Autonomia regionale differenziata? Egoismo delle regioni obese di potere politico!

Autonomia regionale differenziata? Egoismo delle regioni obese di potere politico!

di Rosa Rinaldi, responsabile Sanità e Welfare PRC-SE e Franco Cilenti, responsabile rete Sanità PRC-SE -

Lo spirito ( e la organizzazione dei servizi sanitari derivati)  della legge 833/1978, una delle conquiste più avanzate della lotta dei lavoratori della seconda metà del secolo scorso, è stato disarticolato e oggi si riscontra la domanda di autonomia di Regioni a capacità economiche differenti chiedono una maggiore capacità di governo locale che significa mantenere il massimo possibile della contribuzione fiscale nel proprio territorio.  In pratica si porta a compimento il disegno, già prefigurato da quello precedente che pochi giorni prima delle elezioni del 4 marzo 2018, ha sottoscritto una preintesa con ognuna delle tre richiedenti regioni sulla devoluzione alle regioni riguardanti le 23 materie previste dal terzo comma dell’art. 117, tra cui: politiche del lavoro, istruzione, salute, tutela dell’ambiente, rapporti internazionali e con l’Unione Europea. La scelta di staccarsi dal Servizio Sanitario nazionale porterà queste regioni ad aprire sempre più spazi  alla sanità integrativa e a quella privata, affermando, anche dal punto di vista legislativo, la deriva al particolarismo utile a scomporre l’unitaria struttura sociale ed economica del Paese.

A ruota altre 7 Regioni, Campania, Lazio, Liguria, Marche, Piemonte, Toscana, Umbria, hanno chiesto di avviare il negoziato, e, per emulazione masochistica, anche Basilicata, Calabria e Puglia vorrebbero avviare lo stesso iter, sottovalutando, del tutto, i rischi di una loro certificazione istituzionale per una sanità di classe che avrà così la patente per amplificare l’esclusione del martoriato mezzogiorno su sui sono stati scaricati i costi sociali, occulti e diretti, della decennale ritirata del welfare sanitario costringendo sempre di più migliaia di nuclei familiari a indebitarsi per potersi curare o, in alternativa, rinunciarvi, dando così una mano all’ipotesi del Fondo Monetario Internazionale che alcuni anni fa affermò l’esigenza per il sistema di favorire l’accorciamento della vita delle fasce di popolazione povera.

In questo quadro va considerato, l’ambito internazionale dei trattati internazionali di commercio che oltre al TTIP e al CETA ha in discussione, ormai da anni, nella più impenetrabile segretezza il TISA, l’accordo sugli scambi di servizi, un accordo commerciale tra 23 membri dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC), tra cui l’Unione europea, insomma il 70% del commercio mondiale dei servizi. Questi trattati rappresentano un vero e proprio attacco al cuore delle istituzioni democratiche, dei diritti civili e delle necessità delle persone in nome della mercificazione e commercializzazione dei servizi pubblici tra cui la sanità che diventa così la preda più ambita. Come si vede, i servizi pubblici quali la sanità e la scuola non sono esclusi dai trattati di commercio, anzi, la loro riduzione a merce sono le nuove frontiere di conquista per gli affari delle multinazionali dei servizi.

Tutto questo mentre il diritto costituzionale alla tutela della salute è già negativamente condizionato da 21 sistemi sanitari regionali produttori non già di più servizi ai cittadini ma moltiplicatori di disuguaglianze e di conflitti con le esigenze di prevenzione, cura e assistenza delle fasce più deboli della popolazione afferente. In questo deleterio contesto sociale l’egoistica autonomia amplificherà normativamente in forme sempre più esponenziali il divario tra Nord e Sud, calpestando il principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini.

Le conseguenze che ne derivano rendono vuote di significato le stesse parole del Presidente Mattarella nel discorso di fine anno: «L’universalità e la effettiva realizzazione dei diritti di cittadinanza sono state grandi conquiste della Repubblica: il nostro Stato sociale, basato sui pilastri costituzionali della tutela della salute, della previdenza, dell’assistenza, della scuola rappresenta un modello positivo. Da tutelare».

La questione di fondo è se vogliamo difendere e rilanciare una struttura pubblica dei servizi forte e capace di sostenere lo scontro con la privatizzazione globale, in atto in tutta Europa, lavorando per raddrizzare le numerose storture di governance a cominciare dall’impianto giuridico attuale, anche Comunitario, che ha contribuito al disgregarsi del compromesso socio-politico che ha costruito il welfare, oppure vogliamo accettare supinamente una deriva che porterà al prosciugamento delle risorse pubbliche con riduzione dei servizi, all’aumento della tassazione, all’incremento della quota a favore dei Fondi Integrativi con buona pace del controllo sul plusvalore derivato? Tenendo conto che già grosse crepe sono state aperte con l’introduzione del “Walfare aziendale” e della sanità integrativa nei contratti, come quello del comparto sanità, imperniato sulla deregolazione del lavoro favorendo, con un vero e proprio disconoscimento delle lotte che hanno portato alla legge 833 dopo la fine delle mutue, la facoltà dei lavoratori di farsi una mutua privata per loro e i loro famigliari.

Ciascuno è cosciente delle critiche mosse dalle Regioni “ricche” a favore di una autonomia economica, e sono noti i meccanismi che intervengono per rimuovere il Fondo di Perequazione vero impaccio in un sistema capitalistico.  E richiamare le regioni “più povere” ad una migliore gestione finanziaria è non rendersi conto delle gravi problematiche di fondo, ad iniziare dalla decadenza dell’economia alla carenza di infrastrutture in un contesto giuridico che non favorisce solo “ i ricchi” ma in qualche modo anche la delinquenza corruttiva.

Lottare per conservare i beni pubblici faticosamente conquistati è un dovere di chiunque abbia come faro della propria azione politica e sociale le regole basilari della convivenza civile, e in particolare, la salute che vede nell’atto del regionalismo differenziato,  la definitiva distruzione della sanità pubblica, praticamente, cancellando l’articolo 32 della Costituzione e la legge 833/78 di istituzione del Servizio Sanitario Nazionale. Vanno, quindi, respinti e combattuti tutti i tentativi di smantellare i principi universalistici e solidaristici alla base dei successi del nostro SSN, iniziando proprio  dalla “secessione” chiesta da Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto.

Siamo molto d’accordo con quanto affermato da Ivan Cavicchi, il 26 gennaio sul manifesto, “…oggi in sanità apre la porta al far west abbandonando il sud a se stesso e togliendo ai cittadini il diritto di essere curati secondo diritto. Cioè il diritto alla giustizia e all’eguaglianza.”

 

 


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