Nella guerra delle sanzioni perdono lavoratori e famiglie

Nella guerra delle sanzioni perdono lavoratori e famiglie

Di Luciano Cerasa

 

Da quando è esplosa la crisi in Ucraina, anche i notiziari del servizio pubblici si sono trasformati in bollettini di una guerra virtuale, combattuta nella testa degli ascoltatori. L’obiettivo è arruolare l’opinione pubblica nell’esercito “del bene”, per convincerli a spendere in armi e svuotare i granai, ma da qualche giorno la narrazione nei notiziari locali è cambiata.

Il carovita, i costi dell’energia e delle materie prime alle stelle, il crollo della produzione hanno fatto irruzione nei palinsesti, sull’onda di una protesta sociale montante. Fabbriche ed esercizi commerciali chiudono e licenziano, decine di migliaia di vere e false partite Iva finiscono fuori anche dal mercato dei precari, intere mensilità spariscono nel calderone dell’inflazione. Con risvolti da commedia all’italiana. Un espediente che stanno adottando i grandi marchi per evitare di cambiare il prezzo sulle confezioni, ma raggirando così  i consumatori, è quello di diminuire la quantità del prodotto all’interno. Spendi lo stesso, ma mangi di meno.

L’ultimo serio contraccolpo sulla filiera dei prezzi è arrivato dal gas, dopo lo stop russo alle forniture a Polonia e Bulgaria, con un rincaro volato in una giornata al 16%. I Future ad Amsterdam sono saliti a 119,7 euro a megawattora.

Non è l’unica brutta notizia per l’Italia.

Il giorno prima Spagna e Portogallo hanno ottenuto il permesso di fissare un tetto al prezzo del gas, dimezzando la bolletta energetica. L’analoga richiesta di Draghi è stata invece negata finora dai soliti olandesi.

E sono pessime notizie, per esempio, per chi deve gestire gli altiforni  del polo della ceramica di Civita Castellana, in provincia di Viterbo. Da qui esce il 70% della produzione nazionale di sanitari. Una recente ricerca della Filctem-Cgil (il sindacato dei chimici e dei ceramisti) ha censito nell’area 47 imprese, medie, piccole e artigianali. Gli addetti totali, alla fine del 2021, erano 2.300, registrando un balzo in avanti di 80 unità, rispetto ai dodici mesi precedenti. Questo grazie all’aumento dell’export e all’introduzione dell’ecobonus, che hanno fatto aumentare la produzione e di conseguenza il fatturato. Poi sono cominciate ad arrivare bollette anche quintuplicate rispetto all’anno precedente e si è fatto di nuovo buio.

A pagare lo scotto di questa situazione economica saranno I lavoratori, denuncia il sindacato. Anche grazie al bonus 110%, gli ordini stavano riprendendo dopo la pandemia, ma la guerra ha bloccato tutto. Non solo non si assume, ma si inizia a ricorrere alla cassa integrazione.

In questi giorni c’è in ballo anche il rinnovo del contratto integrativo per i lavoratori della ceramica. Le parti sociali hanno come obiettivo quello di ridare consistenza all’accordo precedente, scaduto nel 2007 e rimasto poi congelato per la crisi che ha colpito il settore.

E per chiedere di riaprire i rubinetti, questa volta proprio del bonus 110%, sono scesi in piazza a Roma gli artigiani e le piccole imprese del settore edile, rimasti con i cantieri aperti e senza garanzie. Il governo è passato dalla “deregulation” dell’accesso ai crediti d’imposta – per finanziare un provvedimento che, tra mille e gravi difetti riparabili e non tutti suoi, stava comunque trainando la ripresa –  al boicottaggio. A finire in mezzo, come al solito, occupazione e reddito.

Anche i lavoratori della raffineria Isab di Priolo, a Siracusa temono di finire nel tritacarne della guerra delle sanzioni. Di proprietà della società russa Lukoil, la raffineria occupa mille persone, più altre 2500 nell’indotto. E’ la più grande raffineria italiana. In caso di embargo al greggio russo dovrebbe fermare le attività per mancanza di materia prima, con conseguenze gravi sulle forniture di carburante alla Sicilia. Da alcune settimane la Isab-Lukoil sta raffinando esclusivamente petrolio russo, perché il sistema creditizio ha chiuso i cordoni delle anticipazioni delle fatture, costringendo Lukoil a rivolgersi all’unico soggetto che gli fa credito.

Aria di fallimenti a catena anche nel distretto tessile di Prato, la capitale italiana del settore. A fare le spese dei rincari energetici, acuiti dalla crisi internazionale, sono soprattutto le aziende energivore, come finissaggi, imbozzimature, tintorie e rifinizioni, anelli fondamentali della filiera.

A queste condizioni le aziende del distretto, soprattutto quelle energivore, non possono reggere ancora per molto. Ad assorbire tutti i ricavi sono i rincari energetici per gas metano ed energia elettrica, costi triplicati in poco meno di due mesi.

Entro sei mesi, si rischia di perdere aziende fondamentali.

 


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