La “regolarizzazione” nel c.d. Decreto rilancio: luci, ombre e… lacrime

La “regolarizzazione” nel c.d. Decreto rilancio: luci, ombre e… lacrime

Dal sito dei Giuristi Democratici un primo commento all’art. 110-bis del c.d. Decreto rilancio, a opera dell’Avv. Pier Luigi Panici
 

Una enfasi propagandistica e una gigantesca mistificazione accompagnano la discussione sulla “regolarizzazione” dei lavoratori nei settori di attività agricola, di assistenza e cura alla persona e del lavoro domestico, prevista dall’art. 110-bis del Decreto c.d. “Rilancio”.

Il fine precisato nella rubrica della norma di “Emersione di rapporti di lavoro” è  però contraddetto e appare comunque inadeguato negli oltre 21 commi del farraginoso articolo.

Innanzitutto: e per tutti gli altri settori di produzione di beni e servizi rimane il lavoro nero? Chiariamo subito che il lavoro “in nero” è illegale e le sua enorme diffusione inquina l’attività economica creando concorrenza sleale verso gli imprenditori corretti, danneggia lo Stato per la totale evasione fiscale e contributiva, comporta lo sfruttamento dei lavoratori e favorisce l’infiltrazione della criminalità: dunque minaccia lo stato di diritto e la democrazia.

Non si comprende allora perché una iniziativa per la legalità nel mondo del lavoro sia “parziale” ed addirittura per un tempo “breve” (sei mesi). E dopo? Bentornate: illegalità, invisibilità, sfruttamento, criminalità organizzata, violazione della dignità dei lavoratori!

La gigantesca mistificazione risiede innanzitutto nel riferimento alla lotta al “caporalato”, così banalizzando e minimizzando l’importante Legge 29.10.2016, n. 199 che punisce anche penalmente (con l’introduzione dell’art. 603-bis c.p.) «la intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro»: che si riferisce dunque a tutta la attività economica di produzione di beni e servizi.

La legge prevede altresì (art. 3) incisivi interventi di «controllo giudiziario dell’azienda e rimozione delle condizioni di sfruttamento».

Ma, ed è l’aspetto più importante volutamente ignorato dalla propaganda a reti unificate: punisce non solo chi “recluta” manodopera (nell’agricoltura è denominato “caporale”) bensì anche chi la utilizza e la sfrutta!

Si tratta quindi di un fenomeno vietato e punito, in via generale, e la tutela è apprestata, continuativamente  e non “a termine”, per tutte le persone che lavorano, ovvero gialli, bianchi, neri, italiani, comunitari ed extra.

Il riferimento della Ministra Bellanova, a reti e giornali unificati, al solo caporalato è fuorviante e propagandistico perché nasconde i veri responsabili della diffusa illegalità e sfruttamento: gli agrari senza scrupoli.

Prima del malriuscito tentativo di lacrimucce, un mese fa sosteneva le stesse cose che una parte dei pentastellati, da ultimi, hanno affermato per contrastare la regolarizzazione: ossia che nei campi dovessero andarci “coloro che prendono sussidi pubblici” (Naspi, reddito di cittadinanza, addirittura Cig).

Di qui, è seguita l’obiezione che ciò è in parte già previsto per chi percepisce il reddito di cittadinanza e che per gli altri (a parte i profili di incostituzionalità del “lavoro forzato”) era semplicemente velleitario. Per un qualunque percettore di Naspi e lavoratore in Cig occorre:

- trasportarlo nei campi;

- lì allestire spogliatoi, docce, mensa e persino alloggi se troppo costoso e faticoso è il viaggio di andata e ritorno;

- sottoporlo a formazione perché la filiera agricola non si esaurisce con la raccolta, ma continua con nuove produzioni;

- dotarlo di apposita patente per i mezzi agricoli il cui utilizzo è assai diffuso.

Infatti gli stessi agricoltori hanno obiettato che ci sono tanti gialli, neri, bianchi in prossimità dei campi, anche senza troppe pretese igieniche e particolari diritti pronti all’utilizzo.

La pressione di centinaia di associazioni, anche di giuristi, ha fatto cambiare idea anche alla ministra Bellanova.

Le sue reboanti dichiarazioni secondo cui “lo Stato è più forte del caporalato” omettono però di rilevare che “qualcuno” chiede agli autisti/caporali di reclutare manodopera; quel “qualcuno” dà loro indicazioni sul numero, direttive per l’attività e orari per i lavoratori; infine quel “qualcuno” li sfrutta nei campi a tre euro l’ora e senza contributi e Irpef.

L’errore della “emersione”, prevista nel d.l. “Rilancio”, è dunque nella parzialità, nella temporaneità e persino, al comma 7.b, nella «inammissibilità» della regolarizzazione per il datore di lavoro condannato per intermediazione illecita e sfruttamento, che è un vero controsenso: la legge 199/2016, all’art. 3, prevede proprio la… ”regolarizzazione” come ulteriore sanzione.

Purtroppo anche questa “emersione” a tempo, come le altre periodiche, non risolvono il problema, ma lo ripropongono per il futuro: e una seria, matura, e generale soluzione sta in questa semplice proposta della associazione “Comma 2 – Lavoro è Dignità”:

«1. In sede di regolarizzazione per via giudiziaria o amministrativa di prestazioni lavorative non precedentemente denunciate dal datore di lavoro, si presume l’esistenza di un rapporto lavorativo subordinato a tempo pieno fin dal momento della prima prestazione accertata.

  1. Il lavoratore il cui rapporto di lavoro sia stato regolarizzato ai sensi del comma che precede può essere licenziato, nel quinquennio successivo, solo per giusta causa e giustificato motivo soggettivo.
  2. I commi che precedono trovano applicazione anche quando il rapporto di lavoro irregolare sia intercorso con lavoratore extracomunitario non in possesso del permesso di soggiorno, e il lavoratore acquisisce il diritto al suo rilascio con validità non inferiore al periodo di garanzia di cui al secondo comma».

Quanto ai proclami e alle lacrime dei politici, se ne è già occupato, con la poesia “La sincerità ne li comizi”, Trilussa nel 1920: «…E lì rimise fora l’ideali, li schiavi, li tiranni, le catene, li re… e poi parlò di li principi sui: e allora pianse, pianse così bene che quasi ce rideva pure lui».

               Pier Luigi Panici

Pier Luigi Panici

 


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