CITTO MASELLI RICORDA MONICELLI A 10 ANNI DALLA MORTE
Pubblicato il 29 nov 2020
Dieci anni fa ci lasciava Mario Monicelli. Evitiamo parole retoriche che a Mario non sarebbero piaciute. E’ stato un grande regista e anche un compagno che ci ha onorato con l’adesione al nostro partito. Lo ricordiamo sul nostro sito con un articolo del compagno Citto Maselli.
DIECI ANNI SENZA MARIO
Ero appena tornato da Udine dove ero stato ricoverato per una ischemia che mi aveva colto in treno mentre andavo ad un convegno su Montale, quando arrivò la telefonata di Candida Curzi dall’ANSA che mi chiedeva una conferma della morte di Monicelli che si diceva si fosse buttato da una finestra del quinto piano dell’ospedale San Giovanni. La prima reazione fu di dire che non solo non ne sapevo niente, ma che non era possibile perché Mario, più che novantenne, era vitalissimo e più giovane di tanti di noi. Subito dopo però le dissi che invece era del suo carattere e stile di vita di non permettere ad una malattia di decidere della sua vita o della sua morte, e dunque di aver preferito far tutto lui di sua volontà.
E il dolore per la sua scomparsa mi prese alla gola perché sentivo tutt’a un tratto quanto ci sarebbe mancata la sua amicizia e la sua vitalità intelligente e laica (non so come altrimenti definirla).
A dieci anni dalla sua morte la sua assenza ha scavato un vuoto incolmabile, nel cinema, nella cultura italiana, e anche nella politica (quella vera, nel senso più alto del suo significato).
Ancora oggi mi mancano i mercoledì con lui da Otello alla Concordia, quando si rifiutava d’essere accompagnato a casa in macchina nella non vicinissima via dei Serpenti dove si era trasferito novantenne per non dover dipendere dagli altri e dove abitava solo e orgoglioso della sua solitudine.
Mi manca la sua – la nostra – commozione fino alle lacrime quando visitammo insieme a Chiara Rapaccini e a Stefania Brai il bellissimo Museo di Kiev per i morti della Resistenza all’invasione nazista (eravamo lì in una giuria di un festival di cinema e dormivamo su una nave adibita ad albergo).
Mi manca quel suo non prendersi mai troppo sul serio e la sua profonda umiltà di fatto in tutti i suoi comportamenti.
Mi manca quel suo spirito laico ironico e autoironico, al limite della cattiveria ma senza mai cadere nell’astio o nella volgarità.
Mi mancano i suoi film, che spesso andavano oltre ogni definizione di comodo. Film come “I compagni” o come la stessa “Grande guerra” centrano tematiche e metafore estremamente complesse, degne, appunto, di una personalità e di una cultura di grande rilievo fra gli intellettuali italiani di oggi. In tutte le sue opere c’era una meravigliosa cura delle immagini e dei paesaggi espressivi, spesso in modo decisivo, del senso stesso dei suoi film.
Anche in questo senso Monicelli si distingue da tutti gli altri registi nel genere della commedia.
Mario ha deciso di vivere fino in fondo gli ultimi anni della sua vita, sempre dalla parte dei più deboli. Non è casuale quella sua ultima dichiarazione sulla necessità di una Rivoluzione che in Italia non c’è mai stata.
Nel 2001 accettò subito di venire a Genova per il film collettivo sul Social Forum e sul G8 e volle girare – lui laico e ateo – tutto il settore dei religiosi e in particolare delle monache che parteciparono alle manifestazioni. Dal quel momento da intellettuale di sinistra diventa intellettuale militante.
È con noi in Palestina per realizzare un altro dei nostri film collettivi, girando sotto i bombardamenti e senza mai risparmiarsi.
È a L’Aquila dopo il terremoto, è con i lavoratori che occupano l’Eutelia. È nelle scuole a discutere con i ragazzi dei suoi film e non solo. Accetta subito la nostra proposta (“se in quei giorni starò bene”) di far parte della delegazione internazionale che Chavez aveva chiesto a garanzia delle elezioni venezuelane. Si iscrive a Rifondazione (unica tessera di partito della sua vita) ed è sempre e incondizionatamente vicino alle nostre lotte e iniziative, a
testimonianza di una tensione intellettuale e morale sempre più unica oggi. Segue tutto, partecipa ad ogni iniziativa che ritiene possa essere “utile”, si incuriosisce di tutto. Vuole sempre capire, anche le ragioni degli altri.
Col produttore Mauro Berardi realizza quello che sarà il suo ultimo film “Le rose del deserto”. Film originalissimo e giovanile, quasi “un’opera prima”, girato, a detta di tutti i collaboratori, con una tempra impavida sotto il sole cocente e i quaranta gradi all’ombra.
Mario ha lasciato un grande vuoto, non solo per gli è stato amico e gli ha voluto bene, ma anche per tutta la sinistra che non può più contare sull’intelligenza, sull’ironia e sulla presenza attiva, incondizionata e convinta di un intellettuale comunista.
E poi…. Dato che lui parlava sempre della necessità di una grande rivoluzione comunista mi sa che ci toccherà farla. Come dicevano i ragazzi del suo quartiere scesi in corteo alla sua morte con in testa uno striscione che diceva “ciao Mario, la faremo ‘sta rivoluzione”.
Ciao Mario. Ancora ciao e, dati i miei novant’anni, a presto.
Citto Maselli
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