“Bolsonaro è fascista, la sinistra mondiale ha il compito di difendere la democrazia”

“Bolsonaro è fascista, la sinistra mondiale ha il compito di difendere la democrazia”

intervista a Manuela D’Avila di Giacomo Russo Spena - MicroMega -

Manuela D’Avila, candidata vicepresidente del Brasile, è in Italia per denunciare il clima autoritario nel Paese: “Si vuole reprimere l’opposizione sociale e politica. Bolsonaro, Salvini, Trump sono l’altra faccia dell’austerity e di un capitalismo predatorio che vede le istanze democratiche come un intralcio”. Contro il populismo nero che avanza, “dobbiamo lottare ed estendere le forme di partecipazione. L’obiettivo deve essere unire le persone, non soltanto la sinistra”.


“La vittoria in Brasile di un ex-militare razzista di estrema destra, sostenitore della dittatura, come Bolsonaro è stato il punto d’arrivo del golpe mediatico giudiziario che ha condotto alla destituzione della legittima presidente Dilma Rousseff e poi all’arresto di Lula”. Manuela D’Avila, 37anni, è stata la candidata a vicepresidente del Brasile per la coalizione del PT – Partido dos trabalhadores – e del PCdoB “Il Brasile Felice di Nuovo”. Dopo l’arresto di Lula, si è presentata alle recenti elezioni in tandem col candidato presidente Fernando Haddad: una formula, sebbene uscita sconfitta, che ha preso più di 47 milioni di voti. Attivista sociale, femminista, battagliera deputata di Porto Alegre, è in Italia per due incontri pubblici – ieri a Napoli col sindaco Luigi de Magistris, oggi a Roma, ore 18, presso la Casa Internazionale delle donne con l’europarlamentare Eleonora Forenza e il costituzionalista Luigi Ferrajoli – organizzati dal gruppo del GUE-NGL e da Rifondazione Comunista. “In Brasile il patto democratico tra istituzioni e cittadini per garantire il rispetto dei diritti umani è sotto attacco – dice D’Avila – Per questo sono venuta in Europa: voglio raccontare cosa è cambiato da quando è stato eletto il presidente Jair Bolsonaro, per capire come resistere all’offensiva autoritaria da parte del suo governo”.A diverse settimane dal voto, a mente fredda, quali sono le principali ragioni che hanno portato alla vittoria di Bolsonaro? 

Il Brasile sta vivendo una crisi strutturale del capitalismo: abbiamo un processo di de-industrializzazione che ci ha fatto tornare ai tempi del 1947. E di fronte a questa crisi economica e sociale, le elezioni sono diventate una sorta di referendum sul PT: chi difendeva il suo operato e chi lo osteggiava. Bolsonaro è stato furbo nell’incanalare questa rabbia popolare trasformandola in odio contro la sinistra e i movimenti sociali. In campagna elettorale Bolsonaro ha attribuito al PT la colpa di qualsiasi problema del Paese mentre siamo di fronte ad una crisi generale riguardante l’intera America Latina. In secondo luogo, ha trionfato perché è riuscito a destrutturare le istituzioni brasiliane finendo per svilire il potere esecutivo, legislativo e giudiziario. Terzo motivo: in Brasile c’è un enorme problema di criminalità/sicurezza paragonabile soltanto al Messico. Bolsonaro, coi suoi proclami e toni autoritari, ha promesso legge ed ordine. I brasiliani gli hanno creduto.

Quanto hanno inciso l’arresto di Lula e la destituzione di Dilma Rousseff?

Molto, l’arresto a Lula è assolutamente illegale e dimostra che il potere giudiziario sta prendendo il sopravvento negli equilibri istituzionali. Lula è stato condannato senza un minimo di prove, soltanto per evitare che venisse nuovamente eletto presidente. Tra l’altro Sergio Moro, il magistrato simbolo di queste inchieste anticorruzione in Brasile, sarà ministro di Giustizia e la Sicurezza Pubblica nel governo di Jair Bolsonaro.

Torniamo alle responsabilità della sinistra. Fate autocritica sull’esperienza di governo? 

Se abbiamo perso, non è solo per la forza della destra ma è sicuramente anche per le nostre incapacità. Dovevamo batterci maggiormente per contrastare l’alto tasso di diseguaglianze nel Paese anche se con una congiuntura economica sfavorevole non era così facile. E poi non siamo stati bravi nella comunicazione: Bolsonaro ci ha messo all’angolo riuscendo a costruire una serie di narrazioni tossiche dettando l’agenda setting del Paese tramite una miriade di fake news.

Mi sta dicendo che, come si è detto per la vittoria di Trump, Bolsonaro ha manipolato l’elettorato tramite le fake news?

La vedi questa immagine? (Manuela D’Avila ci indica una locandina che la raffigura con una maglietta con su scritto “Rebele – se”, ndr). Durante la campagna elettorale, è stato prodotto un meme dove la scritta è stata modificata in “Gesù è un travestito” e, sotto, “volete votare questa persona?”. Il meme ha avuto 13milioni di condivisioni, gente convinta che veramente portassi una maglietta con una simile scritta. Questo è un esempio, potrei farne altri. Su Facebook, durante la campagna elettorale, ho dovuto segnale 70 miei profili falsi che mi mettevano in bocca cose assurde. Più che parlare delle nostre proposte politiche, perdevamo tempo nel difenderci dalle notizie false che inondavano il Paese.

L’internazionale populista di Steve Bannon ha teorizzato l’utilizzo dei social network per creare opinione pubblica. Bolsonaro aveva dei guru che gli hanno curato la comunicazione?

Bolsonaro ha lavorato sapientemente per inquinare la comunicazione politica. Dietro aveva grandi esperti che hanno utilizzato sapientemente i Big Data dando ad ogni fascia di popolazione ciò che si voleva sentir dire. Propaganda allo stato puro. A parte i social, il principale canale di notizie false è stato WhatsApp, lì circolavano una miriade di fake news che, soprattutto, tra le fasce più popolari hanno fatto breccia.

Bolsonaro in Brasile, Salvini in Italia, Trump in Usa sono riusciti a rappresentare il voto di rottura contro un Sistema ma, secondo lei, non sono la stessa faccia dell’austerity? 

Basta vedere il loro stretto rapporto con le oligarchie per capire che sono semplicemente la nuova faccia del capitalismo, un capitalismo predatorio che vede le istituzioni democratiche come un intralcio. In Brasile ormai trionfa l’autoritarismo. “La mia bandiera non sarà rossa ma quella del Brasile” era lo slogan di Bolsonaro in campagna elettorale aprendo al nazionalismo più spinto. In verità, utilizza il valore simbolico della bandiera non per uno spirito di emancipazione ma per vincolarsi al dominio statunitense. Sta privatizzando e svendendo il Paese ai nordamericani, altro che uomo di rottura con l’establishment.

Bolsonaro è un pericolo per la democrazia?

Il governo che si è appena insediato, a parole, si annuncia liberale ma non lo è. Al suo interno ha una forte componente militare e sono stati nominati ministri che hanno promesso “l’uso del fucile” per la risoluzione dei conflitti sociali. Inoltre, Bolsonaro ha già minacciato di arrestare 100mila militanti di sinistra e intende trattare i movimenti sociali come associazioni criminali. Non sappiamo quindi come si concretizzerà questa offensiva autoritaria ma siamo certi che partirà dallo Stato.

Ci sono già stati episodi di repressione? 

Bolsonaro neanche si era insediato che hanno sgomberato un’occupazione di terra del MST e sono stati uccisi due attivisti dei Sem Terra. Io stessa ho subito piccole intimidazioni.

Ha paura per questo clima nel Paese?

Non ho tempo per avere paura, mi devo battere per costruire una possibile resistenza.

Bolsonaro si può definire fascista o è per archiviare alcuni termini ormai relegati al Novecento?

Lo è perché agisce alimentando l’idea del nemico: chi è contro di lui, va sterminato. Partendo da questo ragionamento arriva, senza problemi, a teorizzare la brutale repressione delle opposizioni. Come direbbe Hannah Arendt siamo alla disumanizzazione dell’essere umano.

Bolsonaro, Trump, Le Pen, Orban: il vento nero soffia sempre più forte. Cosa sta succedendo nel mondo? 

Siamo entrando in una nuova fase capitalistica e la difesa della democrazia deve essere una delle battaglie della nuova sinistra mondiale. In Brasile, ad esempio, dobbiamo rafforzare la democrazia per garantire la dignità della persona, tutelando la Costituzione del 1988. Ma dobbiamo anche far capire ai cittadini che i diritti sono interesse di tutti e che Bolsonaro ci farà diventare una colonia degli Usa. Contro il populismo nero che avanza, dobbiamo utilizzare la lotta ed estendere le forme di partecipazione alla politica. L’obiettivo è unire le persone, non soltanto la sinistra: abbiamo la volontà e l’obbligo di preservare democrazia e diritti.

Recentemente, a New York, Yanis Varoufakis e Bernie Sanders hanno siglato la nascita di un’internazionale progressista. All’incontro era presente pure Haddad. Quello può essere un punto per ripartire?

È un bene che esistano vari spazi di organizzazione mondiale: oggi sono in Italia invitata dal gruppo europarlamentare del Gue, oppure penso al Foro di San Paolo che riunisce l’intera sinistra latinoamericana. Poi ci sono i temi concreti da affrontare: ambientalismo, giustizia sociale, diritti delle donne, contrasto al razzismo, per citarne i principali.

Matteo Salvini, in qualche modo, è paragonabile a Bolsonaro? 

Parlano i fatti: Salvini è stato tra i primi politici a complimentarsi con Bolsonaro per la sua vittoria.

(14 dicembre 2018)


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