È il Pd che ha prodotto Renzi non viceversa

È il Pd che ha prodotto Renzi non viceversa

di Maurizio Acerbo

Il Pd faceva politiche neoliberiste e antipopolari anche prima che lo conquistasse Renzi quindi non è detto che la scissione del “cazzaro” di Rignano segni una svolta reale. Mi sembra legittimo che tanti abbiano delle aspettative ma consiglierei prudenza. Renzi ha segnato un salto di qualità perché è antropologicamente estraneo alla sinistra. È talmente berlusconiano nei comportamenti che alla lunga ha causato una reazione di rigetto. Ma le politiche renziane sono state in continuità con le scelte di lunga durata del centrosinistra e del Pd.

Renzi è un prodotto di un lungo processo di mutazione genetica. È il Pd che ha prodotto Renzi non viceversa.

All’assemblea del Brancaccio (giugno 2017) dissi che la sinistra non doveva essere semplicemente antirenziana. La personalizzazione della politica non solo ha imbarbarito un paese ridotto al tifo ma impedisce anche di dare sostanza e spessore alla politica.

Appariva allora e lo è ancor di più oggi assai autoindulgente e consolatoria la narrazione che fa di Renzi l’unico responsabile della deriva del PD e del centrosinistra che ne ha eroso il radicamento popolare aprendo la strada prima all’esplosione del M5S e poi alla crescita di una destra fascistizzata da Salvini. Si tratta di una favola che non regge la prova di un esame minimamente obiettivo dei fatti e della storia dell’ultimo trentennio.

Ed è una leggenda metropolitana anche quella che attribuisce solo alla componente che veniva dalla Margherita la responsabilità dello spostamento a destra del PD. La metamorfosi era avvenuta prima e basterebbe ricordare cosa scrissero sul PDS Luigi Pintor o Pietro Ingrao che lo definì “centro liberista” venti anni fa. 

Renzi si farà il suo partito personale: centrista, liberista, confindustriale, macroniano. Probabilmente si salderà con quel che rimane di Forza Italia, sicuramente ne attrarrà dei settori. D’altronde si chiamerà Italia Viva.

Mi sembra scontato che Bersani, D’Alema e LeU rientrino nel loro partito che rimane – come la quasi totalità dei partiti “socialisti” europei – centrista, liberista e in Italia particolarmente legato a tutte le lobbies, dai palazzinari alle grandi opere alla sanità privata.

Vedremo nei prossimi mesi se il Pd assumerà almeno il profilo di una sinistra moderata, almeno un tantinello laburista. E lo si vedrà non dalle battute e dalle strimpellate di chitarra ma dalle scelte programmatiche e dai comportamenti concreti.

Sul piano europeo la vicenda spagnola con il rifiuto di fare un governo con Unidos Podemos mostra che i social-liberisti non intendono mettere in discussione l’impostazione di fondo che dagli anni ’90 li ha visti abbandonare le politiche socialdemocratiche e la rappresentanza del lavoro. Per ora nel panorama europeo solo il Labour Party rappresenta una felice eccezione grazie all’affermazione di un leader radicale come Jeremy Corbyn e il rapporto stretto con i sindacati più combattivi e i movimenti. Tutte cose che nel PD non si vedono neanche col binocolo.

E’ da ottusi non vedere che molte cose si stanno muovendo e a grande velocità. E’ probabile che la necessità di recuperare terreno sul piano del consenso a fronte di una destra fortissima dovrebbe comunque spingere il PD ad abbandonare la propensione a infliggere misure antipopolari. Ma da qui a modificare l’impianto programmatico e ideologico ce ne vuole. E non a caso i dirigenti del PD si sono precipitati a precisare che non torneranno a essere “quelli di bandiera rossa e della patrimoniale”. La bandiera rossa avevano smesso di sventolarla molto prima della Leopolda di Renzi. 

Una sola cosa è certa. Non è venuta meno la necessità di ricostruire una sinistra antiliberista, anticapitalista, seriamente ambientalista nel nostro paese. Noi di Rifondazione Comunista non ci rassegniamo anche se le difficoltà sono enormi. 


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