Autonomia regionale differenziata…. per i ricchi

Autonomia regionale differenziata…. per i ricchi

Loredana Fraleone*

Quando come PRC ci opponemmo, praticamente da soli, all’autonomia scolastica introdotta da Luigi Berlinguer, nell’ormai lontano inizio del secondo millennio, avevamo ben chiaro che la logica aziendalistica, sottesa ai tre regolamenti dell’autonomia in attuazione della legge Bassanini del 1997, costituiva un varco pericolosissimo per la disarticolazione del diritto allo studio sancito dalla Costituzione repubblicana.

Non si trattava di modulare le attività di formazione in riferimento alle diverse realtà territoriali o ai soggetti sociali concreti impegnati nel processo educativo, ma si avviava una differenziazione didattica, organizzativa ed economica che avrebbe prodotto frutti avvelenati per un diritto, che come tutti quelli universali trova solo nella Repubblica la possibilità di essere garantito in tutto il territorio nazionale, perché è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli…che impediscono il pieno sviluppo della persona umana..”

Siamo arrivati, in una sorta di slittamento progressivo, al tentativo di alcune regioni del nord di regionalizzare il sistema scolastico e molto altro con la così detta “autonomia regionale differenziata”, contando sulle maggiori risorse di cui dispongono (non per merito, ma per ragioni storico – politiche) e su un “governo amico” a trazione leghista, che sembra non trovare nulla di strano a incrementare ulteriormente quelle risorse.

Sappiamo bene che la deregolamentazione, prodotta anche dalla differenziazione in nome del merito, va sempre a vantaggio dei più forti e l’abbandono dei diritti universali, che avevano caratterizzato le politiche in Italia e in Europa nel secondo dopoguerra, produce lo smantellamento delle tutele sociali considerate unicamente un costo e la sottrazione di merci e profitti a un mercato sempre più pervasivo.

Questo processo è già molto avanzato nelle università, dove l’attuale governo ha fornito la possibilità di realizzare il turn over legandolo alla loro situazione finanziaria, per cui quelle più “virtuose” potranno persino sfondare il tetto del 100% per la sostituzione dei pensionati, mentre le altre si dovranno accontentare del 40/60% a seconda dei bilanci di cui dispongono. Poiché la situazione finanziaria è data in gran parte dalle rette, verranno premiate ovviamente le università con le rette più alte. Si va verso l’opposto del diritto universale, un minimo garantito di sostegno ai poveri, con servizi dequalificati a loro riservati. Tutti gli altri paghino se possono.

Per opporsi con efficacia a tutto ciò è necessario un fronte ampio che vada al di là dei soggetti direttamente interessati e che faccia capire come non c’è un interesse del Nord contro il Sud, ma quello dei ricchi contro tutti gli altri.

*Responsabile Scuola Università e Ricerca PRC/SE


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