Il Left Forum di New York

Il Left Forum di New York

di Paolo Ferrero -
“Verso una strategia vincente per la sinistra” (Towards a winning strategie for the left) è il titolo del LEFT FORUM che si è tenuto a New York dal 1° al 3 di giugno. Vi ho partecipato e sono intervenuto in quanto Vice Presidente del Partito della Sinistra Europea, che è l’unico partito europeo con cui il Forum ha rapporti.
Il Left Forum è oramai un appuntamento tradizionale per la sinistra statunitense, quella che riunisce dai seguaci di Bernie Sanders ai gruppi politici, associazioni e comitati più radicali. Il carattere articolato e composito della sinistra radicale statunitense era ben rappresentato dagli interventi che hanno aperto il Forum stesso: Jumaane D.Williams, consigliere comunale di New York, eletto nelle liste del Partito Democratico, nero, attivista e militante politico che ha come riferimento Malcom X. Gayle McLaughlin, per due mandati sindaca della città di Richmond (California), a capo di una coalizione progressista autonoma dal Partito democratico, formatasi in chiara opposizione allo strapotere della Chewron in quella città. Adesso Gayle stà operando per costruire una coalizione che le permetta di partecipare alla corsa per le presidenziali dello Stato della California, sempre come indipendente. Da ultimo Jane Sanders, che oltre ad essere la moglie di Bernie Sanders, è una stimatissima attivista politica. Jane Sanders, che non è iscritta al Partito Democratico ha sostenuto che la costruzione di coalizioni sociali a livello di base doveva poi portare però – nella normalità dei casi – alla partecipazione delle primarie del Partito Democratico al fine di poter eleggere candidati radicali, di sinistra, cercando di smontare il meccanismo bipolare che prevede un puro ricambio tra simili.
Due i terreni di discussione principali che mi pare abbiano attraversato questo appuntamento assai articolato. Infatti ogni giorno oltre ad una assemblea generale, vi erano decine e decine di assemblee a tema in cui si è discusso di moltissime questioni.
In primo luogo il tema della costruzione dell’opposizione a Trump, che tutti e tutte considerano il nemico principale. L’analisi ha teso ad evidenziare come la vittoria di Trump non possa essere derubricata a fenomeno politico episodico, ma come questa vittoria dell’estrema destra abbia fornito un possibile punto di approdo reazionario al malessere sociale e alla paura del futuro. Conseguentemente il Forum ha opportunamente aperto una riflessione sugli errori della sinistra e dei movimenti, sia intesi come errori veri e propri che come insufficienti elaborazioni e pratiche politiche che hanno lasciato aperti spazi significativi per la destra reazionaria. A New York si è posto il tema – pur con una certa varietà di approfondimenti ed elaborazione – di un ripensamento complessivo su cosa il movimento, le associazioni, le organizzazioni politiche e i sindacati hanno fatto e pensato in questi ultimi decenni. Mi pare un dato significativo, non tanto per la qualità dell’elaborazione prodotta nel Forum – assai diseguale – ma per l’intento della riflessione. Si tratta infatti di un modo maturo di porsi il problema dell’efficacia politica, evitando la solita tiritera che caratterizza il dibattito italiano, dove in modo completamente manicheo si discute degli errori delle forze politiche come se questo rappresentasse la totalità del problema e come se tutto il resto delle esperienze, delle pratiche e delle elaborazioni, andasse benissimo.
In secondo luogo uno dei nodi politici che ha attraversato il dibattito riguarda il tema dell’autonomia politica e culturale dal Partito Democratico. Questa mi è parsa una consapevolezza assai diffusa e a partire da questa comune ed importante acquisizione ha permesso di discutere con maggior serenità il tema dell’efficacia dell’azione politica. Ho partecipato a discussioni in cui erano presenti come relatori sia persone che sono state elette dopo aver partecipato alle primarie del Partito Democratico da outsider, sia persone che sono state elette in coalizioni indipendenti contro il Partito Democratico e contro i repubblicani. Il fatto che la discussione si concentrasse sull’efficacia della costruzione di coalizioni “progressiste” contro i poteri forti locali e nazionali – di cui tutti e tutte sono consapevoli il Partito Democratico fa parte – mi è parso segnalare un importante elemento di maturità politica. Questa necessità di costruire coalizioni autonome politicamente e culturalmente mi è parsa una importante acquisizione, in grado di relativizzare, anche legandole alle situazioni concrete, la successiva scelta se giocarsi la partita alle primarie dei Democratici o se agire direttamente la Coalizione a livello politico.
Sono intervenuto al Forum in qualità di Vicepresidente del Partito della Sinistra Europea all’interno di un Panel dal titolo: “Connecting the european and nord american left: identifyung spheres of cooperation” (collegare la sinistra europea e nordamericana: identificare le sfere di cooperazione).
La tesi che ho sostenuto è che oggi vi è un forte elemento oggettivo che spinge all’unità dei movimenti e delle sinistre dalle due parti dell’Atlantico.
In primo luogo la comune lotta contro la strategia guerrafondaia, distruttrice dell’ambiente e fomentatrice di guerre economiche che caratterizza la politica di Donald Trump e più in generale le politiche liberiste. Il ruolo della sinistra – negli USA come in Europa – è proprio quello di indicare una strada contro ed oltre le destre populiste e le destre tecnocratiche, che paiono oggi occupare tutto lo spazio politico. Oltre al comune avversario vi è però un altro elemento che determina una possibile convergenza tra la sinistra delle due sponde dell’Atlantico. Sia negli USA che in Europa vi è tra gli stati popolari una diffusa insicurezza sociale e un forte timore per il futuro. In entrambi i casi il rischio è che siano le destre xenofobe, patriarcali e fascistoidi ad egemonizzare il disagio con proposte reazionarie e ferocemente nazionaliste. Si tratta quindi di dar vita ad una comune elaborazione e di unire gli sforzi per costruire una efficace proposta ed azione politica congiunta tra le sinistre e i movimenti delle metropoli imperialiste. Contro “business as usual”, contro “American first” e “prima gli italiani” – che poi significa prima i ricchi – occorre costruire una visione alternativa. Per dirla in uno slogan: un umanesimo egualitario e ambientalista contro la guerra tra i poveri.


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