Morti sul lavoro: campagna di Rifondazione a Brescia

Morti sul lavoro: campagna di Rifondazione a Brescia

Da settimane e per altre che ancora seguiranno fino a primavera inoltrata, Rifondazione comunista di Brescia ha organizzato una campagna di informazione e di denuncia dell’impressionante stillicidio di infortuni e di morti sul lavoro che annientano o compromettono irreversibilmente la vita di tanti lavoratori, in Italia come a Brescia. Ma a Brescia più che altrove.

L’iniziativa consiste nell’esposizione di alcuni cartelli che documentano con pochi ma eloquenti dati lo stato delle cose e la piaga dilagante del lavoro precario che concorre ad alimentare insicurezza e ricatti di ogni genere sul posto di lavoro.

La coreografia è un pugno nello stomaco che colpisce con immediatezza i passanti: trenta caschi gialli con sopra riprodotti i nomi e l’età dei lavoratori morti sul lavoro a Brescia solo lo scorso anno, una tuta distesa sul selciato a disegnare la sagoma di una persona uccisa, un volantino che riassume le ragioni e le responsabilità, tutt’altro che oscure, di questa ecatombe ed invita la popolazione a collaborare, compilando seduta stante oppure on line un questionario di più pagine, utile a raccogliere direttamente il vissuto di chi presta nel costante, quotidiano pericolo la propria attività lavorativa.

Sul banchetto è esposto il materiale, una parte dei compagni e delle compagne intercetta i passanti, spesso già attratti dalla rappresentazione visiva, distribuisce loro il volantino, apre un’interlocuzione, poi li invita a compilare il questionario; altri, seduti dietro il banchetto, aiutano coloro che si sono resi disponibili approfondendo ulteriormente l’argomento.

Ciò che accade, sebbene non scontato, è davvero straordinario.

Sono davvero in tanti e in tante a fermarsi, per nulla intimoriti, men che meno dissuasi, dalla presenza vistosa, visibilissima delle bandiere e dei simboli del partito.

Si fermano, discutono, convengono sulla insopportabile gravità di ciò che accade, compilano diligentemente il questionario (serve almeno una decina di minuti) e quasi sempre lasciano il proprio indirizzo di posta elettronica o il numero di telefono chiedendo di essere informati sugli sviluppi della nostra iniziativa.

C’è una lezione (e non una sola) che viene da questo piccolo evento: se cogli nel segno, se ti rendi protagonista di un’operazione verità, se entri in risonanza con le persone e con i loro problemi, se incroci i lavoratori, che sono la nostra dichiarata base di riferimento, non solo per fare un po’ di saltuaria propaganda, ma per indicare una strada da percorrere, ebbene, quel popolo risponde.

Quando, in una realtà come la provincia bresciana, su un milione di abitanti si contano quasi 20.000 infortuni l’anno (per restare a quelli regolarmente denunciati all’Inail) e decine di morti, senza contare il numero elevatissimo delle malattie professionali che tali risultano dall’anamnesi dei decessi per tumore, allora è facile capire che ognuno ha un padre o una madre, un fratello o una sorella, un figlio o una figlia, un conoscente o un amico che è rimasto vittima di questo massacro che si compie silenziosamente senza che un solo padrone ne paghi le conseguenze. E soprattutto, senza che si ponga mano ad un serio intervento dei pubblici poteri (ispettorato del lavoro, vigilanza dell’Inail, Aziende sanitarie) ridotti all’impotenza e all’irrilevanza, quando non succubi compiacenti delle direzioni aziendali.

Ecco perché il lavoro di inchiesta condotto sul campo è decisivo. Lo è perché serve a preparare un’iniziativa, una proposta, un’azione di lotta. E per creare le relazioni e la credibilità che la rendono possibile. Non per un giorno solo.

 

Gruppo Lavoro PRC Brescia


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