Un discorso sulla guerra che si vive in Venezuela

Un discorso sulla guerra che si vive in Venezuela

Pubblichiamo un contributo  da Caracas che ci ha inviato Julián Isaías
Rodríguez Díaz, Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela in
Italia.
L’Ambasciatore si trova in questi giorni in Venezuela dove è stato nominato
dal Presidente costituzionale Nicolàs Maduro come Vice-Presidente della
Commissione Presidenziale per  la definizione delle modalità dell’Assemblea
Nazionale Costituente.
Classe 1942, originario di Guarico, avvocato con specializzazione in diritto
del lavoro, professore universitario,  durante la Presidenza di Hugo Chavez
è stato senatore, membro dell’Assemblea Costituente, Vice-presidente della
Repubblica. Ha ricoperto inoltre la carica di Procuratore Generale e di
giudice della ‘Sala Costituzionale del Tribunale Supremo’. Prima di essere
nominato Ambasciatore in Italia nel 2011 è stato Ambasciatore in Spagna.

UN DISCORSO SULLA GUERRA CHE SI VIVE IN VENEZUELA

Fino a qualche giorno fa mi trovavo a Roma. Tenevo conferenze nelle
università italiane sulle guerre cibernetiche. Le identificavo come guerre
di quarta o quinta generazione. Le assimilavo ai colpi di Stato “morbidi”,
come quelli del Brasile e del Paraguay. O alle rivoluzioni colorate
dell’Europa dell’Est. O alle cosiddette “primavere arabe”. Ma una cosa è
preparare un discorso per un evento accademico e un altro vivere questi
colpi di stato “morbidi”, come colpi di stato armati, o subire le
“primavere” come inverni freddi pieni di alberi spogli, senza foglie, senza
fiori ed apparentemente senza vita.

Quando ti rendi conto che, al posto delle bombe, ti lanciano rapporti
informativi e notizie estratte surrettiziamente da server nemici sconosciuti
e che questi si infiltrano nel tuo computer o nel tuo telefono cellulare per
distruggere le reputazioni; quando vedi come bloccano le pagine web a
pochissimi passi da te e constati l’occupazione del territorio del tuo Paese
condotta attraverso manipolazioni, sabotaggi o trasfigurazione delle
notizie, i discorsi accademici ti stanno molto stretti e ti si drizzano i
capelli.

È una vera guerra cibernetica ! Fai fatica allora a descrivere gli opposti
schieramenti. Gli attacchi sono reali. Con tutte le loro dimensioni e i loro
scenari. Una popolazione stordita e inerme, gruppi di attivisti, schiere
contrapposte di soldati in guerra, poliziotti che rischiano la vita,
criminali con il viso coperto o con un fazzoletto legato alla testa come se
stessero attraversando un deserto, crackers, società mercenarie, sicari
travestiti da gente commune, barriere metalliche nelle strade, unità di
intelligence e giovani che sembrano come narcotizzati, che agiscono
difendendo un ideale che non arriva ai destinatari, per la violenza con la
quale si scagliano contro chiunque abbia una telecamera o un cellulare
(avversario o no) che li mette a rischio di essere identificati.

È in questi momenti che si diventa capaci di credere che gli Stati Uniti
stiano usando il Venezuela come  un laboratorio per testare, in scala
ridotta, come potrebbe essere la terza guerra mondiale dello spazio
cibernetico. La riflessione allora ci salta agli occhi come un animale
ferito in una spedizione in mezzo a una foresta non da finzione. Ciò è
preoccupante non solo per l’America Latina e per il Venezuela, è
preoccupante per l’intero mondo civile, che non vuole tornare a vivere né il
nazional-socialismo, né il franchismo.

Le difficoltà nel poter identificare gli autori degli assalti, e la mancanza
di esperienza in scontri di questo genere corrispondono a una scalata più
“ciberbellica”, che cibernetica.

No, non è una guerra di quarta generazione, sono azioni reali che si
percepiscono attraverso i sensi, anche in quei casi in cui non hanno alcun
significato. A questo cerca di condurci questa guerra sotterranea. Mi
rifiuto di vederla in altro modo se non come guerra sotterranea. Alcuni dei
partecipanti a questo dramma hanno interessi che non sento molto puri. È una
Pearl Harbor digitale, in cui si sviluppano armi ibride in una zona grigia.
Una specie di WikiLeaks misto con Anonymous, ma con armi lunghe, corte e
letali, nascoste in fazzoletti grandi, in fondine scure e in borse facili da
trasportare.

Il peggio è che spesso le voci più allarmiste risultano false e, al
contrario, quelle meno altisonanti risultano gravi. I giornalisti scoprono
che è quasi una lotta di tutti contro tutti, nella quale sofisticati virus
informatici di origine ignota ti sorprendono con bugie delle quali è
impossibile dubitare.
L’hackeraggio è contro i nemici e contro gli amici, e perfino interno alle
fazioni che condividono lo stesso credo. È una vera giungla nella quale gli
animali sono “il polpo” e “il ragno” (vie di comunicazione che sembrano
ponti su Caracas) e dove i macchinari che dissuadono dalla ribellione sono
“il rinoceronte” e “la balena” (camion con idranti per disperdere i
manifestanti).
Quanto alla parete di metallo che viene collocata  come barriera dalle forze
dell’ordine pubblico, questo popolo con un’immaginazione indemoniata la
chiama “pipistrello”, perché allarga le sue ali di metallo sulle vie urbane
e interrompe le strade come il muro che Trump ha progettato per la frontiera
tra il Messico e gli Stati Uniti.

È una vera guerra e non un discorso. È l’anarchia più assoluta e più
scriteriata. Nella guerra ci sono norme, schieramenti delimitati, obbiettivi
e responsabilità che possono essere perfettamente individuati. Quello che
accade in questo che sembra un assalto simile a quelli che nel Medio Evo si
facevano contro “le città assediate”, è un tutti contro tutti nel quale
diversi gruppi usano strumenti legali e illegali, sterco umano, bottiglie
molotov, armi da fuoco di costruzione artigianale, gas, cuscinetti a sfera,
pistole per abbattere e macellare animali. Una specie di selvaggio west
prima dell’arrivo della Legge con indiani e “pacifici e religiosi
colonizzatori”.

È possibile che, come in Vietnam, il caos che gli Stati Uniti sperimentano
come laboratorio in territorio venezuelano gli si possa rivoltare contro.
Così capiranno che questo continente non è più una loro proprietà, né il
loro cortile di casa. Sì, siamo coscienti del fatto che dopo tutto la guerra
non può esistere senza che vi sia prima una pace ordinata.

Questa presunta pace è quella che esisteva in America Latina quando il
Dipartimento di Stato statunitense riteneva che questo continente fosse suo,
in virtù della dottrina Monroe. Ora la pace più che ordinata è organizzata e
oppone resistenza. Si può piegare come una palma ma si alzerà di nuovo senza
che la spezzino mai. È una pace nuova, piena di dignità, e questa sì che può
essere chiamata “primavera”, perché non la fiaccano i colpi di Stato, né
quelli morbidi, né quelli duri.

La nostra geografia è arrivata ad essere un ciberspazio nel quale la
ciberguerra non serve per addomesticare né per schiacciare i popoli.

Caracas, festa della mamma in Venezuela. Dedicato a tutte le donne che hanno
partorito questa rivoluzione.

¡HASTA LA VICTORIA SIEMPRE!

(Si ringrazia Barbara Fiorellino per la traduzione)


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