
Trattato Ue-Canada, l’Europa dice sì ma non è detta l’ultima parola
Pubblicato il 31 ott 2016
di Monica Di Sisto*
La Vallonia alla fine ha ceduto: il vertice Europa-Canadaconvocato d’urgenza domenica a Bruxelles ha approvato il trattato Ceta di liberalizzazione commerciale tra le due aree, la regione belga che contiene la capitale dell’euroburocrazia ha autorizzato il suo governo a consentire alla Commissione europea di approvarlo. Per due settimane, infatti, il premier vallone Paul Magnette ha appoggiato le richieste delle associazioni, dei sindacati e delle imprese che chiedono ai propri governi di fermare il Ceta proprio come il Ttip: analogo accordo che l’Europa non riesce a chiudere con gli Stati Uniti a causa dell’ondata di contrarietà e imbarazzanti dettagli emersi grazie al lavoro di controinformazione e pressione di migliaia di associazioni, sindacati e imprese delle due sponde dell’Atlantico. Il Ceta, per di più consentirebbe alle oltre 40mila grandi imprese Usa che hanno consociate in Canada – tra cui giganti dell’agroalimentare come Coca Cola, McDonald, Cargill, ConAgra foods – di ottenere gli stessi privilegi che garantirebbe loro il Ttip: la possibilità di influenzare la formulazione e l’applicazione di regole e standard che limitino i loro profitti e la facoltà di citare i nostri Stati in giudizio, con il meccanismo dell’Investment Court System o Ics, se si sentisserodanneggiate dalle regole democratiche.
La Vallonia è riuscita a strappare alcuni impegni al suo governo: chiede anche che il Belgio si rivolga alla Corte di Giustizia europea per verificare se l’Ics sia compatibile o no con le normative dell’Unione. Chiede al Belgio di obbligare la Commissione europea a difendere il principio di precauzione, i prodotti di qualità protetti da indicazioni geografiche e i Paesi che la Vallonia si riserva comunque di tornare a bocciare il Ceta in sede di ratifiche nazionali, e di bloccare così il “sì” finale da parte dello Stato belga. Il documento è stato inserito in quelle dichiarazioni volontarie che accompagneranno il Ceta e che sono il veicolo per zittire le opposizioni senza riaprire il testo, ma allegandovi dei documenti che, però, non hanno alcun valore legale né reggerebbero mai di fronte a nessuna delle cause commerciali Ics che le imprese potrebbero intentare. Il pericolo è grave. Per di più in cambio di qualche vantaggio per un pugno d’esportatori, con il Ceta oltre ad esserci una perdita secca di oltre 600mila posti di lavoro, stando a uno studio della Tufts University americana, verrebbero schiacciate sotto la pressione dei profitti regole importanti come quelle che in Europa tutelano diritti fondamentali come la protezione della salute e la sicurezza alimentare.
Nel rapporto “Butta quella pasta” appena pubblicato dalla Campagna Stop Ttip Italia, si prevede un ingresso massiccio di grano e di pasta canadesi, carichi di tossine e di residui di diserbante. Le nostre leggi sui limiti alla presenza di tossine nei cereali, infatti, sono stringenti e in Italia, dalla scorsa estate, è vietato irorrare i campi, ma anche i parchi pubblici e i giardini delle scuole con il glifosato, ingrediente chiave del diserbante Roundup, prodotto di punta del colosso agroalimentare Monsanto, dopo che l’Organizzazione mondiale della Sanità l’ha definito ‘probabilmente cancerogeno‘. Questo massiccio ingresso di grano d’Oltreoceano, inoltre, deprimerebbe ancora di più i prezzi per i produttori e quindi aggraverebbero il rischio chiusura per quelle 300mila aziende agricole italiane che già oggi lottano per rimanere aperte.
*vicepresidente di Fairwatch e portavoce della campagna Stop TTIP Italia
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