La vittoria della Schlein e la post-democrazia

La vittoria della Schlein e la post-democrazia

di Raul Mordenti -

In merito all’elezione della Schlein, condivido le considerazioni di Maurizio Acerbo (compresi gli auguri alla vincitrice) ma credo che siano necessari anche altri ragionamenti.

Mi sembra ingenuo e infondato ogni entusiasmo che serpeggia forse anche fra qualche compagno/a: non c’è dubbio che Bonaccini (l’uomo delle privatizzazioni emiliane e dell’autonomia differenziata) fosse il peggio del peggio, ma il punto è che non si può leggere la scelta dell’ “americanata” delle primarie del PD con i paramentri “destra/sinistra”, perché non è su questa base che è avvenuta la scelta tra Bonaccini e Schlein. Occorre invece capire (non certo adottare) i parametri che hanno contato veramente, e sono quelli dell’immagine mediatica, della novità, della (post)modernità, parametri sui quali la Schlein (giovane, donna, orgogliosamente gay, decisamente simpatica, “americana” anche per passaporto, e sostenuta dai media) era certo imbattibile per il grigio burocrate Bonaccini.

Il punto su cui riflettere mi sembra il seguente: nessuno dei due candidati ha presentato un minimo di programma, nessuno di loro ha parlato di occupazione, lavoro, scuola e sanità pubblica, economia, antifascismo, Costituzione, soprattutto nessuno di loro (incredibilmente!) ha parlato di pace o guerra. Noi ci ostiniamo a voler pensare che è su questi terreni che si dovrebbe svolgere la politica, e stentiamo a capire che la politica in quanto tale (e dunque la democrazia) è morta, dopo che sono stati distrutti, e delegittimati, i partiti, cioè i luoghi necessari del legame fra la politica e le masse. Senza partiti non c’è democrazia. Non è pensando a occupazione, lavoro, scuola e sanità pubblica, economia, antifascismo, Costituzione che hanno votato i partecipanti alle primarie piddine, e ahimé, neppure gli elettori e le elettrici delle elezioni pensano a queste cose o scelgono in base ad esse.

Le scelte, o le non-scelte, avvengono su altri terreni e per altri argomenti, ne cito solo tre: 1) anzitutto la forza mediatica dei contendenti (e ciò spiega la ferrea censura operata contro di noi dai mass media, interamente monopolizzati dal capitale); 2) in secondo luogo i ricatti del “voto utile” consentiti dalle vigenti infami leggi elettorali; 3) e in terzo luogo il clientelismo, il vecchio sordido clientelismo democristiano, che ha ancora forza nel potere locale del PD e opera anche (è ora di dirlo!) alla nostra sinistra, come noi abbiamo visto ampiamente a Roma con quei centri sociali, decisamente alla nostra “sinistra”, che però votano per il PD o per le sue liste-civetta in cambio di garanzie clientelari di sopravvivenza per i loro spazi. Ciò è talmente vero che quando questi tre elementi si indeboliscono (come nelle recenti regionali) il numero dei votanti cala in modo drammatico, facendo capire anche a chi non vuol capire che la politica (cioè la democrazia) è morta.

Il fatto è che si sta giocando a un altro gioco, che conserva solo la parvenza di quella democrazia politica che la Resistenza e la Costituzione ci avevano consegnato. Ciò significa che noi alle elezioni (puntando sui nostri programmi, cioè sugli interessi politici delle masse) giochiamo dunque a un gioco diverso da quello che veramente si gioca: è come puntare ancora al sette bello o alla primiera in un tavolo in cui si gioca a poker invece che a scopa.

Mi sembra giunto il momento che i comunisti e le comuniste riflettano seriamente su cosa significa fare politica nell’epoca della post-democrazia, e si accingano ad attrezzarsi per questa fase storica, una fase che è inedita e difficile (cambiando tutte le cose che sono da cambiare) come fu per i comunisti e le comuniste di cento anni fa il fascismo.


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