Ergastolo ostativo, la sentenza va capita

Ergastolo ostativo, la sentenza va capita

di Susanna Marietti*

Sbaglia o è in malafede chi dice che i mafiosi usciranno. A poche settimane dalla pronuncia della Corte Europea dei Diritti Umani sullo stesso tema (ma si tratta solo di una coincidenza temporale), ieri anche la Corte Costituzionale ha emesso una sentenza che riguarda l’ergastolo ostativo, vale a dire quella modalità di pena perpetua che osta alla concessione di ogni beneficio di legge se non nel caso in cui il condannato collabori con i magistrati. La decisione di ieri riguardava in particolare la possibilità di concedere permessi premio, ovvero qualche ora o qualche giorno fuori dal carcere per poi farvi subito ritorno, a ergastolani ostativi non collaboratori di giustizia.

Come già la Corte di Strasburgo, anche la Consulta si è espressa contro l’automatismo che dalla non collaborazione porta meccanicamente alla non concessione del permesso. Si può avere opinioni diverse sull’argomento, ma è bene comprendere quello che la sentenza sta affermando.

Da nessuna parte c’è scritto che i permessi premio devono essere concessi agli ergastolani ostativi. Da nessuna parte c’è scritto che le porte del carcere si apriranno per i mafiosi. Da nessuna parte c’è scritto che i giudici sono adesso obbligati a rinunciare a uno strumento di lotta alla criminalità. Al contrario: c’è scritto che ai giudici deve essere dato un potere di decisione maggiore. C’è scritto che sempre e comunque devono poter valutare caso per caso, senza automatismi e meccanismi. C’è scritto che va rimessa a loro la libera valutazione, che sempre e comunque potrà essere quella di non concedere alcun permesso e non aprire alcun cancello.

La nostra legge dice: se il tale signore non collabora con la giustizia, ciò è automaticamente il segno del fatto che è ancora legato alla criminalità e dunque non può avere benefici penitenziari. La Corte Costituzionale dice invece: se il signor tal dei tali non collabora con la giustizia, ciò può essere il segno del fatto che è ancora legato alla criminalità. In questo caso non gli si dia alcun beneficio penitenziario.

Potrebbe però anche essere il segno di altro. Magari il signor tal dei tali ha capito i propri errori e non tornerebbe mai a fare la vita di prima ma tuttavia non vuole fare i nomi degli ex complici perché ha paura di esporre così al pericolo di ritorsione i suoi figli. Ai magistrati si riconosce la capacità di effettuare questa valutazione.

Per la quale si dovranno servire, come spiega la Consulta, dei pareri della Procura antimafia, della Prefettura, degli operatori penitenziari e di tutte le autorità rilevanti. Se da costoro avranno notizie di possibili attuali collegamenti con l’ambiente criminale, mai e poi mai concederanno un beneficio di legge. Continueranno dunque a esserci ergastolani ostativi che sconteranno in carcere fino all’ultimo giorno della vita. Ciò, tuttavia, non sarà più il frutto di un automatismo, bensì della valutazione di quei magistrati in cui tutti noi vogliamo avere fiducia.

Fino a qui sono tutti dati di fatto. Nelle righe precedenti ho solo esposto quel che oggettivamente ha detto ieri la Consulta (e prima, in altro contesto, la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo). Quindi su questo non si può essere non essere d’accordo. È così e basta. Chi scrive che adesso si apriranno automaticamente le porte del carcere per chissà quanti ergastolani, o non sa le cose oppure è in malafede. Detto questo, è chiaro che si può non essere d’accordo neanche con questo pronunciamento della Consulta per come l’ho riportato.

Io credo però che vedere un amico della mafia in Corti che supervisionano sull’applicazione della Costituzione o della Convenzione del 1950 sui diritti dell’uomo abbia qualcosa di distorto. Forse dovremmo partire da altri presupposti rispetto a quello che i giudici costituzionali e quelli europei vogliano fare favori ai criminali. Forse dovremmo tentare di capire, in profondità e con onestà intellettuale, il loro ragionamento. Che è quello per cui una pena che non tenda nelle proprie intenzioni originarie sempre e comunque alla rieducazione del condannato ci parla di uno Stato debole e già sconfitto in partenza e che la lotta contro ogni crimine aumenta le possibilità di successo se punta a sottrarre persone alla criminalità e restituirle alla vita sociale.

 

*Coordinatrice associazione Antigone

fonte: ilfattoquotidiano.it, 25 ottobre 2019


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