La politica è morta?

La politica è morta?

di Paolo Cacciari -

Vedo un rischio nella continua lamentazione sulla “morte della politica” che sarebbe provocata – a detta di molti osservatori costernati della sinistra – dallo strapotere delle forze economiche. Secondo questa tesi la centralità delle istituzioni democratiche sarebbe venuta a meno a causa del potere di ricatto delle elite ai posti di comando dell’economia. Ma non è certo una novità che siano quelli che possiedono le ricchezze a decidere la politica in un sistema capitalistico, come ci spiegava già Adam Smith a proposito di “mercanti e industriali”. É certo vero che oggi poche banche mondiali tengono le corde delle borse degli stati e meno di duecento società transnazionali controllano la metà dell’intero commercio internazionale. Opporsi ai loro business può essere fatale per le popolazioni di una singola nazione, come si è visto in Grecia o in Argentina o in Venezuela. Ma questo potere non è di origine soprannaturale. I mercati non si trovano in natura. Sono costruzioni sociali, giuridiche, politiche. Per funzionare hanno bisogni di norme di legge, regolamenti, trattati e istituzioni internazionali, infrastrutture, accesso a materie prime e a lavoro umano. Il “libero mercato” senza il “pugno di ferro” delle istituzioni pubbliche non sopravvivrebbe un giorno. Mario Draghi, Chrisine Lagarde, Jerome Powell non sono frutti spontanei della società civile. Per intenderci; non sono sardine.

L’economia “pura” non esiste: è sempre politica. E la politica è esattamente lo spazio dentro cui avviene la contesa per il controllo della ricchezza sociale. Le istituzioni politiche non sono entità esterne. Non sono luoghi super partes dall’alto dei quali i “rappresentanti” del popolo guardano, giudicano e mediano tra gli interessi delle forze sociali in lotta seguendo un mitico “interesse generale” o “bene comune”. Sono esse stesse formate dal fuoco della tensione permanente tra demos e kratos, tra dominati e dominanti.

Se oggi siamo giunti al punto in cui gli interessi dei detentori di capitali (finanziari e patrimoniali) sono diventati tanto potenti da potersi impadronire, oltre che di tutti i mezzi di produzione, delle banche centrali, dei beni demaniali, delle infrastrutture, dei servizi alle persone… non è a causa di un deficit di politica, ma esattamente al contrario di una volontà di (onni)potenza dei decisori pubblici che hanno sfidato ogni comune buon senso. Non è mai stata necessaria tanta volitiva capacità decisionale politica come negli ultimi trent’anni di fondamentalismo neoliberista per riuscire a privatizzare ogni bene e ogni servizio di interesse collettivo. Dall’etere, alle autostrade, dalle agenzie del lavoro al gioco d’azzardo, dai servizi idrici alle poste e alle ferrovie…

Non è svanita la politica in genere. Al contrario ha trionfato una determinata politica ed è scomparsa un’altra, quella della sinistra storica che è stata “sussunta” dal sistema in ruoli ancellari, di bassa amministrazione. Banalmente i conti sono presto fatti dagli istituti statistici dell’Ocse e dalle agenzie delle Nazioni unite: aumenta la forbice delle ineguaglianze e delle ingiustizie, aumentano le migrazioni (20 milioni all’anno solo di profughi ambientali), si aggrava la crisi climatica. Ben vengano allora Jeremy Corbin, Bernie Sanders, Alexandria Ocasio-Cortez, Antonio da Costa e quant’altri nel mondo stanno facendo resuscitare l’amore della politica nei giovani in nome di un’idea politica (l’ecosocialismo) e di un programma politico (il green new deal) alternativi.

comune-info.net

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