Sulla buona strada

Sulla buona strada

Carlo Renoldi -

 Con la sentenza di ieri le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno compiuto un importante passo in avanti nel percorso di emancipazione interpretativa dalle scelte più discutibili e regressive della c.d. Fini-Giovanardi. Nei primi mesi del 2006, infatti, con una scelta tecnicamente censurabile – su cui nei prossimi mesi dovrà pronunciarsi la Corte costituzionale – il legislatore di centrodestra aveva inserito, in un decreto legge sulle olimpiadi invernali, pesanti modifiche al testo unico sugli stupefacenti, tra le quali, appunto, quella relativa all’art. 75. Mentre in origine, infatti, era prevista l’applicazione di una sanzione amministrativa per colui il quale facesse «un uso personale» di sostanze stupefacenti, la Fini-Giovanardi aveva stabilito che la fruizione dello stupefacente dovesse essere «esclusivamente personale».
Una modifica testuale apparentemente innocua, che in realtà ha spesso dato luogo, nelle interpretazioni dei giudici, a pronunce di condanna nei casi sia di «mandato all’acquisto» (ovvero di incarico all’acquisto da parte di terzi consumatori) che di «acquisto comune» (ossia di partecipazione collettiva all’acquisto stesso). La scelta del legislatore, peraltro, si inseriva in un contesto di maggiore severità rispetto ad ogni attività comunque connessa alla circolazione di sostanze stupefacenti, evidenziato da un generale inasprimento delle pene e dalla criticatissima equiparazione tra i vari tipi di droghe. Un contesto caratterizzato, in definitiva, da un preoccupante e discutibile ampliamento delle maglie dell’intervento repressivo fino a lambire i comportamenti di mero consumo.
Benché non si conoscano ancora i passaggi argomentativi della Suprema corte, le cui motivazioni saranno note tra un mese, è probabile che la soluzione accolta sia stata determinata da una lettura del fenomeno ispirata ad un criterio di ragionevolezza. E’ infatti contrastante con il più elementare buon senso escludere la rilevanza penale del consumo individuale di droga e, al contempo, sanzionare penalmente il consumo realizzato in un contesto collettivo. Entrambe le condotte considerate, quella di mandato all’acquisto e di acquisto comune, del resto, esprimono una sostanziale condivisione di tutti i partecipanti (esecutori dell’acquisto e destinatari dello stupefacente) ad un progetto comune, sicché la differenziazione del regime giuridico appare davvero irragionevole.
Siamo dunque in presenza di un’importante pronuncia, che tuttavia non può certo nascondere la necessità di un intervento di profonda rivisitazione della nostra legislazione penale sulle droghe, su cui il prossimo parlamento dovrà pronunciarsi. Anche a voler prescindere, infatti, da opzioni di schietta impostazione antiproibizinistica, di difficile percorribilità nell’attuale contesto politico-culturale, sono certamente possibili ed anzi appaiono ormai indifferibili alcuni interventi mirati: da una sensibile riduzione generale delle pene all’introduzione di un reato autonomo per i fatti di più lieve entità; dalla previsione di un regime differenziato a seconda del tipo di stupefacente fino al rafforzamento delle misure alternative destinate ai consumatori, in specie con l’eliminazione dei divieti di concessione reiterata delle misure terapeutiche.

 


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