Istria negata?
Pubblicato il 13 feb 2020
di GIANPASQUALE SANTOMASSIMO*
Francamente io sarei anche stufo di leggere o ascoltare pistolotti sul “silenzio assordante” della cultura storica a proposito dell’Istria, dell’esodo, delle foibe, degli scontri interni alla Resistenza sul confine orientale. Come anche sul “ritardo” degli storici di sinistra nell’affrontare questi temi.
Ho insegnato per undici anni a Trieste. Ci sono arrivato nel 1976. L’anno prima era uscito il libro di Marco Cesselli, Porzûs. Due volti della Resistenza, Milano, La Pietra, 1975, che per la prima volta trattava senza reticenze gli aspetti più laceranti di quella vicenda. Veniva discusso in tutta la regione, ed era frutto dell’impegno dell’Istituto storico della Resistenza di Udine. A Trieste era in corso la grande ricerca sull’esodo istriano, che sarebbe sfociata pochi anni dopo in un volume fondamentale: Cristiana Colummi, Liliana Ferrari, Gianna Nassisi, Germano Trani, Storia di un esodo, Istria 1945-1956, Istituto Regionale di Storia del Movimento di Liberazione nel Friuli-Venezia Giulia, Trieste, 1980.
Delle foibe ovviamente si parlava, senza che il tema sommergesse tutto il resto, usando considerazioni di buon senso che sarebbero state confermate dall’apertura degli archivi sloveni e croati dopo la dissoluzione della Jugoslavia.
Nel 1975 era stato firmato il Trattato di Osimo, che chiudeva la questione del confine orientale che si era trascinata fin dal 1945. Ogni tanto sfilava qualche piccolo corteo di estrema destra al grido di “Carso libero”, ma l’opinione pubblica appariva sollevata per il clima di pacificazione che pareva schiudersi. Per molti anni Trieste veniva invasa da treni di slavi che compravano caffè e jeans, e gli italiani varcavano la frontiera di Capodistria per fare il pieno di benzina e comprare la carne a basso prezzo.
Anche la questione degli istriani sembrava porsi in maniera nuova, che consentiva alla minoranza italiana di difendere e garantire l’esistenza delle sue istituzioni culturali, riconosciute e non più solo tollerate con diffidenza.
Il silenzio sull’Istria era allora ascrivibile interamente alla scarsa sensibilità che sul tema mostrava il sistema politico e culturale che gestiva la formazione dell’opinione pubblica nazionale. E che procedeva sulla strada inaugurata dopo la rottura tra Tito e Stalin: si trattava di portare la Jugoslavia dalla nostra parte, e polemiche e recriminazioni andavano attutite e smorzate, se non ridotte al silenzio.
La questione delle foibe e del confine orientale viene letteralmente “reinventata” dopo il 1989, quando si dissolve quel quadro internazionale e il sistema politico italiano si rimodella di conseguenza. La destra deve legittimarsi con l’accettazione delle compatibilità istituzionali ma deve al tempo stesso accentuare un profilo “identitario” che trova nell’anticomunismo postumo il fulcro della polemica e nella vicenda del confine orientale il terreno di un “martirologio” vittimistico del tutto avulso dalla realtà storica.
* storico
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