La Sicilia non vuole il Muos

La Sicilia non vuole il Muos

di Chiara Giarruso -

Il governatore siciliano Rosario Crocetta non dichiara guerra agli Usa, ma poco ci manca: ieri mattina, invocando la procedura d’urgenza prevista dal Codice civile, ha chiesto al tribunale di Caltagirone (Catania) la sospensione dei lavori per la realizzazione del Muos, il sistema satellitare della Marina militare Usa, in costrizione a Niscemi, comune di 50 mila abitanti del Nisseno. Crocetta ci aveva provato lo scorso 11 gennaio, revocando con un atto amministrativo l’autorizzazione che il suo predecessore, Raffaele Lombardo, aveva concesso agli americani. Ma i militari Usa hanno fatto orecchio da mercante: i lavori continuano come se niente fosse, complice quell’aria di amicizia che spira dal governo nazionale: il ministro dell’Interno, Annamaria Cancellieri, potrebbe dichiarare – come ha annunciato – che il sito è di interesse strategico-militare.
Ma da ieri Crocetta sembra meno solo e si trova al suo fianco il drappello dei 15 deputati «grillini», i quali hanno deciso che sul Muos andranno alla guerra, bloccando, se è il caso, l’intera macchina amministrativa della Regione. Così ieri – mentre Grillo lanciava strali, nei suoi comizi in giro per l’Isola, contro il Muos – il M5S ha fatto mancare per la terza volta il numero legale all’Ars, impedendo l’approvazione del Dpef. Ma al contrario delle due volte precedenti, in questa occasione la mossa ha avuto una spiegazione chiara: qui si ferma tutto se non si mette la parola fine al Muos. A distanza Beppe Grillo ha fatto eco ai suoi: «C’è una Regione che dice no, una provincia che dice di no, un sindaco che dice di no, e il governo nazionale dice di sì per fare piacere agli americani. Abbiamo 98 basi di americani in Italia tra uffici di logistica e piattaforme. Abbiamo 90 teste nucleari… Ma in cosa dobbiamo trasformarci, in una portaerei americana?».
Crocetta aveva annunciato l’iniziativa giudiziaria nella serata di mercoledì. Ieri è spuntata la grana del Dpef, in una Regione depressa che attualmente è costretta ad andare avanti con l’esercizio provvisorio. Ma di grane non ne mancano: mentre l’Assemblea regionale batte in ritirata per mancanza di truppe in aula, Crocetta nel pomeriggio ha fanno un’altra delle sue quotidiane tappe in procura, per denunciare lo scandalo di giornata, che stavolta è il tentativo di condizionare una gara d’appalto in una Usl. Due giorni fa il governatore aveva bloccato alcuni appalti dati dal Consorzio autostrade siciliane. Ad ogni giorno la sua pena. E oggi?
La storia del Muos andrà per le lunghe: dopo l’esposto in procura, serviranno trenta giorni per attendere le controdeduzioni della marina militare Usa. «Più di questo non si può fare», dice Crocetta, anche se Legambiente sostiene che Crocetta avrebbe soltanto invitato gli americani a sospendere i lavori, «senza disporre con un atto formale l’annullamento delle autorizzazioni, nonostante il cantiere si trovi in una riserva naturale dove l’impianto non poteva essere realizzato».
Due settimane fa il presidente della commissione Ambiente dell’Ars, Giampiero Trizzino, anche lui esponente del M5S, aveva convocato la seduta dell’organismo legislativo proprio a Niscemi, invitando a partecipare tecnici, cittadini e componenti del Comitato «No Muos» che da settimane ha un presidio permanete davanti ai cancelli del cantiere militare. In quella sede l’assessore regionale al Territorio, Mariella Lo Bello, promise che della vicenda si sarebbero occupati i legali dell’amministrazione. E sul Muos pende una mozione, proposta dal deputato del Pd Fabrizio Ferrandelli e approvata dall’aula, che impegna il governatore a bloccare l’opera.
E ieri Crocetta, che ha anche trovato il tempo per fare un salto alla convention del Pd che ospitava il segretario Pierluigi Bersani, si è preso i complimenti di Adriano Sofri sulla posizione che la Regione ha assunto sul Muos. E per il governatore è stata l’occasione per annunciare che la sua giunta sta sostenendo lo squattrinato comune di Niscemi nella battaglia legale contro il Muos intrapresa davanti al Tar. Insomma, pagherà l’avvocato. La battaglia è davvero impari.

il manifesto 1 febbraio 2013


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