L’alta marea

L’alta marea

Filippo Vergassola         

Per marea si intende il periodico alzarsi (alta marea) e abbassarsi (bassa marea) del livello dei mari e degli oceani. Costituisce l’effetto più noto e visibile dell’influenza esercitata dal Sole e dalla Luna sulla Terra.

Le domande ,gli interrogativi, le richieste non sempre trovano una loro forma organica, coerente e precisa per essere enunciate.

Talvolta si colgono, talaltra vanno colte.

Capitano momenti in cui si debbano ricercare, e momenti in cui lo si debba fare con urgenza.

Lo impone l’oggi, il contesto ; lo impone la quotidianità.

L’urgenza oggi coincide con una capacità che dobbiamo avere, oppure creare : quella non solo di reincontrare ma soprattutto di reinterpretare gli sguardi ora disorientati ora persi ora più semplicemente delusi.

Esiste un mondo di domande non dette, di richieste non fatte, esiste chi aspetta e intanto combatte, non si arrende e soffre, spera, si rialza, cade di nuovo.

C’è bisogno di rompere la gabbia e non solo di narrare forme di disobbedienza. Non basta più. Non ora non qui e non adesso.

Non in un contesto del terzo millennio. Non quando le coordinate e i valori minimi su cui poggia una democrazia vengono meno.

Vengono meno nella strage di Macerata, nelle sparatorie inneggiando al ministro dell’interno. Vengono meno, quei minimi sospiri di umanità, nell’apartheid dell’asilo di Lodi, negli sgomberi degli spazi sociali e delle esperienze di collettività, mutualismo e solidarietà più avanzate.

Negli sfratti e negli abusi contro chi non ha più nulla se non il sapore umido di qualche lacrima.

Vengono meno a Genova dove si multa chi rovista nei cassonetti, vengono meno ogni volta che una voce dice che Cucchi se l’è cercata.

Vengono meno nei braccialetti addosso agli operai nelle fabbriche, nei provvedimenti disciplinari agli studenti che scioperano.

Vengono meno quando gli sfollati del ponte Morandi apprendono che dovranno ancora pagare il mutuo delle loro case distrutte.

Vengono meno quando si incarcerano i No Tav, quando si criminalizza il dissenso di ogni tipo, quando si autorizza ancora una volta l’acquisto di armi e strumenti di morte, quando si paragonano i migranti ai crocieristi.

Ogni volta che il profitto viene messo davanti al diritto alla salute e a quello della vivibilità dei luoghi, ogni volta che ai deboli viene raccontato che la causa della loro disgrazia sono coloro che sono ancora più in basso nella scala dei “considerati”.

Nel boom della disuguaglianza sociale , nelle milioni di vite vissute sotto la soglia di povertà, nella trasformazione del concetto di lavoro da diritto a favore concesso a tempo ridotto.

In ogni incertezza creata, in ogni prospettiva di esistenza negata, nella sottrazione della dignità, nell’impedimento a ogni essere umano di sviluppare la propria personalità e la propria coscienza secondo i propri bisogni e i propri sogni.

Nel sequestro dei desideri e delle aspirazioni di milioni di anime e cervelli.

La sinistra o è rivolta a ribaltare tutto ciò , o non è.

O si mette al servizio della battaglia per alzare la qualità della vita di ciascuno, o non è.

O si costituisce come mezzo per riaffermare ogni forma di autodeterminazione individuale ed ogni fattore di crescita collettiva, o non è.

O lavora per l’orizzonte della riconquista del tempo della vita come il bene più prezioso di cui disponiamo, battendosi per la riaffermazione di ogni forma di libertà individuale, o non è.

O è capace di veicolare il messaggio del concetto di Sapere come un qualcosa di necessariamente critico e collettivo, o non è.

O si rende strumento di trasformazione di dinamiche reali, materiali, tangibili, o diventa il riflesso di un’immagine stanca e stantìa.

O si organizza per ricucire ogni singolo sogno tagliato a ciascun essere umano, ogni ferita inferta a ciascun cuore spezzato, oppure diventa la vetrina di sfoghi , rancori e cicatrici che non crolleranno mai.

Siamo in mare. Sì, in mare.

Quello dell’ostentazione di sé fatta senza alcuna ricerca delle articolazioni, delle sfaccettature, della complessità degli elementi che ci circondano. Non ci accorgiamo delle variazioni di paesaggio. Il mare è sempre più calmo. Siamo in bassa marea.

La distesa d’acqua si appiattisce istante dopo istante, ora dopo ora, giorno dopo giorno, permettendo a chiunque gode dello status quo di navigare dolcemente.

Non ci sono rischi, non si intravedono boe segnalatrici di pericoli, non si prevedono variazioni di velocità , virate di rotta.

Il pensiero di chi dirige la navigazione vuole creare omologazione e standardizzazione dei contenuti, beandosi e lucrando sulle contraddizioni gigantesche del sistema, sulle ingiustizie, sulle iniquità, su quella competitività sfrenata che regola rapporti di produzione e rapporti umani arrivando a trasformarsi in colpevolizzazione : della povertà, della diversità, di chiunque rimanga indietro : è il simbolo di un modello di sviluppo.

Non ci sono segnali di onde anomale né di lievi increspature, tutto sembra tacere, come in ogni fase della marea in cui vince l’indifferenza : quell’indifferenza che “è abulìa, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita”.

Procediamo la navigazione, ma è evidente che ci sia una necessità impellente.

Abbiamo un bisogno folle ed urgente di tutto il contrario ed è tutto il contrario che dobbiamo costruire : dobbiamo costruire l’alta marea.


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