Sanità: un esercizio di memoria

Sanità: un esercizio di memoria

di Marco Nesci*

Tanto tuonò che piovve! Anzi siamo nel bel mezzo di una tempesta, una di quelle famose bombe d’acqua che ci mettono in pochi minuti sott’acqua solo che qui non piove qualche ora, ma piove da giorni e non c’è nessuna previsione di bel tempo al contrario, non sappiamo quando finirà e come finirà.
Da decenni Rifondazione Comunista si batte contro la privatizzazione del sistema sanitario nazionale, quello diviso in 21 sistemi, anche grazie alle scellerate modifiche al Titolo V della Costituzione, modifiche intervenute per inseguire le stupidaggini federaliste della Lega Nord, che qualcuno definiva all’epoca, una costola della sinistra. Contro di noi, unici ad opporci, si levavano grida di ogni tipo sulla nostra volontà veterocomunista di centralizzazione statalista. Così come siamo stati sempre isolati ed sposti alla gogna, ogni qual volta ci si opponeva alla privatizzazione della sanità pubblica, quando da soli si sosteneva la necessità di assumere il personale medico e delle professioni sanitarie, di moltiplicare i presidi territoriali, di cancellare sprechi dovuti ad esternalizzazioni di servizi collaterali, di modificare il sistema di liquidazione delle prestazioni sanitarie (DRG) , di smetterla con le convenzioni privatistiche di chi si arricchisce sulla salute, quando sempre da soli, ci opponemmo all’intramenia, e ai famigerati “piani di rientro” dal debito sanitario che si tradussero in enormi tagli dei posti letto, accorpamenti di divisioni specialistiche, della cancellazione di interi ospedali, di riduzione di ben due terzi dei posti letti della terapia intensiva, della destrutturazione di pronti soccorso e anche di speculazioni edilizie la dove c’era un ospedale dismesso.
Oggi si paga il conto alla sbornia neoliberista, oggi 5 o 10mila contagiati su una popolazione di 60 milioni, e per cui un 10 o 15% avesse necessità di terapia intensiva, non solo mette al collasso il sistema sanitario in tutte le regioni, ma produce un effetto di “ scelta” sull’urgenza di inumana gravità mettendo fuori servizio il diritto alla salute di cui tutti siamo portatori. 37 miliardi di tagli negli ultimi anni e politiche di evaporazione del sistema sanitario pubblico ad inseguire quella che è la peggior esperienza sanitaria mondiale (quella americana) si trasformano oggi in un dramma collettivo a cui gli interventi decretati dal governo oggi appaiono più la chiusura della stalla quando oramai i cavalli son scappati, che le necessarie inversioni di rotta.
Per prima cosa occorre ricostruire la centralità, si statalista, del sistema sanitario che deve tornare ad essere totalmente pubblico senza se e senza ma. Uniformità di regole, di parametri di cura basati su studi epidemiologici e non su numeri economicisti, occorre ridare alla struttura sanitaria l’idea che si è al servizio del diritto universale alla salute e non una “fabbrica” che deve produrre profitto. Invertire la rotta significa oggi a fronte dell’emergenza sanitaria , certo fare provvedimenti d’urgenza, ma poi rivedere radicalmente e strutturalmente una riforma sanitaria complessiva che recuperi lo spirito della riforma del 1978, ovviamente adeguandola alle nuove e drammatiche dinamiche sociali della vita di oggi. Senza questa idea di rivoluzione sociale, passata questa emergenzialità si tornerà a speculare sulla salute e ad spostare risorse dalla sanità ai mercati finanziari. I provvedimenti urgenti, ( compreso la requisizione di posti letto nelle strutture private) oltre a quelli di fermare il progredire dei contagi, devono essere indirizzati su due assi principali: investimenti sul sistema pubblico sanitario con ricostruzione di specializzazioni territoriali e potenziamento in modo strutturale e permanente di posti letto di cura e di emergenzialità con terapia intensiva in primo piano. Piano straordinario di presidi sanitari territoriali pubblici con l’assunzione di personale medico e sanitario adeguato e formato in relazione alle specificità epidemiologiche territoriali e questo per potenziare la prevenzione e la profilassi, ma anche per iniziare a rovesciare il sistema per cui si va a premiare il non ammalarsi, piuttosto che incentivare e pagare il percorso di cura con gli eccessi speculativi che ne conseguono. Recuperiamo il nostro vecchio slogan che è sempre più attuale e rivoluzionario: LA SALUTE NON E’ UNA MERCE.*

*ex-responsabile nazionale sanità Rifondazione Comunista 


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