1 dicembre, referendum sulla divisione in due del Comune di Venezia. Le ragioni del no

1 dicembre, referendum sulla divisione in due del Comune di Venezia. Le ragioni del no

Simone Stefan
Il primo dicembre I veneziani saranno chiamati ad esprimersi per la quinta volta sull’ipotesi di separazione della città in due comuni autonomi, che comprenderebbero rispettivamente il territorio insulare della città (nuovo Comune di Venezia) e quello di terraferma (Comune di Mestre).
Da veneziano “d’acqua” voterò NO all’ipotesi di separazione, (o non voterò, valuterò la scelta più utile al risultato), confermando quanto votai nel 2003, l’unica (per ragioni anagrafiche) altra volta che fui chiamato ad esprimermi sul tema. Le ragioni che mi spingono a tale scelta sono varie. Innanzitutto una considerazione di cultura politica generale: c’è un vento politico che punta alla semplificazione, al rinchiudersi in recinti identitari e gruppi compatti, che spiega che “piccolo è bello”, che “chi fa da sé fa per tre” e che grida “prima noi”, dove il “noi” viene declinato in vario modo. Io non sono d’accordo con questa tendenza generale. Credo che il mondo sia complesso e necessiti di strumenti di integrazione più che di separazione. Vale per l’Europa, vale per le Regioni, vale per i Comuni. Invece il dibattito referendario è caratterizzato da una contesa retorica sulla difesa del fortino, di veneziani contro mestrini, di isolani contro terrafermieri, “a noi la nostra acqua, a loro la loro terra”. In sostanza i problemi di una buona amministrazione non dipenderebbero dalla qualità degli amministratori che eleggiamo, ma dal fatto che ci sono “gli altri” che “ci fregano”: i mestrini per i veneziani, i veneziani per i mestrini, in modo assolutamente speculare. E’ una tendenza che non ci tengo ad avallare.
Ci sono poi ragioni storico-urbanistiche. Tutte le città si sono espanse oltre le proprie mura, inglobando i centri vicini. Questo è accaduto anche a Venezia. Poiché le mura di Venezia erano la laguna, la città non ha potuto che espandersi in terraferma, ma il processo è assolutamente analogo. Oggi Venezia è una città complessa, con il suo centro storico, le sue aree di espansione residenziale, le sue aree industriali e produttive, le spiagge, un sistema di trasporti interconnesso… Certamente i problemi delle isole sono diversi da quelli della terraferma, ma anche, per esempio, a Verona (per citare un’altra grande città del Veneto), i problemi di Piazza Erbe sono certo diversi da quelli di Borgo Roma (per non parlare di Roma, Milano o delle grandi metropoli straniere, che contano diversi milioni di abitanti, ma hanno un solo sindaco). Tuttavia Venezia mi risulta sia l’unico comune che discute periodicamente se separarsi.
Ci sono inoltre problemi di grande rilevanza che evidenziano l’interconnessione tra le diverse aree del Comune di Venezia. Pensiamo al turismo: Mestre oggi ha più presenze turistiche di Verona. Una politica sui flussi turistici non può che essere unitaria. Per esempio, tutti i turisti che affollano i nuovi mega-alberghi costruiti in zona stazione a Mestre non pagheranno più la tassa di soggiorno al comune di Venezia (unitario) ma a quello di Mestre. Venezia (insulare) avrà solo i costi delle masse che si riverseranno in città, non avendo il costituendo Comune di Mestre alcun interesse a limitare i flussi, anzi! Al contempo difficilmente un Comune di Venezia (insulare), controllato dalle uniche categorie economiche che ormai hanno peso reale in città (ossia quelle legate al turismo), avrà interesse a limitare i flussi, dovendo dette categorie essere competitive con le strutture di Mestre (ecco la mitica “competitività”!). Le politiche sul turismo è evidente debbano essere gestite unitariamente e in maniera bilanciata tra i vari interessi.
Ma pensiamo anche alla laguna: essa non deve essere intesa come elemento di separazione tra le due realtà, ma di unità. La laguna non è un muro, appunto, ma un elemento vivo. Davvero pensiamo che le delicatissime questioni riguardanti le navi, la collocazione del porto, le bonifiche di Marghera, possano essere decise in maniera più efficiente con l’apporto di due amministrazioni comunali separate, magari di colore politico diverso e “in guerra” tra loro? E’ vero che sulla laguna si incrociano competenze di vario livello e molto sfugge alla competenza comunale, ed è vero che ci sono già organi di coordinamento sovracomunale, in particolare il cosiddetto Comitatone. Ma considerando il “peso” politico di un comune di 260.000 abitanti versus un comune di 80,000, siamo sicuri che la frammentazione, anche all’interno del Comitatone, migliorerà l’efficienza del sistema? E se già servono organismi di coordinamento sovracomunale, ha senso separare ulteriormente?
C’è poi da considerare la questione più generale del peso politico della città: nello scacchiere politico nazionale e regionale, ha più peso un comune di 260,000 abitanti o un comune di 80,000? Con la retorica della “grande storia” della Serenissima non ci facciamo proprio nulla. Il Comune di Venezia politicamente “peserà” come il Comune di Treviso, peraltro avendo vicino un “gigante” come il Comune di Mestre, su cui necessariamente si sposterà il baricentro politico della provincia/città metropolitana. Sarebbe un caso unico in Italia di un comune capoluogo così tanto più piccolo di un altro comune della medesima provincia, peraltro adiacente. (Ci sono alcuni casi di comuni non capoluogo più grandi dei capoluoghi della rispettiva provincia, ma al massimo la differenza è di 10 mila abitanti: Sanremo rispetto ad Imperia, Marsala a Trapani, Gela a Caltanissetta…).
Proseguendo, dal punto di vista dell’autonomia amministrativa, vanno considerati alcuni fatti. Innanzitutto a ben vedere la separazione farebbe perdere autonomia anziché guadagnarne. Si parla di Venezia e Mestre, ma sono completamente esclusi dal dibattito gli altri territori che compongono il nostro Comune: Il Lido, Pellestrina, Marghera, Favaro, Zelarino, Cipressina… questi territori hanno specificità rispetto a Venezia e Mestre e, nell’attuale assetto comunale, sono costituiti in Municipalità. La separazione del comune cancellerebbe le Municipalità, che, al contrario, ci sarebbe bisogno di rilanciare: avevano le loro funzioni, già indebolite a partire dalla giunta Orsoni, ma che sono state definitivamente svuotate dall’attuale sindaco Brugnaro, che, con la sua concezione padronale del potere, non poteva tollerare che 5 su 6 fossero guidate dall’opposizione. Invece rilanciamole appunto, attribuendo funzioni chiare! È ridicolo che sia Ca’ Farsetti a dover concedere una sala per un’assemblea o a decidere quale strada vada asfaltata, quando ci sono organismi di livello inferiore che possono decidere con maggior contezza. Con un paragone po’ azzardato e una terminologia impropria, diciamo che sarei favorevole al rilancio del “federalismo” entro il Comune, piuttosto che alla “secessione” del Comune.
La questione delle municipalità si incrocia con quella della Città Metropolitana. La riforma che ha introdotto le aree metropolitane è stata assolutamente insufficiente. Farla ricalcando i confini delle province (non solo a Venezia) e non considerando le aree metropolitane reali, ossia urbanisticamente coese ed interconnesse, è stata un’assurdità (e infatti alcune regioni autonome hanno proceduto diversamente. Si pensi per esempio a Cagliari). Ma proprio perché ci sarebbe bisogno di una città metropolitana, cosa che l’attuale città metropolitana/provincia urbanisticamente nei fatti non è, trovo ancor meno praticabile la separazione del comune. Mi spiego meglio: se la città metropolitana come ente funzionasse (fosse una “città”, ossia un’area urbana connessa, e, in quanto ente, fosse eletta direttamente) avrebbe anche senso separare il comune, magari anche nelle sei Municipalità e non solo nelle due macroaree acqua/terra. Questo perché appunto le funzioni utili da gestire in maniera unitaria sarebbero, in base al principio di sussidiarietà, gestite dal livello della città metropolitana. Poiché questo non è, ha senso mantenere il comune unito in quanto area metropolitana reale ed espressione del voto dei cittadini e, piuttosto, tornare a discutere di Municipalità come strumento di autonomia e di gestione della complessità.
Sempre dal punto di vista amministrativo, un argomento molto gettonato è quello dello statuto speciale, riassunto dallo slogan separatista “Mestre autonoma, Venezia a statuto speciale”. Ma questo è un argomento che non esiste, in quanto non esiste, nell’ordinamento italiano, la figura del Comune a Statuto Speciale. Ci sono le Regioni a statuto speciale, le due Province Autonome e l’ordinamento di Roma Capitale. Per dare uno statuto speciale a Venezia (e solo a Venezia) ci vorrebbe una riforma costituzionale, quindi bisognerebbe convincere deputati e senatori di Firenze, di Torino, di Bari, di Canicattì, che Venezia è talmente “diversa” da tutte le loro città da avere -sola!- diritto ad uno statuto speciale (poi sarebbe da capire quali contenuti dovrebbe avere un tale statuto). Peraltro già è difficilissimo pensare ad una prospettiva di questo tipo per un comune di 260.000 abitanti, figuriamoci per uno di 80 mila (Roma, che appunto ha uno specifico ordinamento, ha 2.850.000 abitanti! 11 regioni su 20 hanno meno abitanti del Comune di Roma!). Non avrebbe più senso, anche in virtù della forza demografica dell’undicesimo comune d’Italia, invece di adagiarsi sulla nostra specificità e sulla nostra nobile storia, renderci protagonisti nel cercar sinergie con città con problemi simili (penso per esempio a Firenze, che ha problemi di spopolamento del centro storico ed eccesso di turismo accostabili a quelli di Venezia) per cercar soluzioni assieme?
Peraltro Venezia ha già una sorta di “specialità”, riconosciuta con la Legge Speciale. I finanziamenti sono però finiti nel Mose… Non è colpa di Mestre, è colpa di chi con quella orrenda speculazione ha lucrato! Questo non va dimenticato, soprattutto alla luce dell’alluvione che pochi giorni fa ha profondamente ferito la città!
L’eventuale separazione aprirà poi la strada ad annose controversie patrimoniali: la separazione del piccolo comune di Cavallino-Treporti (13 mila abitanti) nel 1999, ha portato a una controversia ventennale sulla divisione patrimoniale tra i due comuni. Pensiamo solo a che partita si aprirà con la separazione di Venezia e di Mestre…
Infine un argomento peculiare, diffuso a sinistra e nel centrosinistra, è che si dovrebbe sostenere la separazione perché ormai la terraferma è in mano alla destra e che a Venezia (città storicamente di centrosinistra) Brugnaro non avrebbe vinto. A parte il fatto che i sindaci cambiano perché fortunatamente si vota ogni 5 anni, e quindi votare “sì” per liberarsi di Brugnaro mi pare un argomento che dir debole è poco, invito a guardare i dati: Brugnaro alle ultime comunali ha avuto purtroppo la maggioranza sia nel territorio dell’ipotetico futuro comune di Mestre, sia in quello di Venezia insulare. Il lavoro politico da fare per respingere il vento di destra che imperversa in tutt’Italia, se non in tutta Europa, va ben al di là delle questioni interne ai confini del Comune di Venezia.
L’unico elemento che comprendo come potenzialmente vantaggioso della separazione, è la maggior vicinanza eletto/elettore. In caso di divisione i Veneziani “d’acqua” decideranno per Venezia, quelli “di terraferma” per Mestre. Può essere che questo migliori l’amministrazione, anche se, sinceramente, ci possono essere pessimi amministratori del centro storico e ottimi amministratori della terraferma (o viceversa). La provenienza geografica non è garanzia di qualità! Peraltro non vedo perché un consigliere eletto a Zelarino, che non sia particolarmente miope, non possa aver a cuore i problemi di San Marco, a meno che non si entri in una dinamica “noi contro loro” che reputo, come ho detto in premessa, fasulla e deleteria. Il Consiglio Comunale è il luogo in cui si discute e ci si incontra nella diversità politica e territoriale (per inciso: maledetta la figura del sindaco-monarca! Viva il ruolo delle assemblee!). Mi sentirei più rappresentato da un consigliere mestrino che condivide la mia idealità politica che da uno residente nel mio quartiere ma con posizioni politiche opposte: il voto è primariamente politico, non territoriale!
In sintesi, non capisco perché dovrei votare per istituire un Comune di Venezia, grande come Treviso, che sarebbe il quinto o sesto per popolazione della Regione, che di fatto diventerebbe il secondo comune in Provincia di Mestre e che non avrebbe più alcuna voce in capitolo su quanto accade oltre il Ponte della Libertà, come se ciò che lì accade non influisse sulla vita cittadina, perdendo inoltre le Municipalità. Però… “i campagnoli resterebbero in campagna!”… Un po’ poco. Ragioniamo di specializzazione di funzioni attraverso lo strumento delle Municipalità e il principio di sussidiarietà, e ragioniamo in sinergia con le altre città per affrontare i problemi simili delle città storiche, quali per esempio la monocultura turistica, la gentrificazione e lo spopolamento dei centri storici. Questo lo possiamo fare meglio con un comune grande, rappresentativo e “politicamente pesante”.

 


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