Riparte il dipartimento immigrazione di Rifondazione Comunista.

Riparte il dipartimento immigrazione di Rifondazione Comunista.

 

Stefano Galieni*

Di fronte a quanto sta accadendo nel Paese e in Europa, è sembrato necessario e urgente avviare la ricostruzione di un dipartimento immigrazione del Partito. Giusto 20 anni fa, sotto la guida del compagno Carlo Cartocci, una commissione variegata per composizione e analisi delle tematiche connesse, stava preparando la prima e, ahinoi, l’ultima Conferenza nazionale sull’immigrazione del Partito, che si tenne a Bologna alla presenza di oltre 400 compagne e compagni. Ci eravamo dati l’obiettivo di far penetrare in un Partito ancora positivamente contaminato dall’esperienza di Genova, le complessità di una composizione sociale che in Italia andava cambiando, una società in cui vivevano e lavoravano alcuni milioni di persone prive di cittadinanza, la cui vita e permanenza nel Paese erano ancorate ad un rapporto di lavoro che ne privatizzava l’esistenza. Uomini e donne che avevano però già iniziato a portare la propria soggettività politica mostrando spesso maggiore radicalità e consapevolezza di diritti da esigere di quanto avvenisse fra gli autoctoni. Volevamo far divenire il nostro un partito misto e accogliente nel senso reale del termine, capace di realizzare rapporti paritari in un contesto in cui serpeggiava già un “noi” in contrapposizione ad un “loro”, che tanti problemi ha prodotto negli anni a venire. Purtroppo quel grande appuntamento pubblico si rivelò un “canto del cigno” del nostro lavoro. Ad oggi, anche a causa delle tante contraddizioni vissute e degli errori compiuti nel nostro partito, tranne particolari isole felici (federazioni o circoli in cui tale percorso è divenuto parte integrante della propria presenza sul territorio), la nostra è divenuta sempre più una comunità di “maschi bianchi”, simile alle altre aggregazioni politiche presenti, forse più anziana e inadeguata, anche su questo fronte per il presente. Già dal 2005, il ruolo aggregatore della Commissione immigrazione, veniva depotenziato, via via, molte e molti di coloro che si erano avvicinati a Rifondazione anche grazie a quella marcata diversità, hanno intrapreso strade diverse. Ovviamente parte della responsabilità di un lavoro collettivo che è mancato, nel e del partito in materia, è di chi scrive, ma il miglior modo per reagire è quello di provare a riconnettere fili, competenze, saperi, capacità di realizzare mobilitazioni e di proporre soluzioni adeguate alla nuova situazione. Che poi definire nuova non è neanche esatto. A luglio saranno passati 25 anni dalla promulgazione del primo Testo Unico sull’immigrazione (la cd Turco Napolitano), corretta e peggiorata poi 4 anni dopo con gli emendamenti introdotti dalla Bossi Fini. Da allora si è sempre proceduto con provvedimenti normativi peggiorativi che assumevano la forma di “pacchetti sicurezza”, decreti-legge, circolari ministeriali, regolamenti attuativi, che non hanno fatto altro che rendere più difficoltosa la vita per chi vive e spesso prova a lavorare in Italia. Da questo punto di vista il nostro Paese è stato terreno di esperimenti sociali repressivi che poi si sono diffusi in altri Stati europei, con la differenza che mentre in gran parte di questi sono esistite forme di promozione alla partecipazione sociale, a volte anche politica, di chi viene da fuori, anche attraverso servizi selettivi e premiali, ma sistemici, in Italia si continua a considerare la presenza di uomini e donne stranieri, che si incrementa ormai da mezzo secolo, come un evento emergenziale da cui difendersi con provvedimenti ad hoc e che non guardano verso il futuro. Nell’epoca del governo Meloni, ma in stretta continuità, forse soltanto più esplicitata, rispetto ai governi precedenti, il tema è considerato quasi unicamente come attinente la sicurezza, l’ordine pubblico, il decoro, il controllo e non a caso affidato pressoché unicamente al ministero dell’Interno. In 25 anni i provvedimenti legislativi di diversa forma si sono di fatto unicamente accumulati, hanno preso il peggio delle direttive europee, fermando il Paese intero in un presente che pretende di ignorare i diritti di oltre 5 milioni di persone e di considerare scarto quello di almeno 600 mila che sono costretti da tali normative, nell’irregolarità amministrativa. Se poi le leggi in materia sono servite soprattutto a regolare, in senso neoliberista, il mercato del lavoro, per poter trattenere manodopera ricattabile, è obbligo tassativo, per un partito che si vuole definire comunista non ignorare tali condizioni e non continuare a considerarli temi su cui agire. Anche nei nostri ambiti, in passato, è passata la logica sotterranea che “di immigrazione, soprattutto durante le campagne elettorali, è meglio non parlare, perché si perdono voti”. Questo schema va ribaltato alla radice, parlarne, trovare insieme ai protagonisti risposte adeguate, può significare trovare soluzioni “di sinistra”, laddove finora sono giunte unicamente pratiche dichiaratamente xenofobe, reazionarie, razziste, o, peggio ancora, dichiarazioni vuote da parte dei governi di centro sinistra e tecnici che si sono succeduti, in cui di fatto non si segnalava alcuna discontinuità. Nel 2023 vige ancora la Bossi Fini, legge crudele, fallimentare e persino inadeguata a far incontrare domanda e offerta di lavoro. Il 18 maggio scorso, dopo un lavoro di preparazione, si è tenuto, in modalità on line, il primo incontro per ricostruire il dipartimento. Quella che qui trovate è la registrazione dell’incontro https://partitodellarifondazionecomunista.my.webex.com/partitodellarifondazionecomunista.my/ldr.php?RCID=a2c4f603d76e24e82ca1258173a20444 Abbiamo proposto in bozza un documento di lavoro da sottoporre all’attenzione di chi voleva partecipare e la prima risposta è stata, nel caos di iniziative che molte/i di noi si trovano a seguire, estremamente positiva. Dopo aver chiesto ad ogni segretaria/o regionale e di federazione di fornire nominativi di compagne/i interessati al tema, si è scelto di allargare la platea anche alle tante e ai tanti non iscritti o non più iscritti al nostro Partito, ma che hanno continuato ad operare sulla complessità dei temi che intersecano l’immigrazione, nei propri territori, in associazioni, o su specifiche questioni. L’ipotesi su cui si sta cercando di ricostruire un ambito di lavoro è quella di uno spazio aperto, in cui Rifondazione Comunista partecipa con le proprie compagne e compagni, mette in gioco le proprie competenze e, laddove si creano le condizioni, ospita nelle proprie sedi momenti di discussione e di elaborazione. Entro una decina di giorni contiamo di avere un testo definitivo del documento utile ad un piano di intervento. Il piano si articola in proposte di gruppi di lavoro a cui inviteremo le compagne ed i compagni ad iscriversi. Faremo in modo che i gruppi inizino a lavorare e ci diamo un primo step per la seconda metà di giugno. Ai gruppi si chiederà di lavorare in autonomia ma relazionandosi fra loro attraverso un’apposita chat su Whatsapp. Fra le idee che stanno prendendo piede quella di realizzare un momento di incontro che abbia tanto le caratteristiche del dibattito, quanto quelle del momento conviviale, da realizzare a settembre e l’ipotesi di pensare ad una elaborazione di proposte concrete da utilizzare come elemento di discussione per la campagna elettorale che si prospetta con l’elezione del parlamento europeo. Insomma un lavoro lungo, complesso e articolato che richiederà l’impegno di chiunque voglia contribuire. Le compagne e i compagni che non erano ancora stati informati di questo lavoro possono richiedere la bozza di documento scrivendo a stefano.galieni@rifondazione.it . Più ampio è il numero dei territori che si riesce a raggiungere, migliori e più esaustive saranno le linee guida che vorremmo introdurre per rovesciare un’agenda politica dettata unicamente dagli imprenditori della paura che vivono e lucrano sulla gestione dell’emergenza. Chi viene a collaborare con questo spazio che ha molto di antico e molto di nuovo, viene per parlare di futuro da realizzare nella consapevolezza di vivere in una fase drammatica in cui chi governa ha nella propria cifra culturale la separazione netta fra autoctoni e no. Una separazione falsa, perché in realtà la vera divisione è fra pochi accentratori di risorse e una maggioranza di persone, italiane da infinite generazioni o da poco giunte nel nostro Paese, accomunate da una condizione di sfruttamento e di impoverimento a cui ci si ribella insieme. Questo è lo spirito con cui vorremmo provare a lavorare, con pochi steccati ma con elementi valoriali e di contenuto, non negoziabili. Il tentativo è quello di rendere il nostro partito permeabile e utile a chi oggi non si sente né difeso né rappresentato, a chi vuole reagire e intende costruire alternatività radicale e concreta al sistema vigente, partendo da una questione che non è marginale ma che, è considerata, come i processi migratori, “fatto sociale totale”. C’è molto da fare, c’è voglia di fare e di capire.

*Responsabile nazionale immigrazione, Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea


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