Riflessioni sull’Italia dopo i fatti cileni

Riflessioni sull’Italia dopo i fatti cileni

di Maurizio Acerbo
Premettiamo una cosa essenziale: in Cile ha vinto chi si è collocato in alternativa al bipolarismo.
Le elezioni non le ha vinte il centrosinistra che si è alternato al governo con la destra nei decenni post-dittatura.
Ha vinto #BoricPresidente, un candidato che viene dalla sinistra e dalle lotte studentesche, con l’appoggio di una coalizione del Frente Amplio, dei movimenti e del Partito Comunista.
La Dc, il PPD e i socialisti (che non sono più marxisti come Allende) hanno perso al primo turno ed al ballottaggio hanno dovuto appoggiare il candidato di sinistra Boric. 
Come si è prodotto questo ribaltamento dei rapporti di forza?
Il neoliberista pinochetista Piñera aveva vinto 5 anni fa grazie alla delusione popolare nei confronti del governo di centrosinistra, che non ha mai messo in discussione il modello neoliberista ereditato da Pinochet.
È stata la rivolta sociale, sorprendente e moltitudinaria, contro il governo Piñera a cambiare i rapporti di forza.
I movimenti sociali, repressi assai duramente, sono riusciti a imporre il referendum sulla Costituzione con la richiesta di cancellare quella pinochetista.
Dopo la vittoria alle amministrative la coalizione tra Frente Amplio e Partito Comunista Cileno ha superato al primo turno il centrosinistra con un candidato espressione dei movimenti.
In Cile nel 2019 la mobilitazione contro Piñera ha avuto dimensioni enormi.
In Italia ora l’attenzione si concentrerà sul leader come già accaduto in passato e come vuole il senso comune dominante. “Dove troviamo un Boric?” sarà la domanda come in passato è accaduto per Tsipras, Iglesias, ecc.
Poi ci sarà anche quella solita giovanilista come se il problema fosse l’anagrafe e non il movimento reale che esprime nuove generazioni militanti.
Molto più serio ragionare sul fatto che è stato il grande movimento di opposizione sociale, fortemente intersezionale, con radici profonde nella storia del paese e un grande protagonismo di studenti e donne a riempire le strade contro il governo di destra.
La convergenza tra movimenti e partiti si è tradotta in una proposta politica di rottura col passato pinochetista e con il neoliberismo.
Un percorso collettivo, radicale e non settario, di unidad popular.
In Cile una proposta politica antifascista e antiliberista ha saputo dare uno sbocco alle proteste.
Ma è evidente che nessun candidato, per quanto bravo, e nessuna coalizione, per quanto innovativa, avrebbe potuto ottenere questo risultato senza il ciclo di lotte che ha preceduto queste elezioni.
La/il candidata/o credibile serve ma non basta.
Naturalmente Boric non sarebbe mai andato al ballottaggio se ci fossero stati altri 4 o 5 candidati di sinistra. Ma i cileni non sono italiani e per loro la parola unidad non è una parolaccia.
Al contrario dell’Italia in Cile (come in Spagna) per costruire la coalizione di sinistra a nessuno è venuto in mente di chiedere al Partito Comunista Cileno di sciogliersi o nascondersi. 
In Cile quelle/i della sinistra radicale, ecologista, femminista non hanno appoggiato al primo turno il candidato del centrosinistra ma hanno presentato una coalizione alternativa. Quella che ha eletto Boric.
Boric è del Frente Amplio nato nel 2017 presentandosi come alternativa al bipolarismo. Nel 2020 il Frente ha creato una coalizione  con Partito Comunista Cileno, verdi e altri. 
In Cile la convergenza dei movimenti e delle sinistre radicali ha costruito le condizioni soggettive per la vittoria.
E’ vero che solo la grande mobilitazione popolare ha reso possibile la costruzione di un blocco sociale antiliberista in Cile e lo sviluppo di una dinamica del genere non dipende solo da chi come noi resiste a sinistra. Ma certo dovremmo considerarlo terreno centrale della riflessione e dell’agenda. Nel farlo costruire quella convergenza soggettiva e le forme politiche utili alla causa.
L’Italia non è il Cile ma consiglierei di riflettere sui fatti cileni.

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