SANDERS: IL CONFLITTO NON È INIZIATO CON I RAZZI DI HAMAS

SANDERS: IL CONFLITTO NON È INIZIATO CON I RAZZI DI HAMAS

Sul New York Times ieri il senatore Bernie Sanders ha criticato politica USA verso Israele e ha smontato la narrazione dominante sui media italiani.

Bernie Sanders: Gli Stati Uniti devono smettere di essere apologeti del governo Netanyahu

“Israele ha il diritto di difendersi”.

Queste sono le parole che sentiamo sia dall’amministrazione democratica che da quella repubblicana ogni volta che il governo di Israele , con il suo enorme potere militare, risponde agli attacchi missilistici da Gaza.

Siamo chiari. Nessuno sostiene che Israele, o qualsiasi governo, non abbia il diritto all’autodifesa o alla protezione del suo popolo. Allora perché queste parole vengono ripetute anno dopo anno, guerra dopo guerra? E perché la domanda non viene quasi mai posta: “Quali sono i diritti del popolo palestinese?”

E perché ci sembra di prendere atto della violenza in Israele e Palestina solo quando i razzi stanno cadendo su Israele?

In questo momento di crisi, gli Stati Uniti dovrebbero sollecitare un cessate il fuoco immediato. Dovremmo anche capire che, mentre Hamas lancia razzi contro le comunità israeliane è assolutamente inaccettabile, il conflitto di oggi non è iniziato con quei razzi.

Le famiglie palestinesi nel quartiere di Gerusalemme di Sheikh Jarrah vivono da molti anni sotto la minaccia di sfratto, navigando in un sistema legale progettato per facilitare il loro spostamento forzato. E nelle ultime settimane, i coloni estremisti hanno intensificato i loro sforzi per sfrattarli.

E, tragicamente, quegli sfratti sono solo una parte di un più ampio sistema di oppressione politica ed economica. Per anni abbiamo assistito a un approfondimento dell’occupazione israeliana in Cisgiordania e a un continuo blocco su Gaza che rendono la vita sempre più intollerabile per i palestinesi. A Gaza, che conta circa due milioni di abitanti, il 70 per cento dei giovani è disoccupato e ha poche speranze per il futuro.

Inoltre, abbiamo visto il governo di Benjamin Netanyahu lavorare per emarginare e demonizzare i cittadini palestinesi di Israele, perseguire politiche di insediamento progettate per precludere la possibilità di una soluzione a due stati e approvare leggi che rafforzano la disuguaglianza sistemica tra cittadini ebrei e palestinesi di Israele.

Niente di tutto ciò scusa gli attacchi di Hamas, che erano un tentativo di sfruttare i disordini a Gerusalemme, o i fallimenti dell’Autorità Palestinese corrotta e inefficace, che di recente ha rinviato elezioni da tempo attese. Ma il nocciolo della questione è che Israele rimane l’unica autorità sovrana nella terra di Israele e Palestina, e invece di prepararsi per la pace e la giustizia, ha rafforzato il suo controllo ineguale e antidemocratico.

In oltre un decennio del suo governo di destra in Israele, Netanyahu ha coltivato un nazionalismo razzista di tipo sempre più intollerante e autoritario. Nel suo frenetico tentativo di rimanere al potere ed evitare procedimenti giudiziari per corruzione, Netanyahu ha legittimato queste forze, incluso Itamar Ben Gvir e il suo partito estremista Jewish Power, inserendole nel governo . È scioccante e triste che le folle razziste che attaccano i palestinesi per le strade di Gerusalemme ora abbiano una rappresentanza nella sua Knesset.
Queste tendenze pericolose non sono uniche per Israele. In tutto il mondo, in Europa, in Asia, in Sud America e qui negli Stati Uniti, abbiamo assistito all’ascesa di simili movimenti nazionalisti autoritari. Questi movimenti sfruttano gli odi etnici e razziali per costruire potere per pochi corrotti piuttosto che prosperità, giustizia e pace per molti. Negli ultimi quattro anni, questi movimenti hanno avuto un amico alla Casa Bianca.

Allo stesso tempo, stiamo assistendo all’ascesa di una nuova generazione di attivisti che vogliono costruire società basate sui bisogni umani e sull’uguaglianza politica. Abbiamo visto questi attivisti nelle strade americane la scorsa estate sulla scia dell’omicidio di George Floyd. Li vediamo in Israele. Li vediamo nei territori palestinesi.
Con un nuovo presidente, gli Stati Uniti hanno ora l’opportunità di sviluppare un nuovo approccio al mondo, basato su giustizia e democrazia. Che si tratti di aiutare i paesi poveri a ottenere i vaccini di cui hanno bisogno, di guidare il mondo nella lotta al cambiamento climatico o di lottare per la democrazia e i diritti umani in tutto il mondo, gli Stati Uniti devono guidare promuovendo la cooperazione sui conflitti.

In Medio Oriente, dove forniamo quasi 4 miliardi di dollari all’anno in aiuti a Israele, non possiamo più essere apologeti del governo di destra Netanyahu e del suo comportamento antidemocratico e razzista. Dobbiamo cambiare rotta e adottare un approccio equilibrato, che sostenga e rafforzi il diritto internazionale in materia di protezione dei civili, così come la legislazione statunitense esistente che afferma che la fornitura di aiuti militari statunitensi non deve consentire violazioni dei diritti umani.

Questo approccio deve riconoscere che Israele ha il diritto assoluto di vivere in pace e sicurezza, ma lo hanno anche i palestinesi. Credo fermamente che gli Stati Uniti abbiano un ruolo importante da svolgere nell’aiutare israeliani e palestinesi a costruire quel futuro. Ma se gli Stati Uniti vogliono essere una voce credibile sui diritti umani sulla scena globale, dobbiamo sostenere gli standard internazionali dei diritti umani in modo coerente, anche quando è politicamente difficile. Dobbiamo riconoscere che i diritti dei palestinesi sono importanti. Le vite palestinesi contano.

Traduzione di Maurizio Acerbo


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