Il decreto del “Fare” in materia di edilizia

Il decreto del “Fare” in materia di edilizia

di Rosa Rinaldi ::

Premesso che le disposizioni dell’articolo 30, che modificano il Testo Unico per l’edilizia (Dpr n. 380/2001) “si applicano dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”, che, è stato pubblicato sul supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 144 del 21 giugno 2013, e che è quindi opportuno, per quel che potremo, sollecitare proposte ed emendamenti migliorativi.

Il c.d. “DECRETO FARE”, prosegue sulla strada già indicata dal “DECRETO SVILUPPO” del Governo Monti, ed estende la possibilità di procedure di autocertificazone ai professionisti incaricati dal privato non solo per i lavori di trasformazione interna e per le demolizioni e ricostruzioni “fedeli” degli edifici esistenti, ma consentendo anche modifiche di sagoma e di materiali impiegati.

Ciò se da un lato, facilita le operazioni di ristrutturazione, dall’altro rischia di compromettere l’aspetto urbanistico delle città. E’ curioso, e forse una spia delle reali volontà, che questi interventi vengano ulteriormente “facilitati” dal Decreto FARE mentre, e allo stesso tempo molti DDL, tra cui uno del Governo, introducono limiti più o meno rigidi al consumo di nuovo suolo a scopo urbanizzativo. In sé, quindi, l’obiettivo sarebbe condivisibile, ma se si accompagna a deregolamentazioni crescenti nel riuso e densificazione smisurata dell’esistente diviene un cavallo di Troia di scelte inaccettabili.

Gli interventi di demolizione e ricostruzione, attualmente classificati come lavori di ristrutturazione pesante e, quindi, soggetti al rilascio del permesso di costruire, potranno essere effettuati in regime di autocertificazione (SCIA, DIA).

Come “clausola di salvaguardia” è comunque previsto il mantenimento in vigore delle limitazioni eventualmente presenti nei PRG o Regolamenti Edilizi dei singoli Comuni, che talvolta tuttavia sono già più permissive delle norme nazionali (vedi a Milano il recupero di slp esistente anche sotterranea e con diversa destinazione funzionale, anche in deroga all’altezza degli edifici adiacenti)

Per quanto riguarda invece gli immobili sottoposti a vincoli (ai sensi del Dlgs n. 42/2004), gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia (assoggettati a SCIA) soltanto ove sia rispettata la medesima sagoma dell’edificio preesistente. Per tali immobili, nel caso di modifiche della sagoma, permane la necessità di presentare la domanda di rilascio del permesso di costruire o la DIA alternativa al permesso di costruire.

Attività di edilizia libera, cancellato l’obbligo di avvalersi di un tecnico che non abbia rapporti di dipendenza né con l’impresa né con il committente.

Un’altra modifica (all’articolo 6, comma 4, del testo unico), in materia di attività edilizia libera, prevede – nei casi di attività assoggettata a mera comunicazione di inizio lavori, relativamente agli interventi di manutenzione straordinaria e di modifiche interne di carattere edilizio sulla superficie coperta dei fabbricati adibiti ad esercizio d’impresa, ovvero modifiche della destinazione d’uso dei locali adibiti ad esercizio d’impresa – l’eliminazione dell’obbligo di avvalersi di un tecnico che non abbia rapporti di dipendenza né con l’impresa né con il committente.

Anche in questo caso si riducono le garanzie che il tecnico professionista incaricato dal privato svolga efficacemente un ruolo indipendente di surroga di funzioni da pubblico ufficiale.

Rilascio del permesso di costruire in caso di vincoli.

In tema di procedimento per il rilascio del permesso di costruire, la disciplina vigente prevede che, qualora l’intervento sia sottoposto a un vincolo ambientale, paesaggistico o culturale, nel caso in cui uno dei relativi atti di assenso necessari non sia favorevole, al termine dei trenta giorni dalla proposta di provvedimento previsti per l’adozione del provvedimento finale, si viene a formare il silenzio rifiuto. La nuova norma prevede che nell’ipotesi in cui venga rilasciato l’atto di assenso dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, il comune sia tenuto a concludere il procedimento di rilascio del permesso di costruire con un provvedimento espresso e motivato e che trovi applicazione l’articolo 2 della legge n. 241 del 1990. Ove, invece, l’atto di assenso venga negato, decorso il termine per il rilascio del permesso di costruire, questo si intenderà respinto. Tale soluzione offre maggiori garanzie al cittadino rispetto al mero silenzio-inadempimento, atteso che il provvedimento conclusivo del procedimento di rilascio del permesso di costruire in questo caso non potrebbe che essere negativo, in quanto l’atto di assenso dell’autorità preposta alla tutela del vincolo ne costituisce un presupposto di legittimità. Il cittadino, pertanto, è meglio tutelato dalla previsione del silenzio-diniego, immediatamente impugnabile, associata alla previsione dell’obbligo per il responsabile del procedimento di comunicare tempestivamente sia il diniego dell’atto di assenso, sia l’autorità alla quale ricorrere e i relativi termini.

Con specifico riferimento agli immobili soggetti a vincolo paesaggistico, in caso di inerzia dell’autorità preposta alla tutela del vincolo, è fatto salvo quanto previsto in materia di autorizzazione paesaggistica dall’articolo 146, comma 9, del codice dei beni culturali e del paesaggio, ove si prevede che l’inerzia del soprintendente nell’emissione del proprio parere è sempre superabile dal comune o dalla diversa autorità preposta al rilascio del provvedimento finale, poiché, decorso il termine previsto normativamente, l’amministrazione competente è tenuta a provvedere sulla domanda, prescindendo dal predetto parere.

Proroga di 2 anni della validità dei titoli abilitativi rilasciati.

Infine, il Decreto Fare proroga di due anni i termini di inizio e di ultimazione dei lavori autorizzati con permesso di costruire, Dia e Scia prima dell’entrata in vigore del Dl 69/2013. Ciò “ferma restando la diversa disciplina regionale, previa comunicazione del soggetto interessato”.

Va ricordato che, attualmente il Testo Unico dell’edilizia, dispone che i lavori autorizzati con permesso di costruire debbano essere avviati entro un anno dal rilascio del permesso, mentre, per ultimare l’opera, il termine è fissato a tre anni dall’inizio dei lavori. Entrambi i termini possono essere prorogati, dietro richiesta del titolare del permesso, con provvedimento motivato, per fatti sopravvenuti estranei alla volontà del titolare.

L’articolo 23 del testo unico attualmente stabilisce che i lavori avviati dopo la presentazione di DIA o SCIA edilizia devono essere anch’essi ultimati entro tre anni.

Commento: Il provvedimento è piuttosto contraddittorio con lo scopo del Decreto che dovrebbe mirare ad accelerare l’esecuzione dei lavori anziché dilazionarla.

Sportello Unico

Con l’obiettivo di omogeneizzare le disposizioni in materia di sportello unico per l’edilizia, alla luce dei recenti interventi legislativi riguardanti la SCIA e la comunicazione dell’inizio dei lavori (CIL), si prevede che in tali casi l’interessato può richiedere allo sportello unico di acquisire gli atti di assenso necessari per l’intervento edilizio oppure presentare istanza di acquisizione dei medesimi atti contestualmente alla SCIA o alla CIL. Lo sportello unico comunica tempestivamente all’interessato l’avvenuta acquisizione degli atti di assenso. Si applica la disciplina della conferenza di servizi prevista per il rilascio del permesso di costruire.

In caso di presentazione contestuale della SCIA o della CIL e dell’istanza di acquisizione degli atti di assenso, l’interessato può dare inizio ai lavori solo dopo la comunicazione da parte dello sportello unico dell’avvenuta acquisizione degli atti di assenso o dell’esito positivo della conferenza di servizi.

All’interno delle zone omogenee A (le parti del territorio interessate da agglomerati urbani che rivestono carattere storico, artistico o di particolare pregio ambientale) di cui al decreto ministeriale 2 aprile 1968, n. 1444, e in quelle equipollenti secondo l’eventuale diversa denominazione adottata dalle leggi regionali, per gli interventi o le varianti a permessi di costruire ai quali è applicabile la SCIA comportanti modifiche della sagoma rispetto all’edificio preesistente o già assentito (si tratta di interventi sugli immobili non assoggettati a vincolo ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio), i lavori non possono in ogni caso avere inizio prima che siano decorsi venti giorni dalla data di presentazione della segnalazione.

Il Decreto ha stabilito che il DM 161/2012 sull’utilizzo delle terre e rocce da scavo si applica solo ai materiali che provengono da attività o opere soggette a valutazione d’impatto ambientale o ad autorizzazione integrata ambientale. Il decreto non vale invece per l’immersione in mare di materiale derivante da attività di escavo e attività di posa in mare di cavi e condotte.

Le terre e rocce da scavo che non rientrano nel campo di applicazione del decreto ministeriale sono comunque considerate sottoprodotti e non rifiuti se il produttore dimostra che sono destinate direttamente all’utilizzo in un determinato ciclo produttivo nello stesso sito o in un altro luogo, che non contengono fonti di contaminazione, che l’utilizzo in un successivo ciclo di produzione non determina rischi per la salute e che non è necessario sottoporle ad alcun trattamento preventivo, fatte salve le normali pratiche industriali e di cantiere.

Viene inoltre semplificata la disciplina dei materiali di riporto, chiarendone la composizione e prevedendo che siano soggetti a test di cessione per essere considerate come sottoprodotti o rimosse dal luogo di scavo.

Tra le semplificazioni in materia ambientale c’è inoltre la riduzione degli oneri per la gestione delle acque di falda sotterranee estratte per fini di bonifica o messa in sicurezza dei siti contaminati.

Nel complesso quindi si affidano ai tecnici dei privati compiti di autocertificazione del rispetto di norme di interesse pubblico, assumendosi compiti di pubblico ufficiale senza, tuttavia, prevedere che il tecnico, in caso di dichiarazioni infedeli debba risponderne con meccanismi sanzionatori rapidi ed efficaci, non essendo, appunto prevista alcuna sanzione e regola in tal senso.

D’altra parte si affidano ai Comuni nuovi compiti sostituivi di quelli svolti dal tecnico privato (autorizzazioni raccolte da Sportello unico; verifica entro termini abbreviati delle autocertificazioni, ecc.) e nuovi compiti (atto di diniego dell’assenso anche in caso di decorrenza dei termini) senza prevedere alcun adeguato potenziamento dell’organico che dovrebbe svolgere tali compiti, specie in una fase di restrizione delle risorse economiche e di personale, incentivando così la possibilità/speranza che dichiarazioni omissive o infedeli sfuggano ad adeguati controlli pubblici.

ROSA RINALDI

redazionale


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