Una lettera di Leonard Peltier, da 41 anni prigioniero politico negli USA

Una lettera di Leonard Peltier, da 41 anni prigioniero politico negli USA

Il 26 giugno ricorrono 41 anni dalla lunga giornata estiva quando tre giovani uomini furono uccisi a casa della famiglia di Toro Scatenato, vicino ad Oglala, durante un conflitto a fuoco al quale partecipammo io e dozzine di altri. Anche se io non sparai (e perciò non uccisi gli agenti federali Roland Williams e Jack Coler) provo comunque un gran rimorso per la perdita delle loro giovani vite, la perdita di Joe Stuntz e per il dolore dei loro cari. Credo che come me molti dei miei fratelli e delle mie sorelle che erano lì quel giorno desidererebbero aver fatto qualcosa quel giorno per cambiare gli eventi ed evitare le tragiche conseguenze della sparatoria.

Non è qualcosa a cui ho pensato per caso per poi passare oltre. Ci penso tutti i giorni. Quando ci ripenso ricordo l’espressione di paura e di coraggio sui visi dei miei fratelli e delle mie sorelle mentre ci stavano attaccando: pensavamo che ci avrebbero uccisi! Difendemmo gli anziani ed i bambini mentre si sparpagliavano per cercare rifugio e per fuggire. I Nativi hanno subito questi assalti per secoli e quel giorno il trauma storico delle generazioni fu a carico di quelle persone – e delle comunità che subirono un trauma ulteriore nei giorni seguenti alla sparatoria mentre le autorità cercavano le persone fuggite dalla proprietà di Toro Scatenato.

Come Primi Abitanti dell’Isola della Tartaruga (Turtle Island è l’America secondo i nativi) viviamo quotidianamente con i ricordi di secoli di tentativi di sterminare le nostre nazioni, eliminare le nostre culture e distruggere i nostri consaguinei e le nostre famiglie. Ancor oggi dovunque andiamo ci sono ricordi – souvenir e monumenti del quasi totale sterminio di un popolo glorioso di Indigeni.Nativi come mascottes, lo sproporzionato numero di consanguinei incarcerati, l’appropriazione della nostra cultura, gli sgorzi infiniti di togliere ancora altra terra ai Nativi e l’avvelenamento di quella terra servono per ricordare la nostra storia di sopravvissuti ad un imponente genocidio. Viviamo questo trauma ogni giorno. Lo respiriamo, lo mangiamo e lo beviamo. Lo trasmettiamo ai nostri bambini. E lottiamo per superarlo.

Come tanti bambini Nativi fui strappato alla mia famiglia a circa nove anni e portato in un collegio per eliminare l’indiano che era in me. A quel tempo i Nativi non potevano parlare la loro lingua per paura di essere picchiati o peggio. capelli lunghi dei nostri uomini, parte importante della nostra vita spirituale, venivano tagliati per umiliarci. I nostri nomi tradizionali erano rimpiazzati da nuovi nomi euro-americani.

Questi sforzi per ottenere la nostra assimilazione continuano oggi. Non molto tempo fa ricordo di una ragazza Menominee che fu punita e bandita dalla squadra di basket della scuola per aver insegnato ad un compagno come dire “ciao” e “ti voglio bene” nella sua lingua nativa. Si sentono continuamente storie di atleti e laureati che affrontano divieti a portare i capelli lunghi o una penna sul cappello.

Pensando alla mia storia personale è chiaro che, come giovane negli anni ’60 e ’70, avrei lottato attivamente per affermare i nostri diritti umani, civili e sanciti da trattato. Il nostro era un movimento spirituale per recuperare le nostre cerimonie e tradizioni e per poter esercitare la nostra sovranità di nazioni native o tribali. Per oltre cento anni non potemmo celebrare le nostre più importanti cerimonie. Non potevamo cantare le nostre canzoni o ballare al ritmo dei nostri tamburi.

Quando io ed i miei contemporanei eravamo attivisti non si conoscevano le danze del sole. Qualunque cerimonia celebrativa doveva svolgersi di nascosto per paura di rappresaglie. Uno dei nostri ruoli come attivisti per il benessere dei nostri popoli era quello di creare spazio e protezione per i Nativi che stavano cercando di riconnettersi alle nostre culture ancestrali ed alla vita spirituale. Tutto ciò era pericoloso e letale. Significava mettere le nostre vite a repentaglio perchè le persone che partecipavano a queste cerimonie e quelle che difendevano gli anziani e le nostre tradizioni venivano brutalmente picchiate, uccise o fatte sparire. Gruppi paramilitari e squadroni della morte controllavano alcune riserve ed era battaglia ogni giorno. Se un veicolo sconosciuto, non invitato o non identificato si avvicinava alla tua casa il primo pensiero era che quel qualcuno che ti volesse aggredire in qualche modo. Era un comportamento abituale nelle riserve. Ed era atrocemente vero negli anni ’70.

Hey, non voglio vedere tutto nero adesso. Nel corso dei decenni qualche impotante aspetto della nostra vita è migliorato. Gli sforzi straordinari del presidente Obama per forgiare un rapporto solido con le nostre Nazioni Tribali ci lascia sperare con ottimismo che la nostra sovranità sia più sicura. Esercitando la nostra sovranità la vita della nostra gente può migliorare. Potremmo guarire ed iniziare il lungo viaggio per superare il trauma degli ultimi cinquecento anni. Ma cosa succederà se la prossima Amministrazione vanificherà le conquiste degli ultimi otto anni?

Ricevo spesso per lettera domande sulla mia salute da parte di sostenitori. Sì, quest’ultimo anno è stato perticolarmente stressante per me e per la mia famiglia. Non ho ancora certezze sul mio stato di salute, non ho ancora i risultati degli esami fatti un mese fa per l’aneurisma aortico addominale.

Mentre passano gli ultimi mesi del mandato del presidente Obama aumenta il mio stato d’ansia. Credo che questo presidente sia la mia ultima speranza di libertà e morirò certamente qui se non mi rilasciano entro il 20 gennaio 2017. Perciò, essendo questo il momento più cruciale della campagna per ottenere la mia libertà, vi chiedo ancora una volta di organizzare sostegno pubblico per il mio rilascio, seguendo le direttive del Comitato Internazionale per la Difesa di Leonard Peltier.

Grazie per tutto quello che avete fatto e continuerete a fare per me.

Nello spirito di Cavallo Pazzo

Leonard Peltier

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Per maggiori informazioni sul caso di Leonard Peltier segnaliamo il suo libro uscito anche in Italia: La mia danza del sole. Scritti dalla prigione

 

leonard peltier3

traduzione di Stefania Martini

articolo originale su Counterpunch

per aderire alla brigata traduttori scrivere a traduttori@rifondazione.it

 


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