Vittoria di Trump: il commento della rivista socialista Jacobin

Vittoria di Trump: il commento della rivista socialista Jacobin

Pubblichiamo il commento a caldo della vittoria di Trump dei redattori della rivista socialista americana Jacobin.

La politica è la soluzione

Non ci facciamo illusioni circa l’impatto della vittoria di Donald Trump. Si tratta di un disastro. La prospettiva di un governo di destra unificato, guidato da un populista autoritario, rappresenta una catastrofe per i lavoratori.
Ci sono due maniere di rispondere a questa situazione. Una è quello di dare la colpa al popolo degli Stati Uniti. L’altra è quella di incolpare l’elite del paese.
Nei prossimi giorni e settimane, molti esperti cercheranno di fare la prima. Liberali impauriti hanno già scritto guide su come trasferirsi in Canada; la notte scorsa, il sito dell’immigrazione canadese si è bloccato dopo un aumento del traffico. Le persone che ci hanno portato a questo precipizio ora stanno progettando la loro fuga.

Ma dare la colpa al popolo americano per la vittoria di Trump approfondisce soltanto l’elitarismo che ha mobilitato i suoi elettori in primo luogo. E’ indiscutibile che il razzismo e il sessismo hanno giocato un ruolo cruciale nell’ascesa di Trump. Ed è orribile contemplare i modi in cui il suo trionfo servirà a rafforzare le forze più crudeli e più bigotte nella società americana.
Ancora, una risposta a Trump che inizia e termina con l’orrore non è una risposta politica – è una forma di paralisi, una politica del nascondersi sotto il letto. E una risposta al bigottismo americano che inizia e finisce con la denuncia morale non è una politica per niente – è il contrario della politica. È la resa.
Credere che l’appeal di Trump sia stato interamente basato sul nazionalismo etnico significa credere che una quasi maggioranza degli americani sono guidati solo da odio e un desiderio condiviso per un programma politico di supremazia bianca.
Noi non lo crediamo. E i fatti non lo confermano .
Questa elezione, nelle parole dell’analista del New York Times Nate Cohn, è stata decisa da persone che hanno votato per Barack Obama nel 2012. Non tutti possono essere bigotti.
Clinton ha ottenuto solo il 65 per cento degli elettori latinoamericani, rispetto al 71 per cento di Obama quattro anni fa. Ha ottenuto questo magro risultato contro un candidato che portava avanti un programma di costruzione di un muro lungo il confine meridionale degli Stati Uniti, un candidato che ha dato il via alla sua campagna chiamando i messicani stupratori.
Clinton ha ottenuto il 34 per cento delle donne bianche senza diploma di scuola superiore. E ha conquistato solo il 54 per cento delle donne in generale, rispetto al 55 per cento di Obama nel 2012. Clinton, naturalmente, stava correndo contro un candidato che gongolava nel film sull’afferrare le donne “dalla figa.”
Questa era l’elezione della Clinton per perdere. E ha perso. Un sacco di colpa ricadrà su Clinton la candidata, ma lei ha solo incarnato il consenso di questa generazione di leader del Partito Democratico. Sotto la presidenza di Obama, i democratici hanno perso quasi un migliaio di seggi di parlamentari a livello di stato, una dozzina di corse di Governatori, sessantanove seggi della Camera e tredici al Senato. La notte scorsa non è venuta fuori dal nulla.
Il problema con la Clinton non era la sua particolarità, ma la sua tipicità. Era caratteristica di questo Partito Democratico che gli uomini di potere a Washington decidessero il candidato – con schiaccianti endorsements – molti mesi prima che un singolo voto fosse scrutinato.
Hanno fatto una scelta fatale per tutti noi truccando le carte, in modo decisivo, contro il tipo di politica che poteva vincere: una politica della classe lavoratrice.
Settantadue per cento degli americani che hanno votato la scorsa notte credeva che “l’economia è truccata a vantaggio dei ricchi e potenti.” Il sessantotto per cento concordava che “i partiti tradizionali e i politici non si preoccupano di persone come me.”
Quasi solo tra i politici democratici, Bernie Sanders ha parlato a questo latente senso di alienazione e di rabbia di classe. Sanders aveva un messaggio fondamentale per il popolo americano: voi meritate di più e avete ragione a credere di meritarlo. L’assistenza sanitaria, l’istruzione universitaria, un salario che consenta di vivere. E’ un messaggio che lo ha reso di gran lunga il politico più popolare del paese.
La piattaforma ufficiale di Hillary Clinton si è avvicinata ad alcune delle idee concrete di Sanders, ma ha ripudiato il suo messaggio centrale. Per i responsabili del Partito Democratico, non aveva senso inveire contro l’America. Per loro, l’America non ha mai smesso di essere grande. E le cose sono solo andate migliorando.
I leader di partito hanno chiesto agli elettori di consegnargli la politica. Loro pensavano di avere tutto sotto controllo. Si sbagliavano. Ora tutti noi dobbiamo vedercela con le conseguenze. E lo faremo.
Si tratta di una nuova era che richiede un nuovo tipo di politica – quella che parla a pressanti esigenze e speranze delle persone, piuttosto che alle loro paure. Il liberalismo dell’elite, si scopre, non può sconfiggere il populismo di destra. Noi non possiamo trasferirci in Canada o nasconderci sotto il letto. Questo è il momento di abbracciare politiche democratiche, non di ripudiarle.

Megan Erickson, Katherine Hill, Matt Karp, Connor Kilpatrick e Bhaskar Sunkara 

traduzione di Maurizio Acerbo

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