E’ morta un’operaia.

E’ morta un’operaia.

La morte di Luana D’Orazio è la morte di una lavoratrice, l’ennesima, in un Paese in cui si muore svolgendo le proprie mansioni lavorative al ritmo di 1 persona al giorno.
In questi primi quattro mesi del 2021 le vittime sono state 121, a cui vanno aggiunti i 551 decessi di chi ha contratto il Covid a lavoro.
Gli incidenti mortali in aumento dell’11,4% nel primo trimestre, un andamento che rispecchia quello che è successo nel 2020, anno in cui le denunce con esito mortale nel 2020 sono state 1.270, 181 in più rispetto al 2019, una crescita del 16%.
La morte di una lavoratrice non è argomento da spettacolarizzare.
La morte di un’operaia non può essere l’occasione per l’esposizione mediatica e voyeuristica degli aspetti più intimi e commoventi della sua storia, della sua avvenenza o del suo essere giovane madre.
La morte di una lavoratrice o di un lavoratore, non dovrebbe essere, ma in quanto accade compito dei media è quello di denunciare le condizioni di lavoro, il ricatto salariale, lo smantellamento dei diritti e delle tutele, il lavoro sommerso, molto presente in Italia, in prevalenza nelle piccole e medie imprese che, per risparmiare e tagliare sui costi, non garantiscono neanche le minime condizioni di sicurezza fisica alle persone.
Chiediamo ai mezzi di informazione di cessare in questa narrazione superficiale e sessualizzante, avvilente anche per un rotocalco di gossip, e tornare a fare informazione reale e denuncia sociale.
Qui il link alla petizione lanciata dalle compagne di Rifondazione Comunista con le prime adesioni anche esterne:
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È morta un’operaia.


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