Lucio Libertini: Perché un movimento di rifondazione comunista (1990)
Pubblicato il 7 ago 2020
Il 7 agosto 1993 moriva il compagno Lucio Libertini, uno dei principali fondatori del nostro partito. Nella sua orazione funebre Armando Cossutta lo definì giustamente “una delle figure più eminenti, una delle personalità più libere e vive della sinistra italiana: socialista, comunista, rivoluzionario libertario sempre”. Vi proponiamo un suo intervento pubblicato nel 1990 sul quotidiano L’Unità che ci ricorda la sua battaglia contro la “svolta della Bolognina” che avrebbe condotto l’anno successivo allo scioglimento del PCI. Libertini motivava le ragioni di quella mozione del NO che scelse di definirsi “per la rifondazione comunista”. Un testo che ci riporta alle origini del nostro progetto e che ce ne ricorda il senso e il compito. Segnaliamo la recente pubblicazione del libro del nostro compagno Sergio Dalmasso dedicato alla figura di Lucio Libertini e al suo lungo viaggio nella sinistra italiana.
Nei congressi sentiamo ripetere frequentemente un ritornello banale: il nome non conta, andiamo al di là del sì e del no. E, a ben vedere, una affermazione inconsistente o pretestuosa, perché ciò che è in discussione non è un nome, ma, con un nome, una identità culturale e politica, e ogni contenuto, ogni programma, ha la sua radice in una identità. Non a caso, o per capriccio, da anni è in corso una massiccia campagna dei grandi mezzi di informazione, diretta ad indurci ad abbandonare il nome comunista e la nostra identità di comunisti italiani, perché così si tagliano gli ancoraggi ideali e si diviene più facilmente preda di una deriva verso destra. In realtà la questione di fondo che è in discussione e che investe l’intera sinistra europea (ma, ovviamente, in modo più diretto il Pci) e sulla quale occorre pronunziarsi con nettezza, riguarda un interrogativo centrale: se la vicenda di questo secolo, con il tragico fallimento dei regimi dell’Est, segni la vittoria definitiva del capitalismo, che diviene un limite insuperabile della storia umana, seppellendo la questione del socialismo; o se invece la tragica degenerazione di un grande processo rivoluzionario, che comunque ha inciso sulla storia del mondo, e le nuove gigantesche contraddizioni del capitalismo, a scala planetaria, ripropongano in termini nuovi la questione del socialismo e dell’orizzonte ideale, assai più lontano. del comunismo. Molti di noi abbiamo rifiutato da tempo (chi scrive da sempre) di definire socialisti e comunisti quei regimi pur se ne riconoscevamo alcune storiche realizzazioni; ed è singolare che essendo stato per questo definito nel passato un revisionista e quasi un traditore, ora mi si voglia fare apparire un «conservatore» stalinista perché rifiuto di seppellire il socialismo sotto le macerie dell’Est. Ecco, dunque, la questione Una questione che la proposta di Occhetto scioglie in una direzione ben precisa, perché da essa è assente ogni riferimento al comunismo ed al socialismo: perché la suffragano confusi discorsi su di una prospettiva che sarebbe «al di là del socialismo»; perché la identificano le dichiarazioni esplicitamente anticomuniste e antisocialiste di numerosi esponenti della cosiddetta sinistra sommersa, pronti ad essere cooptati nel gruppo dirigente del nuovo partito; perché il modello organizzativo che si propone ha caratteri sin troppo significativi, di ispirazione democratico-radicale. Non a caso essa ha suscitato l’opposizione di Bassolino, che si è accorto, sia pur tardi, dei contenuti moderati dell’operazione, e la riserva, destinata a diventare dissenso esplicito, dell’area socialista-riformista, che da solco del movimento socialista europeo non intende uscire. Tutto ciò – la perdita della identità e del riferimento al socialismo – spiega il processo di disfacimento che la «svolta» ha indotto sul piano organizzativo ed elettorale. Una crisi ci sarebbe comunque stata in ragione della vicenda storica che attraversiamo, ed una rifondazione era comunque necessaria, ma la «svolta», per i suoi contenuti, trasforma la crisi in disfatta. Proprio perché abolire una identità sostituendola con una fuga nel vuoto, mette in causa gli ideali che ci hanno fatto stare e lottare insieme, fuggendo dalla questione dei contenuti del socialismo, invece di affrontarla. Ecco, dunque, perché considero con interesse la posizione, sia pure ancora ambigua, di Bassolino e di altri compagni, lo stesso emergere di un’area socialista riformista, e la posizione di tanti compagni che, pur accettando il Pds, non vorrebbero rinunciare al socialismo E perché considero la rifondazione comunista non una mozione, ma un impegno culturale e politico di lunga lena, attorno alla quale costruire un movimento, non ristretto all’ambito organizzativo del Pci attuale (dal quale è fuoriuscita una vasta area di comunisti e che ha perso il rapporto con le nuove generazioni). Siamo in campo per evitare che il congresso segni una svolta irreversibile nel senso che ho indicato Ma siamo in campo, ancor di più, per porre in Italia la questione dell’esistenza di una forza politica e sociale che, partendo dalle grandi e crescenti contraddizioni del capitalismo – la questione Nord-Sud, la questione ambientale, la questione di classe, i processi di emarginazione, l’intreccio con la grande questione femminile – riproponga in termini nuovi e avanzati la questione del socialismo. Siamo in campo per evitare che la democrazia sia azzoppata dal rifluire nel disimpegno e nella astensione di tanta parte del mondo del lavoro privato di vera rappresentanza, siamo in campo per costruire con le nuove generazioni una prospettiva nuova, respingendo l’omologazione ai modelli imperanti di una società dominata da una concentrazione senza precedenti del potere. Sappiamo di indicare una via non facile e aspra, oggi controcorrente. Una forza politica che non abbia la capacità di stare nelle ragioni di fondo della storia, e si pieghi a mode e condizionamenti esterni, va fatalmente alla deriva. Una cosa è rifondarsi, altra cosa è abiurare.
L’Unità, 14/12/1990
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