In memoria di Stefano e Peppino

In memoria di Stefano e Peppino

di Andrea Satta -

In volo per Palermo, diretto a Cinisi, anniversario di Impastato numero 35. Il cielo è sempre più blu. Un anno fa moriva un grande scrittore ferrarese, irriverente al tumore che lo devastava: Stefano Tassinari. Lo penso in volo. Alla fine, era sempre più mutilato, dal dolore e dalla schiuma dei farmaci che gli galleggiava sulla pelle e la decolorava e il petto invaso dalla voglia di raccontare cosa ancora di peggio le stesse per accadere. Quell’animale lo bruciava, lo menomava e lui resistente ogni oltre licenza umana, insisteva a vivere. A un certo punto era gonfio, poi smagriva, poi gli si alleggeriva la voce, poi tossiva, ritrovava il gesto e la parola, prendeva la chitarra elettrica e tornava quello di prima. Non ho mai capito se era meglio vederlo vivere o morire.
In quegli anni di tragedia e di consumo, ha scritto per tutti, ha scritto quello che non potrò dimenticare. Onore, dolore, vigore, senso del dovere, partecipazione, lotta, disperazione, rimpianto, rabbia, tensione, fuoco e rivoluzione, coraggio, passione. Lui è stato la risposta alla retorica. Lui credeva. Era così innamorato che non c’era possibilità di andargli contro. Anche il male, a un certo punto se ne deve essere reso conto e ha aspettato a portarlo via.
Con un occhio solo e il corpo gonfio, ha visto tra le ombre che gli facevano già compagnia, il film di Filippo dedicato a Ingrao, il tempo per dire «ci siamo, è bello», «mi avete convinto», che già l’ultimo giro era lanciato. A lui non potevi rimproverare di non sapere, di non vedere, di non volere, di non soffrire. Lui era una pagina aperta al vento sciacallata dall’uragano, un pollo spennato condannato che ancora cammina spedito, la fierezza oltre il destino già stampato. Una stella trasportata nella bufera, che però brilla, sconvolti più noi che lui a veder la scena.
Stefano Tassinari era un poeta che le parole sono poche per raccontare, aveva il senso dell’onestà. Macerava l’amore e l’insurrezione. E vivo queste ore a Cinisi con il suo valore dentro. Non c’è tempo per rifiutarsi di imparare, io non lo voglio dimenticare.
«Quel ragazzo siciliano lo hanno ammazzato e fatto saltare, poi sui binari e forse non ci hanno detto la verità. Mai la sapremo, vedrai». Peppino è morto che non doveva morire, Stefano è vissuto che non poteva vivere. Tutti sono stanchi, tutti sono tristi, tutti sono poveri. Uno s’è fatto ammazzare, l’altro pure. Tutti e due avvolti da mani nere, perché avevano ancora molto da dire e da fare. Me li porto nel cuore. Ma anche il mio cuore è fragile. Dobbiamo essere in molti a sapere, a ricordare. In molti ad aver voglia di raccontare.
Mentre chiudo queste righe leggo che è morto anche Videla. Ecco, lui è morto e non deve risorgere. Non deve.

dioemorto.com.unita.it


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