La tortura e il reato che non c’è

La tortura e il reato che non c’è

di Giacomo Russo Spena ::

A volte ci appare un tema distante, che non riguarda il nostro Paese e, più in generale, le democrazie occidentali. Non è così. Dobbiamo fare i conti con la tortura e con la mentalità da cui trae origine. Un libro di Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone che si occupa da sempre di carcere, dal titolo appunto “La tortura in Italia” (DeriveApprodi) analizza dettagliatamente la questione e illustra il nostro vulnus.

In primis giuridico. In Italia, malgrado vari, tentativi non esiste il reato di tortura pur avendo il nostro Paese ratificato la Convenzione di Ginevra del 1984 e la Convenzione delle Nazioni Unite del novembre 1988. Essa afferma all’art. 2: “Ogni Stato parte adotta misure legislative, amministrative, giudiziarie ed altre misure efficaci per impedire che atti di tortura siano commessi in qualsiasi territorio sottoposto alla sua giurisdizione”. Siamo le pecore nere d’Europa.

Il giurista Luigi Ferrajoli ricorda come prevedere tale delitto nel codice sia non solo un obbligo derivante dal diritto internazionale ma dalla stessa nostra Costituzione. Così scrive: “la garanzia positiva dell’obbligo di punirla come delitto è infatti prescritta in Italia dall’art. 13 comma 4 che afferma che ‘è punita ogni violenza fisica e morale sulle persone comunque sottoposte a restrizioni di libertà’”. Gonnella, professore di filosofia del diritto all’università La Sapienza, ci ricorda come scrivere di tortura significhi entrare nel cuore dello Stato, dei suoi poteri. Affrontare il tema della sovranità e indagare la dicotomia irrisolta tra libertà e sicurezza. E qui è il nodo centrale: la tortura è violazione della dignità quindi privazione di diritti fondamentali e azzeramento dell’umanità.

Per l’Onu la tortura si compone di quattro elementi: inflizione di una acuta sofferenza fisica e/o psichica, responsabilità diretta di un funzionario dell’apparato pubblico, non liceità della sanzione e intenzionalità. Mentre la sanzione punitiva – diffusa molto negli ultimi anni – è un concetto che si sta facendo largo. La tortura come mezzo per ottenere informazioni o per ripristinare l’ordine. Come successo ad Asti: nel 2004 un gruppo di poliziotti penitenziari vessava, umiliava e malmenava due detenuti nel reparto isolamento del carcere, rei di cattiva condotta. Un lungo processo, alla fine i giudici hanno lamentato proprio il fatto di non poterli condannare per il reato di tortura, non essendo inserito nel codice penale. I torturatori impuniti. Lo Stato – scrive Gonnella nel testo – si immedesima nel pubblico ufficiale e non nella persona custodita che ha quindi meno tutele penali e meno protezione pubblica: “Il poliziotto vale di più”. Un’impronta ideologica che sta dietro anche alla torture di Abu Ghraib.

Se in molti Paesi occidentali esiste il reato di tortura e punisce i responsabili, qui in Italia le cose stanno diversamente. A tal proposito Antigone con altre associazioni e comitati sta promuovendo una raccolta firme per l’introduzione di questa legge: uno strumento per fare ulteriore pressione verso istituzioni che si sono dimostrate incredibilmente sorde al tema. Con essa anche una per l’abrogazione della legge Fini Giovanardi sulle droghe e l’ultima, la terza, per una nuova normativa per il carcere dove si introduce ad esempio la figura del difensore civico. Il libro di Gonnella ha questo merito: farci riflettere su un tema, quello della tortura, presente nella nostra società e più vicino di quanto pensiamo. A tutti noi.

GIACOMO RUSSO SPENA

da Micro Mega


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