La Confindustria di Bonomi all’assalto del potere

La Confindustria di Bonomi all’assalto del potere

di Paolo Ciofi

Non è stato un buon inizio quello di Carlo Bonomi, presidente di Assolombarda, l’associazione degli industriali di Milano, Monza e Brianza, dimostratasi un fattore non insignificante nell’eccezionale e tragica diffusione del virus in Lombardia, e ora presidente designato della Confindustria italiana. Congratulazioni e auguri sono piovuti da molte
parti, ma i precedenti contano e non sono beneauguranti. 
Soprattutto perché nelle aggressive parole subito pronunciate dal neo presidente è mancato l’essenziale.
Ecco il nostro progetto per tutelare la salute di chi lavora in fabbrica, in modo che la ripresa sia rapida e sicura; ed ecco le scelte degli industriali italiani per dotare il Paese delle mascherine e dei tamponi, indispensabili per sconfiggere il virus. Queste sono le parole che avremmo dovuto sentir dire da chi rappresenta le imprese su cui si
regge la base industriale e produttiva del Paese. Invece su questi temi decisivi il silenzio è stato tombale. Forse anche
perché è una vera vergogna che il sistema industriale italiano non sia in grado di fornire gli strumenti essenziali per combattere la pandemia.
La politica, ha dichiarato il Bonomi, noto esponente della «concretezza lombarda» come il presidente leghista della Regione Fontana, «ci ha esposto a un pregiudizio anti-industriale». Quindi c’è bisogno del massimo impegno per passare all’offensiva e affermare il «potere» della Confindustria, ossia del capitale. Intanto, per aprire tutti e per aprire subito. E poi per prendere direttamente il comando nel governo.  Questa, che viene sbandierata come la vera innovazione rispetto alle incertezze di chi governa,

in realtà è l’espressione aggiornata della tradizionale e gretta visione corporativa e di classe del capitalismo italiano. Che ha portato il Paese al declino e sull’orlo della catastrofe.
Nessuna visione dell’interesse generale e del benessere comune. Solo i dane’ e l’arricchimento personale.
Non per caso, dietro il piccolo imprenditore del biomedicale sempre ammanicato col potere che conta, e oggi portato alla presidenza di una Confindustria votata a configurarsi come un vero e proprio partito del capitale, c’è l’artiglieria
pesante del capitalismo lombardo. Gente come Gianfelice Rocca, presidente di Techint e dell’Istituto Clinico Humanitas, Marco Tronchetti Provera vicepresidente di Pirelli, Emma Marcegaglia portata alla presidenza dell’Eni da Matteo Renzi, e altri consimili.
Si tratta di quel vertice del capitale che tra privatizzazioni e svendite del pubblico, cessioni dei pacchetti azionari alle multinazionali straniere e uso a gogò dei paradisi fiscali, si è arricchito in maniera indecente nell’impoverimento complessivo del Paese. Di fronte alla perdita del 30 per cento del potenziale industriale dell’Italia, già prima dell’irruzione del Coronavirus, di che parliamo se non del fallimento clamoroso di una intera classe dirigente?
Di cui Confindustria è stata parte organica e decisiva.

Sì, c’è bisogno di una svolta. Ma nel senso contrario a quella propugnata da Bonomi & Company. Cominciando con lo stabilire che la Repubblica, questa Repubblica, insieme alla salute «come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività», «tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni». Forse il «concreto» Bonomi non lo sa, ma lo dice la Costituzione. La quale – ne prenda nota -afferma anche che l’iniziativa economica privata «non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità della persona».

www.paolociofi.it



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