi. Pensate, l’Italia è uno dei pochi Paesi europei dove i salari non crescono da circa 30 anni. Per queste ragioni, in questo contesto di guerra, il nostro Partito sta portando avanti la proposta di istituire finalmente in Italia un salario minimo di almeno 10€ all’ora. Un salario che deve essere applicato immediatamente ai contratti di lavoro. Il dibattito sul salario minimo ha scatenato le reazioni veementi del centrodestra e dei padroni, che temono una sovietizzazione del Paese, e anche una proposta alternativa da parte dell’opposizione del centrosinistra che prevede un salario minimo di 9€ all’ora ma finanziato attraverso tagli ad altre spese. Un dibattito che la dice lunga sulle condizioni politiche che attraversiamo ma anche sugli scenari che questa guerra ha aperto in Italia.

E ancora. Tra il 2022 e l’inizio del 2023 ci siamo mobilitati a Coltano, vicino Pisa in Toscana, dove incredibilmente si sta tentando di utilizzare i fondi europei del Recovery Plan per costruire una base militare. Si dice che questi fondi europei debbano essere utilizzati pensando alle generazioni future, per la riconversione ecologica. Quale futuro verde si può immaginare se miliardi di euro sono impiegati per costruire una base militare? L’Italia è uno degli scenari militari più avanzati per gli Stati Uniti e con la presenza del governo neofascista di Giorgia Meloni la subalternità italiana agli Stati Uniti è conclamata.

E credo sia fondamentale parlare delle relazioni che intercorrono tra i nostri Paesi europei e gli Stati Uniti in questa guerra. Io non possiedo molte informazioni rispetto all’atteggiamento del governo portoghese nei confronti del conflitto in Ucraina, ma potrei immaginare. Penso però al fatto che ancora una volta l’Unione Europea ha perso l’occasione per dimostrare una qualche utilità del suo progetto politico. L’Unione Europea in questa guerra ha rinunciato a qualsiasi ruolo di mediazione, infilandosi l’elemento e guardando unicamente all’Ucraina come chiave per consentire l’espansione degli interessi economici e militari verso est. L’Unione Europea definisce da decenni paesi come la Turchia o la Cina come paesi dove non si rispettano i valori universali occidentali e che questi non sono compatibili con la costituzione dell’Unione Europea. L’assurdità creata da questo conflitto è che mentre l’Unione Europea perde tempo nella sua classifica dei Paesi più o meno accettabili, Turchia e Cina sono stati tra i pochissimi paesi, oltre al Vaticano, a tentare di riportare le due parti coinvolte nel conflitto sul terreno delle trattative e della mediazione. E naturalmente ci sarebbe molto da dire sul governo turco e sulla sua azione repressiva e crudele contro i migranti mediorientali che premono ai suoi confini. Gli stessi migranti a cui viene sbarrato l’accesso dall’UE attraverso gli accordi con la Turchia, pagati profumatamente, oppure attraverso la pessima gestione del Mediterraneo e dunque le migliaia di morti in mare. Qual è stato allora il ruolo dell’Unione Europea e dei nostri governi in questa guerra, unicamente quello di eseguire le direttive giunte da Washington e di innescare un nuovo processo di rafforzamento della NATO, un’istituzione che non dovrebbe più esistere, perché fondata e armata per contrastare un’eventuale invasione sovietica dell’occidente che oggi non può più accadere.

La pace allora, come vediamo, riguarda temi scottanti, di attualità immediata e che riguardano tutti noi. Una potenziale estensione di questo conflitto può pregiudicare la vita delle generazioni più giovani, può segnare le sorti del pianeta. Nelle ultime settimane in Italia, davanti a quello che sta accadendo in Africa, pochi giorni fa col Gabon e questa sorta di ribellione contro il neocolonialismo, qualche esponente politico della destra ha proposto la creazione di una NATO anche in Africa. Ovvero come dire chiaramente che la NATO garantisce gli interessi occidentali e dei suoi monopoli. Noi dobbiamo opporci a questo stato di cose e continuare a rivendicare la possibilità di creare una società differente, batterci affinché si garantisca un mondo multipolare, in cui non ci siano guardiani armati a fare da sorveglianti e a punire o innescare guerre.

Siamo convinti di essere dalla parte giusta della storia, quella del progresso, della solidarietà e della giustizia sociale. In una parola: il socialismo.

Oggi ci troviamo di fronte a uno degli strumenti che il capitale usa per imporre le sue regole e risolvere i conflitti nell’arena imperialista: la guerra. Dobbiamo opporci con tutte le nostre forze, riaffermando la volontà dei giovani e dei popoli che rifiutano questa guerra, che rifiutano di inviare armi e l’impegno di ingenti risorse economiche per l’acquisto di strumenti di morte. Uno storico romano disse: “faranno un deserto e lo chiameranno pace”.

Dobbiamo evitare di svegliarci in un deserto, dobbiamo contrastare quello che le classi dominanti chiamano pace: ovvero sfruttamento di uomini e risorse, oppressione, morte di milioni di persone, avanzata e legittimazione delle forze conservatrici e neofasciste. Lottiamo insieme per un mondo diverso, lottiamo per una pace duratura.

 

::::::::PORTOGHESE::::::::

Queridos camaradas,

Gostaria de começar a minha intervenção confessando que é para mim uma honra e um imenso prazer poder intervir neste debate. Durante vários anos trabalhei como responsável departamento internacional da nossa organização juvenil e a Festa do Avante foi sempre uma oportunidade para conhecer as dezenas e dezenas de delegados internacionais que aqui se encontram, bem como mergulhar neste belo espaço de amizade, solidariedade e luta que é a Festa do Avante. Fico feliz por ter crescido politicamente também graças à Festa do PCP. Por conseguinte, representar o meu partido neste debate é uma excelente oportunidade.

Mais uma pequena premissa antes de começar. Estudei pouco tempo em Lisboa, pelo que farei a minha intervenção em português, ainda que com a ajuda destas notas. Espero que sejam lenientes na compreensão do meu português caso haja alguma dúvida.

Pois bem, passemos ao tema do debate de hoje. A paz, a Europa e as atividades que estamos a desenvolver nos nossos países.

Como devem saber, a Itália tem vivido nos últimos anos um processo de constante enfraquecimento das forças de esquerda, incluindo os comunistas. O nosso país tem sido desde há muito um laboratório do neoliberalismo, onde estão criadas as condições materiais para a aniquilação do sentido crítico face a tudo o que acontece, nacional e internacionalmente.

Creio, no entanto, que esta guerra abriu um vislumbre da indiferença geral dos italianos. Uma indiferença que se manifesta por uma abstenção muito forte em eleições de qualquer nível, geral, regional e administrativo. É uma abstenção crítica, que na realidade rejeita a classe dominante que temos no governo e que desconfia de formas organizadas de fazer política.

Quando a guerra entre a Rússia e a Ucrânia começou, o nosso país foi um dos primeiros a colocar o capacete de combate na cabeça. Nessa altura, o primeiro-ministro era Mario Draghi, conhecido na Europa por adotar as piores medidas neoliberais. Imediatamente como partido da Refundação Comunista, juntamente com outras realidades políticas e sociais, juntamente com os sindicatos, lançámos imediatamente mobilizações pela paz. Essas mobilizações assumiram as formas organizacionais dos comitês de paz, dando origem a mobilizações locais e também buscando o diálogo com as comunidades ucranianas que residem na Itália há décadas.

Fazer isso nem sempre foi fácil, mas uma das primeiras pesquisas realizadas na Itália após a eclosão da guerra nos mostrou que a grande maioria da população era contra a guerra. Opõe-se à guerra, mas sobretudo ao envio de armas para a Ucrânia. Trata-se de um ponto de viragem fundamental, uma vez que esta questão nos permitiu identificar claramente no debate público italiano.

Nos primeiros meses após a eclosão da guerra, o nosso Partido conseguiu conquistar algum espaço para si próprio nos meios de comunicação social, que, no entanto, tentaram encurralar-nos na lógica habitual: “se és contra a guerra, és amigo de Putin, então apoias uma ditadura”. Mas à propaganda liberal com o capacete de combate, respondemos apenas a uma coisa: “somos contra a guerra, porque queremos paz e querer paz não é querer um mundo Disney feito de arco-íris, a paz é justiça social, justiça climática, é impedir a proliferação de armas nucleares, está a impedir que milhares de milhões de euros sejam gastos todos os anos pelos países da União Europeia para apoiar a OTAN e os fabricantes da morte.

Deste ponto de vista, podemos dizer que o nosso país vem de uma longa história de pacifismo que parte de posições radicais de esquerda. Como sabem, Itália e Portugal partilham uma data, que é o 25 de abril, o dia em que ambos os países se livraram da ditadura fascista. Alguns anos após o fim da Segunda Guerra Mundial, especialmente após a criação da OTAN, tornou-se evidente o risco de o mundo estar à beira de um conflito nuclear. Com a criação da OTAN, a Itália e a Europa Ocidental ficaram repletas de bases nucleares e mísseis direcionados à União Soviética. Bem, na Itália, os mesmos membros da Resistência que lutaram contra o fascismo, os partigianos, deram vida ao movimento dos partigianos da paz, organizando grandes manifestações em todo o país para lembrar aos italianos que o país pelo qual lutaram e sofreram durante 20 anos não era um país subserviente aos Estados Unidos, mas um país livre e independente, centrado nos valores da paz e da justiça social.

Esta consciência antifascista e pacifista sobreviveu e cada apelo à guerra que é vista pelos trabalhadores como uma ameaça concreta. Não é por acaso que em novembro de 2022 conseguimos levar cerca de 100.000 (cem mil) pessoas às ruas de Roma para dizer não à guerra e ao envio de armas. A ameaça que a guerra representa agora emerge plenamente também devido ao enorme impacto económico que está a ter nas famílias e no consumo. A inflação está a exacerbar as desigualdades sociais no nosso país, enquanto os salários permanecem estagnados. Basta pensar que a Itália é um dos poucos países europeus onde os salários não crescem há cerca de 30 anos. Por estas razões, neste contexto de guerra, o nosso Partido está a fazer avançar a proposta de estabelecer finalmente um salário mínimo de pelo menos 10 euros por hora em Itália. Um salário que é financiado pelo Estado e que se aplica imediatamente aos contratos de trabalho. Esta proposta suscitou reações veementes do centro-direita e dos patrões, que temem uma sovietização do país, e também uma proposta alternativa da oposição de centro-esquerda que prevê um salário mínimo de 9 euros por hora, mas financiada através de cortes noutras despesas publicas e aplicada no prazo de dois anos. Um debate que diz muito sobre as condições políticas que atravessamos, mas também sobre os cenários que esta guerra abriu em Itália.

E de novo. Entre 2022 e o início de 2023 mobilizámo-nos em Coltano, perto de Pisa, na Toscana, onde incrivelmente estão a tentar usar fundos europeus do Plano de Recuperação para construir uma base militar. Diz-se que estes fundos europeus devem ser utilizados tendo em mente as gerações futuras, para a conversão ecológica. Que futuro verde pode imaginar se milhares de milhões de euros forem utilizados para construir uma base militar? A Itália é um dos cenários militares mais avançados para os Estados Unidos e com a presença do governo neofascista de Giorgia Meloni, a subordinação italiana aos Estados Unidos é total.

E penso que é essencial falar sobre as relações que existem entre os nossos países europeus e os Estados Unidos nesta guerra. Não tenho muita informação sobre a atitude do Governo português em relação ao conflito na Ucrânia, mas posso imaginar. Penso, no entanto, no facto de, mais uma vez, a União Europeia ter perdido a oportunidade de demonstrar alguma utilidade do seu projeto político. Nesta guerra, a União Europeia renunciou a qualquer papel de mediação, olhando apenas para a Ucrânia como a chave para permitir a expansão dos interesses económicos e militares para leste. Durante décadas, a União Europeia definiu países como a Turquia ou a China como países onde os valores universais ocidentais não são respeitados e não são compatíveis com a Constituição da União Europeia. O absurdo criado por este conflito é que, enquanto a União Europeia perde tempo na sua classificação de países mais ou menos aceitáveis, a Turquia e a China têm estado entre os poucos países, para além do Vaticano, a tentar trazer os dois lados envolvidos no conflito de volta ao terreno das negociações e da mediação. E, claro, haveria muito a dizer sobre o governo turco e sua ação repressiva e cruel contra os migrantes do Oriente Médio que pressionam suas fronteiras. Os mesmos migrantes que são impedidos de entrar na UE através dos acordos com a Turquia, pagos generosamente, ou devido à má gestão do Mediterrâneo e, portanto, aos milhares de mortes no mar. Qual era então o papel da União Europeia e dos nossos governos nesta guerra, apenas para cumprir as diretivas vindas de Washington e desencadear um novo processo de reforço da OTAN, uma instituição que já não devia existir, porque foi fundada e armada para contrariar uma possível invasão soviética do Ocidente que hoje já não pode acontecer.

A paz, portanto, como vemos, diz respeito a questões candentes, de atualidade imediata e que nos dizem respeito a todos. Uma potencial extensão deste conflito pode afetar a vida das gerações mais jovens, pode marcar o destino do planeta. Nas últimas semanas, em Itália, perante o que está a acontecer em África, há alguns dias com o Gabão e este tipo de rebelião contra o neocolonialismo, alguns políticos de direita propuseram a criação de uma OTAN também em África. Ou seja, como se dissesse claramente que a OTAN garante os interesses ocidentais e os seus monopólios. Devemos opor-nos a este estado de coisas e continuar a exigir a possibilidade de criar uma sociedade diferente, lutar pela garantia de um mundo multipolar, em que não haja guardas armados para atuar como supervisores e para punir ou desencadear guerras.

Estamos convencidos de que estamos do lado certo da história, o do progresso, da solidariedade e da justiça social. Numa palavra o socialismo.

Hoje estamos perante um dos instrumentos que o capital utiliza para impor as suas regras e resolver conflitos na arena imperialista: que é a guerra. Devemos opor-nos a ela com todas as nossas forças, reafirmando a vontade dos povos que rejeitam esta guerra, que se recusam a enviar armas e o empenhamento de enormes recursos económicos para a compra de instrumentos de morte. Um historiador romano, Tacito, disse: “Eles fazem um deserto e chamam isso de paz”.

Temos de evitar acordar num deserto, temos de garantir que aquilo a que as classes dominantes chamam paz equivale à exploração dos homens e dos recursos, à opressão, à morte de milhões de pessoas, ao avanço e legitimação das forças conservadoras e neofascistas. Lutemos juntos por um mundo diferente, lutemos por uma paz duradoura.

 

 

 


Sostieni il Partito con una



 
Appuntamenti

PRIVACY







o tramite bonifico sul cc intestato al PRC-SE al seguente IBAN: IT74E0501803200000011715208 presso Banca Etica.