Palestina e Kurdistan: unità e mobilitazione

Palestina e Kurdistan: unità e mobilitazione

 

Marco Consolo*

Stefano Galieni**

 

Il contesto mediorientale continua ad essere attraversato da conflitti ad alta intensità che si ripercuote in Europa e nel nostro Paese. Per quanto riguarda Rifondazione Comunista, non si tratta soltanto di solidarietà internazionalista, che è parte integrante di tutta la nostra storia. Ma anche di effetti compositi sull’intera società europea, per quanto riguarda le relazioni internazionali, economiche, sociali e che si intrecciano con i rapporti economici e politici con i Paesi e i popoli interessati.

Quello che resta del legittimo Stato di Palestina, confinato nella Striscia di Gaza e frammentato dalla colonizzazione in Cisgiordania, ha subito l’ennesima vigliacca aggressione da parte dell’occupante israeliano, solo momentaneamente interrotta da un precario “cessate il fuoco”. L’alto numero di vittime civili, (in particolare minori), la distruzione di case e palazzi, di ospedali e cliniche già precarie, di reti di acqua potabile e fognature e di infrastrutture vitali per la società palestinese, sono l’ennesimo crimine contro l’umanità, commesso nel silenzio complice dell’Unione Europea e degli Stati Uniti.  In assenza di un’efficace pressione politica che costringa Israele a rispettare le risoluzioni Onu e a non perpetrare le proprie politiche annessionistiche (con una logica di “pulizia etnica”) ad ogni pausa del conflitto seguirà inevitabilmente una successiva e sanguinosa ripresa che sembra non avere fine.

Sul versante turco, contemporaneamente il regime di Erdogan, divenuto il vero dominus, in un’area che va dalla Tunisia alla Siria, con propaggini anche nell’Africa sub Sahariana, sta attuando una ulteriore aggressione militare nelle zone a maggioranza kurda. Le notizie che ci giungono da quelle aree, oscurate codardemente nel circuito mediatico, raccontano di bombardamenti con agenti chimici e bombe al fosforo, di pesanti azioni dell’esercito e, non da ultimo, di una ulteriore stretta repressiva delle condizioni carcerarie del Presidente Abdullah Ocalan. Detenuto dal febbraio 1999 nell’isola carcere di Imrali, le sue condizioni di detenzione sono peggiorate ulteriormente negli ultimi mesi. Impossibile per legali e parenti fargli visita, scarsa se non inesistente l’assistenza sanitaria. Lo stato di isolamento a cui è sottoposto equivale, né più né meno, ad una tortura feroce, applicata da un regime che con l’Europa e con l’Italia ha rapporti commerciali, militari e politici estremamente stretti.

Per tale motivo, le due mobilitazioni che si terranno a Roma, nel pomeriggio di sabato 5 giugno, indette dalle donne e dagli uomini provenienti da questi Paesi e presenti in Italia, rappresentano appuntamenti di estrema importanza per il nostro partito.

I rapporti fraterni che manteniamo con i rappresentanti dell’Ufficio Informazione Kurdistan in Italia (Uiki) e con i diversi settori della comunità palestinese in Italia, ci impongono di avvicinarci a questi due appuntamenti con il rispetto e la sincerità necessaria.

Sarebbe stato estremamente positivo far convergere le due mobilitazioni del prossimo 5 giugno in un solo appuntamento di solidarietà internazionalista. Prendiamo atto della volontà di dare diverse caratterizzazioni alle due mobilitazioni e non faremo mancare il nostro sostegno. Ma allo stesso tempo, ci auguriamo di poter realizzare presto mobilitazioni comuni dei popoli che subiscono l’occupazione e una sanguinosa repressione. Ce lo auguriamo di cuore, non solo perchè siamo con loro solidali, come parte di una battaglia comune. Ma anche perchè può aiutarci a cambiare in senso antiliberista e di innovazione politica anche la nostra società. Infatti, tanto fra il popolo palestinese, quanto nelle esperienze di confederalismo democratico kurdo, si configurano prospettive sociali laiche, realmente democratiche e partecipate, che propongono un modello di sviluppo capace di mettere al centro le persone ed il pianeta che abitano.

Su questo versante, come su altri, oggi quello che più conta è la volontà e capacità di mobilitazioni unitarie in Italia, così come è stato in queste settimane.

In Turchia e nel nord della Siria, su questa base le diverse culture hanno acquisito una forza tale da contagiare positivamente anche la società turca nelle sue componenti migliori, refrattarie all’islamizzazione autocratica imposta da Erdogan.

In Palestina, da decenni i diversi governi israeliani hanno tentato di impedire l’unità e la coesione popolare dei palestinesi, sostenendo e fomentando divisioni interne (sia nei territori annessi nel 1948, che in quelli occupati dal 1967) delle diverse organizzazioni palestinesi.

Di fronte a questi tentativi di divisione, presenti anche nelle comunità palestinesi in Italia ed in Europa, abbiamo percepito le difficoltà sorte attorno alla convocazione dell’appuntamento del 5 giugno. Difficoltà che registriamo e che sinceramente preoccupano. Con la stessa sincerità e con profondo rispetto, oggi chiediamo alle donne e agli uomini di Palestina presenti in Italia, di privilegiare le ragioni immense dell’unità al di là delle differenze interne.

Nonostante siano sotto occupazione, le nuove generazioni palestinesi stanno scompaginando steccati e barriere, in alcuni casi riuscendo anche a coinvolgere loro coetanei israeliani. Sono giovani nati dopo i falliti accordi di Oslo, che desiderano la pace e da cui c’è bisogno di imparare, anche con le loro critiche alle organizzazioni politiche preesistenti.

Ancora una volta, ci mettiamo a disposizione per alimentare insieme mobilitazione e dibattito, anche su temi ancora in discussione come il riconoscimento dello Stato di Palestina o le azioni di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Lo diciamo con profondo rispetto, dovuto a chi vive una durissima situazione di guerra e apartheid e che paga un prezzo altissimo per la liberazione del proprio popolo.

E’ un terreno che può servire anche alle tante anime della sinistra di alternativa nel nostro Paese, per capire come superare le divergenze mantenendo la pluralità e ritornando a pesare nel Paese.

 

*Responsabile Area Esteri e Pace, PRC-S.E.

**Responsabile Immigrazione PRC-S.E.


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