Aggiornamenti dal Brasile: contagi

Aggiornamenti dal Brasile: contagi

a cura di Teresa Isenburg
Provo a raccontare un po’, in termini personali, la situazione del Brasile e di San Paolo nel cono d’ombra della pandemia. Innanzitutto quali sono gli attori principali, almeno due: il virus, naturalmente, e la disuguaglianza sociale. Come mi ha fatto notare una amica, “siamo tutti nelle stessa barca” è un apocrifo. Aggiungo che forse siamo nello stesso mare. Ma non tutti nel mare sono uguali, né come habitat né come posizione sociale. Una grande massa, soprattutto della popolazione urbana, vive di lavori anche continuativi, ma informali: quello che viene guadagnato ogni giorno serve per andare avanti per un breve tempo; se un giorno non si guadagna, non si riesce ad andare avanti. Era stato previsto un piccolo aiuto di emergenza per strati in grave difficoltà da consegnare attraverso conto bancario. Con stupore il presidente della Caixa Economica ha scoperto che 40% (quaranta) dei destinatari non avevavo conto bancario. Abisso fra paese reale e classe dirigente oggi al potere… Gli ammortizzatori sociali sono stati annullati negli ultimi quattro anni di governi illegittimi e/o antisociali e quindi è facile, facilissimo licenziare e abbandonare i cittadini al proprio destino.
Tuttavia alla base molte realtà si difendono e si organizzano autonomamente e con settori sociali legati al territorio. Un esempio per tutte: il quartiere di Paraisopolis nella zona sud di San Paolo con 80/100.000 abitanti , nato anni fa come favela e ancora oggi con una urbanizzazione incompleta, con la sua União dos moradores e do commercio de Paraisopolis presieduta da Gilson Rodrigues ha contrattato un piccolo gruppo di medici, infermieri, ambulanze che si sono trasferiti in loco, ha attivato un gruppo di quasi 500 abitanti che vigilano ognuno un settore, ha attrezzato 500 letti per accogliere chi deve isolarsi e non ne ha condizione. Sarà molto interessante vedere come il contagio è stato qui controllato. Ma molte e varie sono le forme di intervento territoriale, dai negozi e supermercati alimentari che distribuiscono pacchi di generi di prima necessità (anche per evitare i saccheggi) ai piccoli e grandi coordinamenti che accompagnano in vario modo le molte e popolose occupazioni.
Quello che dovrebbe essere l’attore principale, cioè il governo federale, è, nel suo vertice, negazionista. Il ministro della salute Luiz Henrique Mandetta che seguiva le disposizioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità/OMS e introduceva elementi di razionalità nel gestire la pandemia è stato licenziato e sostituito il 16 aprile da Nelson Teich che ha inaugurato la sua gestione con una serie di dichiarazioni necrofile ed economiciste. I dati statistici divulgati dal Ministero della Salute arrivano con giorni di ritardo, la causa di morte è indicata senza verifica specifica sul virus Covid-19, spesso si indica genericamente polmonite. Al momento si parla di 43.592 contagiati e 2769 morti. Secondo la rispettata Fiocruz/Fondazione Oswaldo Cruz i contagi potrebbero essere da sette a nove volte superiori. E non si è ancora arrivati al vertice ascendente della curva.
Vedendo le immagini delle distese di fosse predisposte nei cimiteri qualche cosa non quadra. Il più grande cimitero di San Paolo, Vila Formosa, un bellissimo parco pieno di alberi fioriti, informa che è passato da 20 a 60 tumulazioni al giorno. Dall’Amazzonia giungono notizie di tragedia (annunciata) che trascina con sé le comunità indigene. La gravità della mancanza di dati credibili non è solo un oltraggio per i cittadini e le cittadine della Federazione, ma è un crimine internazionale. Mentre ricercatori e studiosi si impegnano al massimo livello e intensità per capire come questo virus si diffonde e si trasmette e quindi i dati e la loro localizzazione sono fondamentali, un grande paese come il Brasile si permette il lusso di essere approssimativo. E forse non in modo innocente. Lo stimato giornalista Jamil Chade, che segue il quadro internazionale a Ginevra, informa che il cosiddetto ministro degli esteri del Brasile, Ernesto Araújo, in un testo sulle reti sociali afferma che “il coronavirus ci sveglia di nuovo con l’incubo comunista” e che l’idea è di trasferire poteri all’OMS per un piano comunista. La pressione dell’esecutivo federale per riaprire tutte le attività è molto forte, coadiuvata dagli industriali.
Per quanto riguarda i governatori dei singoli stati,  su di loro ricade la gestione reale della pandemia. Essi seguono in generale le disposizioni OMS, con molte difficoltà dal momento che i trasferimenti di risorse dal centro sono lentissimi. Così come rallentati al massimo risultano i versamenti di sussidi emergenziali di livello inadeguato e destinati comunque a una minoranza di cittadini. Di fatto vi è una dicotomia di poteri contrapposti, esecutivo federale da un lato e governi statali e amministrazioni comunali soprattutto delle grandi città dall’altro. San Paolo è in quarantena, il sindaco ha su questo posizioni ferme, anche se è probabile una parziale riapertura del commercio e dell’industria. La città è silenziosa, il traffico quasi nullo, l’aria respirabile. Lo Stato di San Paolo con i suoi 44 milioni di abitanti (12 nel comune di San Paolo, 21 nella Grande San Paolo) è in quarantena e così il resto del paese. Nonostante il negazionismo che viene dall’alto. L’insostituibile SUS/Servizio unico di salute, martoriato da un lustro di riduzione degli investimenti, si impegna ovunque in modo esemplare. La sanità privata latita.
Il pericoloso contesto sanitario è aggravato dal comportamento pubblico del signor Bolsonaro che in continuazione convoca assembramenti dei propri sostenitori per esprimere opinioni negazioniste e incitare a riprendere le attività. Questo a sua volta incentiva gruppi vari di attori negazionisti che qui, come negli Stati Uniti, manifestano, per lo più in carovame di auto, in varie città, a cominciare da San Paolo. Appoggiano tali posizioni nefaste i padroni sacerdoti delle chiese neopentecostali che chiedono l’apertura dei loro locali, si fanno fotografare con il signor Bolsonaro e seminano confusione e disorientamento oltre che contagio fra i loro infelici seguaci. Il rischio del sovraccarico delle strutture sanitarie pubbliche ovviamente in questo modo aumenta. Ripeto che la sanità privata, in Brasile molto vasta, è perfettamente assente. Come assenti, sempre a livello federale, sono alcuni ministri che fino a ieri erano di un protagonismo patologico: il cosiddetto ministro della giustizia Sérgio Moro è scomparso, così come non si vede e non si sente la pastora cosiddetta ministra della famiglia, della donna e dei diritti umani Damares Alves: come se in questo periodo i due settori non chiedessero vigilanza e massima presenza istituzionale.
In questo contesto domenica 19 aprile, giorno dell’esercito, il signor Bolsonaro ha ritenuto opportuno presentarsi davati alla caserma generale dell’esercito a Brasilia radunando suoi accoliti inneggianti alla fine dell’isolamento sociale, alla reintroduzione dell’Atto Istituzionale 5/AI-5 emanato nel 1968 dalla dittatura militare, alla chiusura del Parlamento e del Supremo tribunale federale/STF. Il virus dell’attacco alle istituzioni dilaga pericoloso e volgare.
Chiudo queste osservazioni personali traducendo un testo di João Vicente Goulart, medico, figlio di Jango, il presidente João Goulart che, insieme ad un gruppo di straordinaria qualità di politici, quadri sindacali e studiosi, con coraggio nel suo breve mandato aveva messo all’ordine del giorno riforme strutturali di vasta portata. Il colpo di stato militare del 31 marzo 1964 spezzava tale percorso. Nell’agosto 2016 di nuovo l’ élite oscurantista ha voluto interrompere il percorso riformatore moderato dei governi di centro sinistra. La rottura del rispetto della Costituzione ha aperto una deriva fascistizzante che oggi mostra il suo volto feroce e disumano. Le parole di João Vicente ci dicono che c’è altra strada proprio nel giorno, il 21 aprile 1960, in cui 60 anni fa veniva inaugurata la nuova capitale di Brasilia simbolo, nella sua bellezza archiettonica, di una grande speranza. (T.I.)

Coronavirus: la rivoluzione dei cieli
di João Vicente Goulart
Nella solitudine del confinamento umano, un tempo di riflessione, un tempo che dà priorità all’esistenza del regno animale, delle foreste sussurranti, dei mari silenziosi, della quiete della Natura, che si muove ed esige cambiamenti.
L’umanità si è fermata, le necessità dell’uomo sono in discussione, i privilegi della ricchezza tacciono, la mobilità  avviene solo a favore degli animali, il potere di acquisto si arrende davanti alla morte, e la vita deve essere ripensata.
L’essere umano ripensa la propria esistenza planetaria e vede, obbligato da una tragedia celestiale, l’insensatezza del capitalismo nel processo di accumulazione e profitti, e che l’essenza dell’esistere passa innegabilmente dalla relazione umana, trasportata dalla coesistenza con solidarietà, umanesimo, comunità e di nuovo solidarietà, mostrando agli esserei umani che non sono divinità, né padroni del proprio destino.
I club delle élites, i macchinoni, yacht, casinò, aerei privati e altri lussi, gli acquisti nella 5th Avenue con il fascino della Grande Mela, o degli Harrods della Londra imperiale, si arrendono alla realtà che non sono in questo viaggio per sempre.
Siamo solo di passaggio, e non dobbiamo sfidare le forze di energia onnipresente che ci governa perché impareremo per forza che il nostro ultimo sospiro, soffiando il Coronavirus, ci mostrerà che non siamo stati sufficientemente meritevoli, con le tasche piene, per evitare la morte.
È la rivoluzione dei cieli che raggiunge la Terra.
Il Pianeta ci mostra la sua forza, stanco degli abusi, solcato da ferite, tinto di fumo e caricando l’umanità sulle spalle brucianti e sanguinanti, per l’incomprensione della relazione con la vita, per l’indifferenza verso le diseguaglianze che abbiamo creato, senza dare attenzione ai nostri esseri vivi e simili.
La rivoluzione si installerà portando un nuovo sentimento, di cambiamenti profondi, spirituali, metafisici, esistenziali e collettivi per convivere in società.
Tutto per una forza fino ad ora ignota.
Coronavirus è il nome dell’allarme e la realtà della riflessione.
Fino a quando non diremo l’uno all’altro: camminiamo insieme?

Fonte: Vermelho, 21 aprile 2020; testo e traduzione di Teresa Isenburg

 

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