ACERBO (PRC-SE): GLOBAL TAX AL 15% CONFERMA INGIUSTIZIA DEL CAPITALISMO GLOBALE

ACERBO (PRC-SE): GLOBAL TAX AL 15% CONFERMA INGIUSTIZIA DEL CAPITALISMO GLOBALE

La global tax al 15% conferma la natura profondamente ingiusta del capitalismo globale. L’accordo fiscale guidato dall’OCSE conferma che l’architettura fiscale internazionale è distorta a favore degli interessi dei paesi ricchi, delle multinazionali e delle élite capitalistiche. Solo apologeti disinformati come Rampini possono esaltarlo senza neanche saper distinguere il numero dei paesi OCSE da quello dei paesi sottoscrittori a cui in molti casi è stato imposto. Miliardari e multinazionali continueranno legalmente a pagare aliquote fiscali più basse dei comuni cittadini e delle piccole imprese. Presentarla come un trionfo è una presa in giro.Non solo si conferma un trattamento di favore dei super-ricchi rispetto ai popoli e alle classi lavoratrici, ma si colpiscono i paesi poveri come denunciano più di 250 associazioni e movimenti di tutto il mondo aderenti alla Global Alliance for Tax Justice. Il “patto dei ricchi” deciso al G7 è stato imposto attraverso l’OCSE ai paesi del sud globale in trattative non pubbliche che delegittimano per l’ennesima volta il ruolo dell’ONU e hanno impedito il controllo e la trasparenza da parte dell’opinione pubblica mondiale. In primis vengono favorite le multinazionali, in secondo luogo i paesi sede dei quartier generali delle multinazionali che sono proprio quelli aderenti all’Ocse. In generale, e in particolare per i paesi del sud del mondo, questa aliquota globale al 15% costringerà a tassare di più i propri cittadini o a tagliare i servizi pubblici e la spesa sociale.
Oggi ricorre l’anniversario della morte di Ernesto Che Guevara, assassinato prigioniero inerme per ordine della Cia il 9 ottobre 1967. L’imposizione da parte del G7 del “patto dei ricchi” è un esempio di come funziona l’imperialismo contemporaneo.

Maurizio Acerbo, segretario nazionale del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra europea

Abbiamo tradotto il comunicato della Global Alliance For Tax Justice:

Il “patto dei ricchi” non beneficerà i paesi in via di sviluppo

La pandemia di COVID-19 e i suoi impatti rappresentano un’opportunità storica per riformare la tassazione aziendale globale e trasformare i nostri sistemi fiscali per renderli più rispondenti ai bisogni delle persone e del pianeta. E’ inconcepibile che le soluzioni offerte dai paesi dell’élite del mondo servano solo a rafforzare le disuguaglianze nella regime fiscale globale che ha a lungo escluso la voce e gli interessi dei paesi e dei popoli in via di sviluppo nel
Sud del mondo.
L’Alleanza globale per la giustizia fiscale e molti nel movimento per la giustizia fiscale sono stati critici nei confronti della leadership
ruolo dell’OCSE, che è un club dei ricchi, per riformare le regole fiscali internazionali. Per dare alla sua leadership il velo di
legittimità ha creato un quadro inclusivo (IF), che finora è andato a malapena oltre il timbro di gomma del “patto dei ricci” del
Gruppo dei Sette (G7). Le proposte nella dichiarazione dell’Inclusive Framework a guida OCSE del 1 luglio per le nuove regole fiscali globali, non affrontano i problemi fondamentali dell’attuale architettura fiscale internazionale.
È progettato per accogliere il recente accordo del G7 su un’aliquota minima globale dell’imposta sulle società del 15% e ignora i suggerimenti, le proposte e le riserve avanzate da alcuni paesi in via di sviluppo in tanti anni di lavoro.
Le “soluzioni” non affrontano le cause profonde delle attuali pratiche e regole che incentivano il trasferimento degli utili
e facilitano l’evasione fiscale impunemente. Limitare l’ambito di applicazione della “soluzione” del primo pilastro dell’OCSE/IF a un centinaio circa di multinazionali (MNC) non consentirà ai paesi in via di sviluppo di aumentare le entrate fiscali da tutte le
multinazionali. L’aliquota fiscale minima globale concordata del 15% nel secondo pilastro è di gran lunga inferiore al tasso medio dell’imposta mondiale sul reddito delle società di circa il 25% e più vicino al 12,5% proposto da alcune giurisdizioni a tassazione ridotta o nulla. Collocare il minimo globale a questo livello non farebbe molto a vantaggio del grande gruppo di paesi in via di sviluppo che hanno aliquote fiscali societarie legali molto più elevate. Invece di fermare la “corsa al ribasso” della competizione fiscale, questa aliquota bassa spingerà i paesi con un’aliquota dell’imposta sul reddito delle società più elevata a una “corsa al minimo”. Inoltre, come proposto dall’OCSE, il secondo pilastro darebbe la grande maggioranza delle nuove entrate ai paesi OCSE che ospitano i quartier generali delle multinazionali, invece dei paesi a basso reddito che perdono la quota più alta delle loro entrate fiscali
dovute alle inadempienze delle norme vigenti.
Lungi dal garantire i diritti di tassazione dei paesi in via di sviluppo, le “soluzioni” limiteranno il diritto alla tassazione dei paesi di origine a una piccola percentuale dei profitti delle multinazionali e rafforzeranno i diritti di tassazione dei paesi delle multinazionali sui
profitti globali. L’assetto istituzionale in cui queste “soluzioni” vengono “negoziate” manca di legittimità, trasparenza e responsabilità. I “negoziati” a porte chiuse espongono i rappresentanti dei paesi in via di sviluppo a pressioni e manipolazioni politiche per accettare l’accordo dei ricchi.
Una soluzione concordata in un processo politicamente parziale e opaco, al di fuori del sistema delle Nazioni Unite e della relativa responsabilità di rappresentanza nazionale, non può avere la legittimità di essere un accordo internazionale vincolante. Un accordo globale equo è possibile solo in un processo intergovernativo aperto, pienamente inclusivo e trasparente, in cui
il pubblico e la società civile possono chiedere conto ai negoziatori di proposte e decisioni, e in cui le proposte di accordi sono aperti al controllo pubblico. Tale processo è possibile solo nell’ambito di una negoziazione intergovernativa basata sulle Nazioni Unite a cui i paesi possano partecipare alla pari.
Ribadiamo quindi il nostro appello per l’istituzione di una commissione fiscale delle Nazioni Unite universale e intergovernativa e negoziare una Convenzione fiscale delle Nazioni Unite per affrontare in modo completo i paradisi fiscali, l’abuso fiscale da parte delle società multinazionali e altri flussi finanziari illeciti. Chiediamo ai paesi di superare il blocco per portare la riforma delle regole fiscali internazionali nelle Nazioni Unite e lavorare insieme per un processo di negoziazione veramente inclusivo e trasparente.

 

 


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