Una democrazia “a numero chiuso”

Una democrazia “a numero chiuso”

di Giovanni Russo Spena -

La decisione della Corte Costituzionale la quale ha giudicato inammissibile la richiesta di referendum proposto dalla Lega per trasformare in direzione completamente maggioritaria la legge elettorale è importante anche perché è una rimessa in discussione delle strategie e dei comportamenti dei singoli attori del sistema politico. Innanzitutto abbiamo la conferma , con mutamento di strategia rispetto alla tradizionale strategia leghista ( chi ricorda il “porcellum” di Calderoli?), che oggi le destre sovraniste / nazionaliste sono protagoniste di una pericolosa involuzione ultramaggioritaria e plebiscitaria. Non accettano il sistema democratico/costituzionale. Magistratura, presidenza della Repubblica e, ora, dopo la decisione che dichiara inammissibile la proposta referendaria, anche la Corte Costituzionale, diventano “sacche di resistenza del vecchio sistema”.

Si abbatte l’articolo 1 della Costituzione. Tutte le istituzioni descritte dalla Costituzione come titolari del controllo e della eventuale critica del potere vengono tacciate di essere “contro il popolo”. Perché il popolo è , ad avviso del salvinismo, rappresentato solo dalla sua proiezione plebiscitaria. Viene, così, abbattuta la democrazia costituzionale, che è costruita sulla autonomia e divisione dei poteri, sulla organizzazione della intermediazione tra legge suprema e cittadinanza. Orban ed Erdogan sono artefici e maestri di questa distorsione della democrazia, oggi. Salvini, Meloni, ecc. hanno buttato giù la maschera.

La loro architettura istituzionale è definita dal maggioritario e dalla elezione diretta del Capo dello Stato. Sul versante delle sinistre, invece, la sentenza della Corte ci dà una possibilità storica. Dopo il fallimentare bilancio del maggioritario, potremmo rilanciare il proporzionale “puro”, senza soglie di sbarramento. Non dimentichiamo che, nel secondo dopoguerra, le importanti riforme sociali e del lavoro sono nate da grandi movimenti di massa in un contesto istituzionale di rappresentanza proporzionale.

Non a caso la legge Acerbo nacque in un contesto autoritario. La teoria della rappresentanza altro non è che la teoria della Costituzione. Mutano, certo, forme e luoghi dell’agire politico. Ma non credo alla demagogia populista di destra e grillina ( ma anche di parte del centrosinistra) della democrazia senza partiti (e sindacati). Occorre, piuttosto, lavorare ad una legge, pretesa dalla Costituzione e mai nata per interessi egemonici meschini, sulla riforma profonda dei partiti, sulla trasparenza, sulla loro legalità, sulla loro sottomissione ai controlli finanziari e giurisdizionali.

Ci lavoreremo. Perché, dopo il bilancio fallimentare della maledetta “democrazia governante” (che, ancora in queste ore, Veltroni, Prodi, ecc. rilanciano) si aprono possibilità di grandi riforme democratiche. Le elezioni, infatti, non servono per eleggere i governi, ma il Parlamento, la cui centralità è esaltata dalla elezione proporzionale dei suoi componenti. Non nominati dai capopartiti per eseguire ordini (non vi è in Costituzione mandato imperativo) ma per rappresentare interessi politici e sociali su piattaforme presentate ad elettrici ed elettori dai loro partiti e da loro stessi. Entro la cornice obbligatoria della democrazia di genere.

Una nuova legge elettorale proporzionale deve escludere ogni forma di indicazione e di investitura di un “capo” politico o di coalizione. La governabilità tanto richiesta da chi auspica il sistema maggioritario è, a ben guardare, favorita dalla centralità di un Parlamento profondamente riformato nei regolamenti e nel funzionamento. Si può discutere, entro la cornice proporzionale, l’adozione della figura, presente nel proporzionale tedesco, della “sfiducia costruttiva”. E di una applicazione rigorosa ed equilibrata dell’art.5 della Costituzione. Un sistema di autonomie dentro la “Repubblica una ed indivisibile”, rifiutando l’attuale progetto delle regioni che diventano staterelli leghisti dentro la logica strutturale della “secessione dei ricchi”. Una riflessione nuova, peraltro, deve partire senza pregiudizi. I partiti di maggioranza si accingono a varare (non se ne conoscono ancora i contenuti normativi) una proposta di proporzionale con soglia di sbarramento molto alta. Producendo, in tal modo, di fatto una torsione maggioritaria. Ma, soprattutto, una democrazia “a numero chiuso”.

Continueremmo con le litanie sul cosiddetto “voto utile”, con gli accorpamenti forzati. Milioni di cittadine e cittadini verrebbero esclusi dalla rappresentanza istituzionale, gonfiando, di conseguenza, le sacche dell’astensionismo, cioè del distacco dalla partecipazione. Un grave vulnus per la funzionalità stessa del Parlamento. Soprattutto dopo il taglio del numero dei parlamentari (di un illogico 37 per cento).

E’ meschina la logica dei risparmi; accompagna una dilagante tragica demagogia. Stanno ingenerando nelle persone la convinzione che se chiudi l’inutile Parlamento risparmi un sacco di soldi. Abbiamo costituto il Comitato nazionale per il No sul referendum confermativo (senza quorum di votanti). Impresa ardua, controcorrente, ma utile per spiegare, finalmente, che la centralità del Parlamento è messa in discussione dalla arroganza dei governi che occupano, incostituzionalmente, anche gli spazi legislativi ( e non certo dal numero dei parlamentari).

Soglie di sbarramento, riduzione del numero dei parlamentari non fanno niente altro che rendere alla minoranze critiche quasi impossibile l’accesso alle istituzioni. Condivido il monito del costituzionalista Gaetano Azzariti:” nessuno dei revisionisti costituzionali ha proposto la più limpida delle soluzioni: monocameralismo e proporzionale”. Se non ora, quando?

monello02


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