
La frase della prof su Auschwitz è figlia del pregiudizio
Pubblicato il 6 apr 2013
di Marina Boscaino ::
Siamo in un liceo artistico statale, al centro di Roma, il Caravillani, quartiere Prati. Il fatto accade in ottobre, ma solo in questi giorni la Comunità Ebraica Romana lo rende noto. Durante la spiegazione di matematica una ragazza chiede di uscire. L’insegnante la aggredisce: “Se fossi stata ad Auschwitz, saresti stata attenta”. La ragazza è ebrea. Insorgono i compagni di classe, in difesa di lei – la compagna – offesa, traumatizzata, piangente. Accusano di razzismo l’insegnante, che si difende appellandosi alla mancanza di disciplina nella scuola italiana. I genitori si rivolgono alla Comunità Ebraica di Roma, che convoca un incontro tra la scuola e la famiglia, alla presenza della ragazza. L’insegnante ammette: “Ho detto quella frase per indicare un posto organizzato”. Avrebbe fatto meglio ad ammettere e basta. Con molto ritardo (in gennaio, forse sollecitati dal piccolo clamore che la vicenda aveva suscitato e dalla drammatica riunione con il presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Pacifici), l’insegnante viene raggiunta da un richiamo scritto da parte della dirigente scolastica. Ora la docente, che sta per andare in pensione, è in malattia.Il ministro Profumo, venuto a conoscenza della vicenda, ha chiesto una relazione scritta.
Alcune considerazioni:
a) bravissimi indubbiamente i ragazzi, che hanno immediatamente preso le difese dell’amica. “I compagni della ragazza sono i veri eroi. La loro capacità di non rimanere indifferenti è la migliore medicina per combattere ogni intolleranza”, così ha affermato Riccardo Pacifici. Ecco il nostro tempo, però. Un tempo in cui la sana reazione ad un’insana esternazione è da considerarsi un atto eroico. E quelli sono ragazzi sani dentro, non eroi. Sono ragazzi che pensano, elaborano, scelgono, affermano principi democratici a dispetto dell’indifferenza di una società svogliata e distratta, i cui valori sono altrove. E per questo fatto – ancor più significativo di un atto di eroismo – dobbiamo loro rispetto, ammirazione e riconoscenza.
b) “Sì, la frase c’è stata -ha detto Anna Maria Trapani, preside della Caravillani – ma mi pare importante che i ragazzi abbiano solidarizzato con la loro compagna e l’episodio è stato ben assorbito dalla scuola. La professoressa non voleva dire quel che le è uscito fuori dalla bocca e i ragazzi hanno interpretato senza filtri. Non voleva offendere nessuno, e infatti non è stata punita”. Evito ogni commento sulle contraddizioni contenute in questa visione algebrica del rapporto tra civiltà e inciviltà. Quello che mi preme sottolineare è che la professoressa lo voleva dire eccome, invece; dal momento che – quando poteva semplicemente ammettere la propria colpa – ha dovuto specificare che intendeva un luogo dove c’è “organizzazione”. Organizzazione è qualcosa di diverso da disumana schiavizzazione ottenuta col terrore. Se penso alla parola “organizzazione” mi vengono in mente almeno 100 posti prima di pensare ad Auschwitz, che indubbiamente era un luogo organizzato – e perfettamente; ma al fine di eliminare sistematicamente la popolazione ebraica e altri “diversi o divergenti”.
c) Ancora sulle dichiarazioni della dirigente: encomiabile, e siamo d’accordo, l’atteggiamento dei ragazzi. Ma questo non deve e non può distogliere l’attenzione dall’indecenza delle parole della docente, di inaudita gravità. “La scuola è aperta a tutti”(art. 34 della Costituzione). La scuola è il luogo geometrico, per sua stessa natura, dell’uguaglianza, dell’accoglienza, dell’inclusione, del rifiuto di vere o presunte diversità. Le parole della docente sono impronunciabili ovunque sul territorio della Repubblica. Intollerabili a maggior ragione dentro un edificio scolastico.
d) Abbiamo una responsabilità troppo grande per la crescita, oltre che culturale, etica e civile degli individui in formazione che ci passano ogni anno sotto gli occhi e dentro il cuore. Noi insegnanti – meno che mai – non possiamo permetterci distrazioni o scivoloni. Se la docente è stanca, vada in pensione; se non sta bene, rimanga a casa. Ma, per favore, non si venga a raccontare che una frase del genere possa essere un inciampo casuale, il frutto di un equivoco, la conseguenza della stanchezza. Certe dichiarazioni, in qualsiasi circostanza emergano, non sono mai casuali. Ma sono il frutto di una cultura, di una riflessione, di un pensiero, di un pregiudizio che non possono e non devono mai più trovare diritto di cittadinanza nella scuola statale italiana.
MARINA BOSCAINO
da Globalist.it
Sostieni il Partito con una
Appuntamenti