La scuola che soffre e che resiste

La scuola che soffre e che resiste

di Loredana Fraleone*

Si è chiuso l’anno scolastico 2016/17 per gli studenti e le studentesse, tranne per la piccola minoranza impegnata negli esami. Non si è chiuso per il personale docente e ATA, alle prese con una burocrazia, che oltre a sottrarre tempo alle lezioni, rende il lavoro a scuola sempre più impegnativo e stressante.

L’anno della “buona scuola”, in molti casi, ha fatto emergere l’autoritarismo di molti dirigenti, che hanno fatto di tutto per rendere la riforma più odiosa possibile. Nei casi migliori hanno cercato di mettere toppe alle disfunzioni presenti nella legge e qualche coraggioso ha persino rinunciato alla chiamata diretta dei docenti.

Nonostante la grave sconfitta del movimento che ha contrastato la scuola di Renzi, tanto più pesante quanto forte e determinato, sono ancora diffuse forme di resistenza, che nell’ultimo periodo dell’anno scolastico hanno prodotto un boicottaggio in molte situazioni delle odiate prove INVALSI e il rifiuto di approvare i criteri per la chiamata diretta dei docenti da parte dei dirigenti.

Difficile per il governo pacificare una categoria di lavoratori che ha visto l’assunzione di migliaia di precari e contemporaneamente una sorta di precarizzazione per tutti, che ha dovuto proteggere i propri studenti da “un’alternanza scuola lavoro”, inutile e che per di più li espone a forme di sfruttamento “educative” per il futuro.

La “buona scuola è, infatti, una grande operazione di controllo sociale, che non a caso assume sempre più modalità privatistiche di funzionamento e non mette al centro la conoscenza, come capacità di imparare per tutta la vita e produrre pensiero critico.

Non a tutti i docenti sono chiari questi intendimenti, scambiano le ” competenze” con il “saper fare”, che vorrebbe dire anche essere capaci di apprendere autonomamente. Ad alcuni probabilmente sta anche bene, ma la contraddizione che coinvolge tutti è quella di aver perso parte del controllo sul proprio lavoro, dovuto anche alla stupida burocratizzazione che ne ridimensiona l’autonomia.

Su queste ed altre contraddizioni (la legge ne presenta un bel po’) sarà importante ripartire nel prossimo anno scolastico con l’alimentazione e la diffusione della resistenza scuola per scuola. La presentazione della Legge d’Iniziativa Popolare (LIP) fornirà in autunno la proposta alternativa alla scuola renziana, sia perché nata da una discussione dal basso e da tutti i soggetti che hanno lottato contro la buona scuola, sia per i contenuti, che riconducono al dettato costituzionale. Sarà da diffondere anche tra studenti e genitori, oltre che nell’opinione pubblica, per una grande offensiva culturale, che dovrebbe coinvolgere anche quegli intellettuali che non si sono pronunciati contro i tagli e le controriforme sul sistema d’istruzione, salvo lamentarsi, con qualche ragione, del suo degrado.

 

 * responsabile nazionale scuola PRC-Se


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