Rosa Luxemburg e il comunismo

Rosa Luxemburg e il comunismo

di Michael Löwy

Nel gennaio del 1919 Rosa Luxemburg, fondatrice del Partito comunista tedesco (Lega di Spartaco) fu uccisa da un’unità dei Freikorps, le bande di ufficiali e militari controrivoluzionari – un terreno fertile per il futuro partito nazista- inviati a Berlino dal ministro socialdemocratico Gustav Noske per schiacciare la rivolta spartachista.

Lei fu – come Emiliano Zapata in quello stesso anno – una “vinta dalla storia”. Ma il suo messaggio rimane vivo in quella che Walter Benjamin definisce “la tradizione degli oppressi”; un messaggio allo stesso tempo, e inseparabilmente, marxista, rivoluzionario e umanista. Sia per quanto riguarda la critica del capitalismo come sistema disumano, la lotta contro il militarismo, il colonialismo, l’imperialismo, sia per la sua visione di una società emancipata e per la sua utopia di un mondo senza sfruttamento, senza alienazione e senza confini, questo umanesimo comunista attraversa come un filo rosso i suoi scritti politici e anche le sue corrispondenze, le sue emotive lettere dal carcere, lette e rilette da generazioni successive di giovani attivisti del movimento dei lavoratori.

Nella prospettiva di una ripresa del comunismo nel XXI secolo vorrei evidenziare in particolare quattro temi del suo pensiero: l’internazionalismo, una concezione aperta della storia, l’importanza della democrazia nel processo rivoluzionario e il suo interesse per le tradizioni comuniste pre-moderne(1) .

 

L’internazionalismo

In primo luogo, nell’era della globalizzazione capitalista, della mondializzazione neoliberista, del dominio globale del grande capitale finanziario, dell’internazionalizzazione dell’economia al servizio del profitto, della speculazione e dell’accumulazione, la necessità di una risposta internazionale, di un’internazionalizzazione della resistenza – in breve di un nuovo internazionalismo – è più attuale che mai. Tuttavia, poche figure del movimento operaio hanno incarnato così radicalmente come Rosa Luxemburg l’idea di internazionalismo, l’imperativo categorico dell’unità, dell’associazione, della cooperazione e della solidarietà degli sfruttati e degli oppressi di tutti paesi e di tutti i continenti.

Come sappiamo, insieme a Karl Liebknecht, è stata uno dei pochi leader del socialismo tedesco ed europeo che si oppose all’Union Sacrée e al voto a favore dei crediti di guerra nel 1914. Le autorità imperiali tedesche – con il sostegno dell’ala destra dei socialdemocratici – le fecero pagare caro per la sua coerente opposizione internazionalista alla guerra imprigionandola per la maggior parte del conflitto. Di fronte al drammatico fallimento della Seconda Internazionale, lei sognava di creare una nuova associazione mondiale di lavoratori. Solo la morte le impedì di partecipare, insieme ai rivoluzionari russi, alla fondazione dell’Internazionale comunista nel 1919.

In pochi compresero, come lei, il pericolo mortale rappresentato per i lavoratori dal nazionalismo, dallo sciovinismo, dal razzismo, dalla xenofobia, dal militarismo e dall’espansionismo coloniale o imperiale.

Che si sia d’accordo o meno con le sue tesi sulla questione nazionale, non si può mettere in discussione la forza profetica dei suoi scritti. Uso la parola “profetico” nel suo senso biblico originale (così ben definito da Daniel Bensaid nei suoi ultimi scritti): un profeta non è colui che afferma di fare una “previsione oracolare di un destino implacabile”, ma colui che pronuncia una “anticipazione condizionale”, che avverte le persone dei disastri che accadranno se non prendono una strada diversa.(2)

Una concezione aperta della storia

In secondo luogo, e dopo un secolo che non è stato solo quello degli “estremi” (Eric Hobsbawm), ma anche delle espressioni più brutali della barbarie nella storia dell’umanità, non possiamo che ammirare un pensiero rivoluzionario come quello di Rosa Luxemburg, che rifiutò l’ideologia confortevole e conformista del progresso lineare, il fatalismo ottimista e l’evoluzionismo passivo della socialdemocrazia, la pericolosa illusione – di cui Walter Benjamin parla nelle sue Tesi del 1940 – secondo cui bastava nuotare nella direzione della corrente, e aspettare che sorgano le condizioni oggettive giuste (3). Quando nel 1915 scrisse nell’opuscolo La crisi della socialdemocrazia (firmato con lo pseudonimo di Junius), lo slogan “socialismo o barbarie”, Rosa Luxemburg ruppe con la concezione -di origine borghese- della storia come un progresso irresistibile, inevitabile, garantito dalle leggi oggettive dello sviluppo economico o dell’evoluzione sociale(4). Una concezione che fu sostenuta, per esempio, da Gyorgy Valentinovitch Plekhanov, per il quale la vittoria del programma socialista era inevitabile come il sorgere del sole. La conclusione politica di questa ideologia “progressista” poteva essere solo la passività: chi sarebbe abbastanza pazzo da rischiare la vita combattendo per assicurarsi che il sole sorgesse al mattino?

Ritorniamo brevemente sul significato politico e filosofico dello slogan “Socialismo o barbarie”. È suggerito in alcuni testi di Marx o Engels(5), ma è Rosa Luxemburg a dargli una formulazione esplicita e definita. Essa implica una percezione della storia come un processo aperto, come una serie di “biforcazioni” in cui il “fattore soggettivo” degli oppressi – coscienza, organizzazione, iniziativa – è un fattore decisivo. Non si tratta più di aspettare che il frutto “maturi” secondo le “leggi naturali” dell’economia o della storia, ma di agire prima che sia troppo tardi. Rosa Luxemburg non usa questo termine per riferirsi a una “regressione” impossibile a un passato tribale, primitivo o “selvaggio”; per lei, è una barbarie eminentemente moderna, di cui la prima guerra mondiale ha presentato un esempio lampante, anche peggiore nella sua omicida disumanità delle pratiche bellicose dei conquistatori “barbari” del tardo impero romano. Mai prima di allora le moderne tecnologie – carri armati, gas e aviazione militare – erano state poste al servizio di una politica imperialista di massacri e aggressioni su una scala così immensa.

Dalla prospettiva della storia del XX secolo, lo slogan di Rosa Luxemburg si è rivelato profetico: la sconfitta del socialismo in Germania aprì la strada alla vittoria del fascismo di Hitler e, in seguito, alla Seconda Guerra Mondiale, la scena della più mostruosa barbarie moderna che l’umanità abbia mai conosciuto, di cui il nome di Auschwitz è diventato un simbolo.

Non è un caso che l’espressione “socialismo o barbarie” sia diventata bandiera e simbolo di riconoscimento di uno dei gruppi più creativi della sinistra marxista della Francia del dopoguerra: il gruppo che si radunò intorno alla rivista con lo stesso nome durante gli anni ’50 e ’60, animato da Cornelius Castoriadis e Claude Lefort.

La scelta e l’avvertimento indicati dallo slogan di Rosa Luxemburg continuano a essere all’ordine del giorno nei nostri tempi. Il lungo periodo di declino delle forze rivoluzionarie – da cui cominciamo a uscire poco a poco – è stato accompagnato dalla proliferazione di guerre e massacri di pulizia etnica, dai Balcani fino all’Africa, dalla crescita di ogni genere di razzismo, sciovinismo e fondamentalismi, anche nel cuore dell’Europa “civilizzata”.

Ma c’è un nuovo pericolo che Rosa non aveva previsto. Ernest Mandel, nei suoi ultimi scritti, disse che la disgiunzione per l’umanità del XXI secolo non sarebbe stata più, come nel 1915, socialismo o barbarie, ma socialismo o morte. Comprese il rischio di una catastrofe ecologica come risultato dell’espansione capitalista globale, con la sua logica distruttiva per l’ambiente. Se il socialismo non viene a interrompere questa corsa folle verso il precipizio – della quale l’aumento della temperatura del pianeta e la distruzione dello strato di ozono sono gli elementi più visibili- ciò che è minacciato la sopravvivenza stessa della specie umana .

 

La democrazia nel socialismo

In terzo luogo, di fronte al fallimento storico dalle principali correnti del movimento operaio, cioè, da un lato, il crollo inglorioso del cosiddetto “socialismo realmente esistente” – erede di 60 anni di stalinismo – e, dall’altro, la sottomissione passiva (o una adesione attiva?) della socialdemocrazia alle regole del gioco capitalista neoliberista mondiale, l’alternativa rappresentata da Rosa Luxemburg, cioè un socialismo allo stesso tempo autenticamente rivoluzionario e radicalmente democratico, appare più rilevante che mai.

Come attivista del movimento operaio nell’impero zarista – lei fondò il Partito Socialdemocratico di Polonia e Lituania, affiliato al Partito socialdemocratico dei lavoratori russo – criticò le tesi difese da Lenin prima del 1905 per le loro tendenze autoritarie e centraliste. Le sue critiche coincidevano su questo punto con quelle del giovane Trotsky ne I nostri compiti politici (1904).(6)

Allo stesso tempo, mentre era una leader dell’ala sinistra della socialdemocrazia tedesca, si batté contro la tendenza a monopolizzare le decisioni politiche da parte della burocrazia sindacale e politica e delle rappresentanze parlamentari. Lo sciopero generale russo del 1905 le sembro un buon esempio da seguire in Germania: aveva più fiducia nell’iniziativa dei lavoratori che nelle sagge decisioni degli organi direttivi del movimento operaio tedesco.

Apprendendo, mentre era in prigione, degli eventi dell’ottobre 1917, fece immediatamente causa comune con i rivoluzionari russi. In un opuscolo sulla rivoluzione russa scritto in prigione nel 1918, pubblicato postumo nel 1921, accolse con entusiasmo questo grande atto storico di emancipazione e rese un caloroso tributo ai leader rivoluzionari di ottobre:

“Quanto un partito in un’ora  storia può offrire, in termini di coraggio, visione e coerenza rivoluzionaria, Lenin, Trotsky e gli altri compagni lo hanno in gran parte fornito. Tutto l’onore rivoluzionario e la capacità d’azione che mancava alla socialdemocrazia occidentale i bolscevichi lo hanno rappresentato: la loro insurrezione di ottobre non solo ha davvero salvato la rivoluzione russa, ma ha anche salvato l’onore del socialismo internazionale”.(7)

Questa solidarietà non le impedisce di criticare ciò che le sembra sbagliato o pericoloso nella loro politica. Mentre alcune delle sue critiche – sull’autodeterminazione nazionale o sulla distribuzione della terra – sono certamente discutibili e poco realistiche, altre, in relazione alla questione della democrazia, sono del tutto pertinenti e straordinariamente contemporanee. Riconoscendo l’impossibilità per i bolscevichi – nelle drammatiche circostanze della guerra civile e dell’intervento straniero – di creare “per magia la più bella delle democrazie”, Rosa Luxemburg attira l’attenzione sul rischio di uno slittamento autoritario e definisce alcuni principi fondamentali della democrazia rivoluzionaria:

“La libertà riservata ai partigiani del governo, ai soli membri di un partito -non importa quanto numerosi – non è libertà. La libertà è sempre ed esclusivamente la libertà per coloro che la pensano diversamente. (…) Senza elezioni generali, senza libertà illimitata di stampa e di riunione, senza una libera lotta di opinioni, la vita muore in ogni istituzione pubblica, diventa vita apparente in cui solo la burocrazia rimane come elemento attivo “.(8)

È difficile non riconoscere l’importanza di questa argomentazione. Pochi anni dopo, la burocrazia monopolizzò tutto il potere, eliminando progressivamente i rivoluzionari dell’ottobre 1917, fino a sterminarli senza pietà negli anni ’30.

Comunismo e la “comune” primitiva

In quarto luogo, l’interesse di Rosa Luxemburg per la comune primitiva è molto meno conosciuto e, pertanto, gli dedicheremo particolare attenzione in questo articolo. Il tema centrale della sua Introduzione all’economia politica (manoscritto incompiuto pubblicato da Paul Levi nel 1925) è l’analisi di quella che lei chiama la società comunista primitiva e la sua contrapposizione alla società capitalista mercantile. È vero che è un testo incompleto, scritto in carcere intorno al 1916 a partire dalle note del suo corso di economia politica nella scuola del Partito socialdemocratico (1907-1914); aveva programmato altri capitoli che non sono stati scritti o sono andati persi. Ma questo non spiega perché i capitoli dedicati alla società comunista primitiva e alla sua dissoluzione occupino più pagine di quelle dedicate alla produzione mercantile, al lavoro salariato e alle tendenze dell’economia capitalista nel suo insieme!

Questo approccio inusuale all’economia politica è probabilmente una delle ragioni principali per cui a questo libro non è stata prestata molta attenzione, è stato relegato o ignorato dalla maggior parte degli economisti marxisti e persino da biografi o specialisti delle opere di Rosa Luxemburg, con l’eccezione di Paul Frölich e Ernest Mandel, autore della prefazione all’edizione francese. Al contrario, Nettl a malapena lo menziona e non offre alcuna informazione o commento sul suo contenuto. Per quanto riguarda l’Istituto Marx-Engels-Lenin-Stalin di Berlino Est, responsabile della redazione del testo nel 1951, sostiene (nella sua introduzione) che sia una “presentazione popolare degli elementi fondamentali del modo di produzione capitalista”, senza fare alcun riferimento al fatto che quasi la metà del libro è in realtà dedicata al comunismo primitivo.(9). Ma la reale importanza di questo libro, a mio parere, risiede precisamente nella  sua visione delle comuni precapitalistiche e il suo modo critico e originale di concepire l’evoluzione delle formazioni sociali, da un punto di vista orientato, come direbbe Walter Benjamin , “a spazzolare la storia contropelo”.(10)

Come spiegare l’interesse di Rosa Luxemburg per le comunità primitive? Da un lato, è evidente che lei vedeva nell’esistenza di queste antiche società comuniste un modo per scuotere e persino distruggere “la vecchia nozione della proprietà privata come qualcosa di eterno e della sua esistenza fin dall’origine del mondo” (11). Gli economisti borghesi, incapaci di concepire la proprietà comune e di comprendere qualcosa che non somigliava alla civilizzazione capitalista, rifiutavano ostinatamente di riconoscere l’esistenza storica di queste comuni. Per Rosa Luxemburg, quindi, si tratta di una leva nella lotta teorica e politica su un aspetto fondamentale della scienza economica. In secondo luogo, lei vedeva il comunismo primitivo come un cruciale punto di riferimento storico per la critica del capitalismo, un modo per rivelare la sua natura irrazionale, reificata, anarchica e per evidenziare la radicale opposizione tra valore d’uso e valore di scambio.

Come giustamente sottolinea Mandel nella sua prefazione, “la spiegazione delle differenze fondamentali tra un’economia basata sulla produzione di valori d’uso progettati per soddisfare le esigenze dei produttori, e un’economia basata sulla produzione di merci, occupa la maggior parte di questo libro “(12). Per lei, inoltre, si trattava di recuperare e “salvare” dal passato primitivo tutto ciò che, almeno in una certa misura, avrebbe prefigurato il comunismo moderno.

L’attitudine di Rosa Luxemburg non era senza affinità con le concezioni romantiche della storia che rigettavano l’ideologia borghese del progresso e criticavano gli aspetti disumani della civiltà industriale/capitalista (da qui, del resto, il suo interesse per il lavoro di un economista romantico come Sismondi). Mentre il romanticismo tradizionalista sognava di ripristinare un passato idealizzato, il romanticismo rivoluzionario a cui era vicina Rosa Luxemburg cerca in certe forme del passato precapitalista elementi e aspetti che anticipavano il futuro post-capitalista.

Nei loro scritti e corrispondenze, Marx ed Engels avevano già richiamato l’attenzione sulle opere dello storico (romantico) Georg Ludwig von Maurer in relazione alla vecchia comune germanica (la Mark).(13) Come loro, Rosa Luxemburg studiò con passione gli scritti di Maurer e si meravigliò del funzionamento democratico ed egualitario della Mark e della sua trasparenza sociale: “E’ impossibile immaginare qualcosa al tempo stesso più semplice e più armonioso di questo sistema economico della vecchia Marca germanica. Qui, l’intero meccanismo della vita sociale è esposto a tutti. Un piano rigoroso e un’organizzazione salda incorporano tutto ciò che ogni individuo fa e lo collocano come una parte nel tutto. I bisogni immediati della vita quotidiana e l’eguale soddisfazione di tutti; questo è il punto di partenza e il fine dell’organizzazione. Tutti lavorano per tutti gli altri e decidono collettivamente su tutto”. (14) Qui, il suo apprezzamento e la sua attenzione vanno alle caratteristiche di questa primitiva formazione comunista che la contrappone al capitalismo e la rende, per alcuni aspetti, più grande nell’umanità della civiltà industriale borghese: “Così, più di duemila anni fa [...] tra i tedeschi prevalse una situazione fondamentalmente diversa dalla nostra: nessuno Stato con leggi scritte vincolanti, nessuna divisione tra ricchi e poveri, tra padroni e servi”.(15)

Basandosi sul lavoro dello storico russo Maxime Kovalevsky, che era stato un amico di Marx (16), Rosa Luxemburg enfatizza l’universalità del comunismo agrario come una forma generale della società umana in una certa fase del suo sviluppo, che si trovava sia tra gli indiani d’America, gli Incas, gli Aztechi, sia tra i Kabyli, le tribù africane e gli indù. L’esempio peruviano le sembra particolarmente significativo e, in questo caso di nuovo, non manca di suggerire un confronto tra la MarK degli Incas e la società civilizzata: “La moderna arte di nutrirsi esclusivamente del lavoro degli altri e fare del proprio ozio l’attributo del dominio, era ancora estranea all’essenza di questa organizzazione sociale in cui la proprietà comune e l’obbligo generale di lavorare costituivano tradizioni popolari profondamente radicate”. Esprime anche ammirazione per “la fantastica tenacia del popolo indigeno e dei meccanismi della comunità della marca, visto che si sono conservati resti di entrambe, nonostante tutto, fino al XIX secolo” (17). Venti anni più tardi, l’eminente pensatore marxista peruviano José Carlos Mariátegui avanzava una prospettiva che aveva impressionanti somiglianze con le idee di Rosa Luxemburg (della quale certamente ignorava le osservazioni sul Perù): il socialismo moderno doveva attingere alle tradizioni indigene risalenti al comunismo Inca per conquistare le masse contadine dalla sua parte(18).

Ma in questo campo l’autore più importante per Rosa Luxemburg – come per Engels ne L’origine della famiglia – era l’antropologo americano L. H. Morgan. Ispirata dal suo classico lavoro, Ancient Society, 1877, lei va oltre Marx ed Engels e sviluppa tutta una grandiosa visione della storia, una concezione innovativa e audace dell’evoluzione millenaria dell’umanità, nella quale la civiltà attuale con “la sua proprietà privata, il suo dominio di classe, il suo dominio maschile, lo Stato e il suo matrimonio coercitivo” appare come una semplice parentesi, una transizione tra la società comunista primitiva e la società comunista del futuro. L’idea romantico/rivoluzionaria di un legame tra il passato e il futuro appare qui in modo esplicito: ” La nobile tradizione di un lontano passato estende così la sua mano alle aspirazioni rivoluzionarie del futuro; il cerchio della conoscenza trova il suo completamento; e da questo punto di vista, l’attuale mondo del dominio e dello sfruttamento di classe, che afferma di essere il nec plus ultra della civiltà, l’obiettivo finale della storia universale, non è altro che un piccolo e transitorio passo nella grande marcia in avanti dell’umanità “(19).

Da questa prospettiva, la colonizzazione europea dei popoli del Terzo mondo appariva fondamentalmente come un’impresa socialmente distruttiva, barbara e disumana; e questo è particolarmente vero per l’occupazione britannica dell’India, che saccheggiò e disintegrò le strutture comuniste agrarie tradizionali, con tragiche conseguenze per i contadini. Rosa Luxemburg condivideva con Marx la convinzione che l’imperialismo porti il progresso economico ai paesi colonizzati, sebbene lo faccia attraverso “gli infami metodi di una società di classe”(20).

Tuttavia, mentre Marx, senza nascondere la sua indignazione per questi metodi, insisteva in particolare sul ruolo economicamente progressista delle ferrovie introdotte dagli inglesi in India(21), l’enfasi della Luxemburg era piuttosto sulle conseguenze socialmente disastrose di questo “progresso” capitalistico: ” I vecchi legami furono spezzati, il pacifico isolamento del comunismo dal resto del mondo fu infranto e sostituito da conflitti, discordie, disuguaglianze e sfruttamento. Il risultato: da un lato, enormi latifondi; dall’altro, milioni di agricoltori ridotti all’indigenza. La proprietà privata entrò in India e, con essa, tifo, fame e scorbuto divennero ospiti permanenti nella valle del Gange. “(22). Questa differenza con Marx corrispondeva a una differenza nei loro punti di vista storici che le permettevano di avere uno sguardo nuovo sui paesi coloniali, ovviamente, ma era anche un’espressione della particolare sensibilità della Luxemburg alle qualità sociali e umane delle comuni primitive.

Questo problema non fu affrontato solo nell’Introduzione all’economia politica, ma anche ne L’accumulazione del capitale, dove criticava ancora una volta il ruolo storico del colonialismo britannico, si indignava per il disprezzo criminale espresso dai conquistatori europei verso l’antico sistema di irrigazione: il capitale, nella sua cieca voracità, “è incapace di vedere abbastanza lontano da riconoscere il valore dei monumenti economici di una civiltà più antica”; la politica coloniale produsse il declino del sistema tradizionale e, di conseguenza, nel 1867, la carestia provocò milioni di vittime in India. Per quanto riguarda la colonizzazione francese dell’Algeria, è stata contrassegnata, ai suoi occhi, da un tentativo sistematico e deliberato di distruggere e disgregare la proprietà comune, portando alla rovina economica della popolazione indigena.

Ma al di là di questa o quell’istanza, fu l’intero sistema coloniale – spagnolo, portoghese, olandese, inglese o tedesco, in America Latina, Africa e Asia – che la Luxemburg denunciò, schierandosi risolutamente dalla parte delle vittime del “progresso” capitalista : “Per i popoli primitivi nei paesi coloniali in cui un tempo prevaleva il comunismo primitivo, il capitalismo è una catastrofe indicibile, piena della sofferenza più spaventosa”(24). Questa preoccupazione per la condizione sociale delle popolazioni colonizzate è uno dei segni della sorprendente modernità di questo testo; specialmente se confrontato con l’equivalente libro di Kautsky (pubblicato nel 1886), in cui i popoli non europei erano praticamente assenti (25).

Da questa analisi derivava la solidarietà di Rosa Luxemburg con la lotta dei popoli indigeni contro le metropoli imperialiste, un combattimento nel quale lei vedeva la resistenza tenace e ammirevole delle vecchie tradizioni comuniste contro la ricerca del profitto e contro l’”europeizzazione” capitalista. Implicita era l’idea di un’alleanza tra la lotta anti-coloniale di questi popoli e la lotta anticapitalista del proletariato moderno come una convergenza rivoluzionaria tra il vecchio e il nuovo comunismo. (26)

Secondo Gilbert Badia, il cui libro su Rosa Luxemburg è uno dei rari casi in cui viene esaminato criticamente questo tema, nella Introduzione all’economia politica le vecchie strutture delle società colonizzate vengono spesso presentate come fisse “e radicalmente opposte, in un contrasto bianco-nero, al capitalismo”. In altre parole “A queste comunità dotate di tutte le virtù e concepite come congelate nel tempo, Rosa Luxemburg oppone il ruolo distruttivo del capitalismo che non è in nessun modo progressiva. Siamo ben lontani dalla borghesia conquistatrice evocata da Marx nel Manifesto” (27) .

Queste obiezioni non mi sembrano giustificate per via dei seguenti motivi: 1) Rosa Luxemburg non concepiva le comunità come fisse e immobili: al contrario, lei mostrava le loro contraddizioni e trasformazioni, sottolineando che “la società comunista primitiva porta con il suo sviluppo interno allo sviluppo della disuguaglianza e del dispotismo” (28); 2) lei non negava il ruolo economicamente progressivo del capitalismo, ma denunciò gli aspetti “base” e socialmente regressivi della colonizzazione capitalista; 3) Se enfatizzava gli aspetti più positivi del comunismo primitivo in contrasto con la civiltà borghese, non nascondeva in alcun modo i suoi limiti e fallimenti: ristrettezza parrocchiale, basso livello di produttività del lavoro e sviluppo civile, impotenza di fronte alla natura, violenza brutale, un stato di guerra permanente tra comunità, ecc.(29); 4) In effetti, l’approccio della Luxemburg era molto lontano dall’inno di Marx alla borghesia nel 1848; d’altra parte, era molto vicino allo spirito del capitolo 31 di Capital (“Genesi del capitalista industriale”), in cui Marx descriveva la barbarie e le atrocità della colonizzazione europea.

In effetti, sul tema della comune di villaggio russo (obshchina), Rosa Luxemburg aveva una visione molto più critica dello stesso Marx. Sulla base dell’analisi di Engels, che notò, alla fine del diciannovesimo secolo, il declino e la degenerazione dell’obshchina, lei trovò un esempio dei limiti storici della comune tradizionale e della necessità di trascenderla. (30).

Il suo sguardo era rivolto risolutamente verso il futuro, e qui si separò dal romanticismo economico in generale e dai populisti russi in particolare al fine di enfatizzare “la differenza fondamentale tra l’economia socialista mondiale del futuro e i primitivi gruppi comunisti della preistoria”. (31)

Nel richiamare l’attenzione su questi testi, non desideravamo solo salvare dall’oblio un capitolo sconosciuto dell’opera di Rosa Luxemburg. Mi sembra che contengano molto più di un’indagine accademica sulla storia economica: suggeriscono un altro modo di vedere il passato e il presente, la storicità sociale, il progresso e la modernità. Confrontando la civiltà industriale capitalista con il passato comunitario dell’umanità, la Luxemburg ruppe con l’evoluzionismo lineare, il “progressivismo” positivista, il darwinismo sociale e tutte le interpretazioni del marxismo che lo riducono a una versione più avanzata della filosofia di Monsieur Homais in Madame Bovary. Quello che è in gioco in questi testi è, in definitiva, il significato stesso della concezione marxista della storia.

Il suo lavoro sta acquisendo una nuova rilevanza oggi, come noi constatiamo in molte regioni del mondo, ma in particolare in America Latina – Messico, Ecuador, Bolivia e Perù, tra gli altri luoghi – nella lotta delle comunità contadine e indigene, le cui le tradizioni pre-capitaliste sono ancora molto vive, per difendere le loro foreste, le loro terre e i loro fiumi dalle multinazionali del petrolio e delle miniere, dall’agrobusiness capitalista e dalle politiche neoliberiste dei loro governi, responsabili di catastrofi sociali ed ecologiche sempre più gravi.

NOTE:

1 Rosa Luxemburg usava il termine “socialismo” per descrivere l’”obiettivo finale” del movimento rivoluzionario e, dalla fine del 1918, il termine “comunismo” per riferirsi al partito rivoluzionario.

2 Daniel Bensaïd, Marx for Our Times: Adventures and Misadventures of a Critique (London: Verso, 2002), 55-56.

3 Walter Benjamin, Illuminations, ed. Hannah Arendt, trans. Harry Zohn (New York: Harcourt, Brace & World, 1968), 258.

4 La crisi della socialdemocrazia tedesca https://www.marxists.org/italiano/luxembur/1915/4/junius.htm

5 Ad esempio, nelle prime righe del Manifesto, in riferimento al fatto che la lotta di classe “ogni volta finiva, o in una ricostituzione rivoluzionaria della società in generale, o nella rovina comune delle classi in lotta”

6 Lev Trockij, I nostri compiti politici, Massari editore 2017

7 Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti Politici (a cura di Lelio Basso), Editori Riuniti 1976. Disponibile on line nella biblioteca di Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149

8 Rosa Luxemburg, La rivoluzione russa, in Scritti Politici (a cura di Lelio Basso), Editori Riuniti 1976. Disponibile on line nella biblioteca di Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149

9 Vedere Paul Frölich, Rosa Luxemburg, Ideas in Action (London: Pluto Press, 1994), 159-161; Ernest Mandel, “Préface,” in Rosa Luxemburg, Introduction à l’Économie Politique (Paris: Éditions Anthropos, 1970); John P. Nettl, Rosa Luxemburg (Oxford: Oxford University Press, 1969), 265; Marx-Engels-Lenin-Stalin Institut beim ZK der SED, “Bemerkungen zu Rosa Luxemburgs ‘Einführung in die Nationalökonomie’” in Rosa Luxemburg, Ausgewählte Reden und Schriften (Berlin: Dietz Verlag, 1955), 403-410.

10 Benjamin, Illuminations, 257..

11 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Rosa Luxemburg. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970

12 Mandel, “Préface,” xviii.

13 Lettera di Marx a Engels del 25 marzo 1868 in Marx-Engels, Opere complete, vol.XLIII, Editori Riuniti 1975

14 Rosa Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader, 75

15 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Rosa Luxemburg. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970

16 David McLellan, Karl Marx. La sua vita, il suo pensiero, Rizzoli 1976

17 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader

18 Michael Löwy, “Le marxisme en Amérique Latine de José Marategui aux Zapatistes du Chiapas,” Actuel Marx 42 (Oct. 2007):25-35.

19 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica. Jaca Book. Traduzione di LNT Cooperativa. Milano, 1970

20 Rosa Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader

21 Kolja Lindner, “Marx’s Eurocentrism: Postcolonial studies and Marx scholarship,” Radical Philosophy 161 (May-June 2010):27-41.

22 Luxemburg, Introduzione all’Economia politica. Questo passaggio sembra suggerire una visione idilliaca della struttura sociale tradizionale in India, ma in un altro capitolo del libro, la Luxemburg riconosce l’esistenza, al di sopra delle comunità rurali, di un potere dispotico e una casta sacerdotale privilegiata che stabilisce relazioni di sfruttamento e disuguaglianza sociale.

23 Rosa Luxemburg, L’accumulazione del capitale. Contributo alla spiegazione economica dell’imperialismo, Einaudi. Disponibile on line nella biblioteca di Rifondazione Comunista http://www.rifondazione.it/formazione/?p=149

24 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica.

25 Su questo punto la prefazione di Ernest Mandel a Luxemburg, Introduction à l’Économie politique, xvii-xviii.

26 Rosa Luxemburg, Introduzione all’economia politica

27 Gilbert Badia, Rosa Luxemburg: Journaliste, Polémiste, Révolutionnaire (Paris: Éditions Sociales, 1975), 498, 501.

28 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader

29 Luxemburg, The Rosa Luxemburg Reader

30 Rosa Luxemburg, Selected Political Writings of Rosa Luxemburg, ed. Dick Howard (New York: Monthly Review Press, 1971), 201.

31 Luxemburg, Introduzione all’economia economica. Nello stesso contesto, Rosa Luxemburg, come Marx, riconosceva che “la società capitalista offre, per la prima volta, la possibilità di realizzare il socialismo”, in particolare con l’unificazione economica del mondo e lo sviluppo delle forze produttive.

*Fonte: https://www.cairn-int.info/article-E_AMX_048_0022–rosa-luxemburg-and-communism.htm#no30

 

 

 


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