Libertà per Mohamed Al-Qeeq, detenuto palestinese in sciopero della fame da 3 mesi

Libertà per Mohamed Al-Qeeq, detenuto palestinese in sciopero della fame da 3 mesi

La parola chiave è “detenzione amministrativa”. In Europa la si usa per rinchiudere cittadini provenienti da paesi terzi e privi dei requisiti per potersi fermare, lavorare, vivere. Ha tempi limitati, può condurre al rimpatrio forzato ed è peggio della galera. In Israele è peggio. Permette di detenere persone per il solo fatto di essere rinchiusi fino a sei mesi, rinnovabili senza limiti, di volta in volta. È una procedura che consente ai militari israeliani di tenere reclusi i prigionieri basandosi su prove presunte, senza incriminarli o processarli. Viene usata regolarmente, per cittadini palestinesi, in violazione totale del diritto internazionale. «Nella Cisgiordania palestinese occupata, l’esercito israeliano è autorizzato a emanare ordini di detenzione amministrativa contro civili palestinesi sulla base dell’art. 285 del codice militare 1651. -ha rammentato ieri Mai Al Kaila, Ambasciatrice dello Stato di Palestina in Italia – Questo articolo permette ai militari di detenere una persona fino a sei mesi, rinnovabili senza preavviso né possibilità di appello se vi sono “ragioni sufficienti per presumere che la sicurezza della zona o pubblica” lo richiedano. Non vi è alcun riferimento esplicito alla durata massima possibile, legalizzando così una detenzione senza scadenza. Quasi mai il detenuto e il suo avvocato vengono informati delle ragioni dell’internamento o messi al corrente delle “informazioni segrete” che motiverebbero la detenzione: il prigioniero può restare incarcerato per anni, in via amministrativa, senza sapere il perché».

L’ambasciatrice ha convocato una conferenza stampa, nella sede dell’ambasciata a Roma per lanciare l’ennesimo allarme su una vicenda che rischia di essere di non ritorno.

La vicenda è quella del giornalista Mohamed Al – Queeq, 33 anni, corrispondente della tv saudita Al Majd che dal 24 novembre scorso (novanta giorni) è in sciopero della fame per protestare contro questo ignobile trattamento che colpisce ad oggi almeno 650 cittadini palestinesi. Sostenuto in questa terribile battaglia dalla sua famiglia oggi non riesce quasi più ad esprimersi, è ridotto ad uno scheletro ma non vuole fermarsi a qualsiasi costo, chiede che questa misura ingiusta venga revocata.

Per molto tempo è stato tenuto in carcere in isolamento, poi trasferito in un ospedale israeliano in cui è entrato recentemente l’esercito per fare un raid, gli è rifiutato un avvocato, gli è negata la possibilità di essere trasferito in un ospedale di Ramallah per avere almeno accanto la propria famiglia, è anche padre di due figli. In Francia si sono organizzate mobilitazioni in sua difesa e anche in Israele il suo caso che mostra come si possa impunemente violare anche la Convenzione di Ginevra senza subire alcuna ritorsione, comincia a fare discutere. Per Al-Qeeq stanno manifestando anche decine di attivisti israeliani e due di loro, Anat Rimon e Anat Lev, hanno cominciato nei giorni scorsi uno sciopero della fame.

«Da giorni si svolgono poi cortei e sit in nelle città palestinesi, la sua immagine è ovunque, i media locali e i social riferiscono aggiornamenti continui sulle sue condizioni. – ha raccontato l’ambasciatrice – Tutte le forze politiche palestinesi, visto che Israele respinge i tentativi fatti per la sua liberazione, hanno deciso di boicottare i tribunali militari israeliani per due giorni, oggi e domani. Per la stessa forma di protesta, in questo momento il detenuto non ha un avvocato».

Ma la conferenza è stata anche importante per far conoscere quali sono oggi le condizioni di salute di Al -Qeeq e a quali vessazioni è stato sottoposto. Il racconto dell’ambasciatrice è agghiacciante: «Prima è stato sottoposto ad aggressioni verbali durante interrogatori durati 25 giorni per 7 ore al giorno, poi è stato legato al letto pur avendo perso la capacità di muoversi, e sottoposto dai medici israeliani,  contro la sua volontà ancora lucida, alla nutrizione forzata, ora permessa da una legge approvata dalla Knesset lo scorso luglio ma considerata dall’Associazione Mondiale dei Medici, dalla Croce Rossa, dalle Nazioni Unite e dallo stesso sindacato dei medici israeliani uno strumento di tortura crudele e degradante che oltretutto mette in pericolo la vita di chi pratica lo sciopero della fame. Ultimamente è stato impedito ai familiari di visitarlo. Mohammed ha perso l’udito e la capacità di parlare. Commentando la decisione della Corte Suprema Israeliana del 4 febbraio scorso, di “sospendere” temporaneamente l’ordine di detenzione amministrativa costringendolo però a restare nell’ospedale israeliano HaEmek, Al-Qeeq aveva tuttavia detto, molto chiaramente: “Stanno cercando di prendere in giro il mondo intero; ma io continuerò il mio sciopero per la libertà, che terminerà solo quando sarò un uomo libero in Cisgiordania”, non un uomo esiliato a Gaza, come sembra gli sia stato proposto. Per poi aggiungere: “Ho ancora una lunga strada davanti e continuerò per questo cammino”».

Sul tema della detenzione amministrativa sono stati realizzati numerosi rapporti di denuncia da parte di Amnesty International e, soprattutto, da Addameer (Associazione per i diritti umani e il sostegno dei prigionieri) ma il governo israeliano non sembra voler sentire alcuna ragione. Del resto se tanti sono i “detenuti amministrativi” almeno 7500 sono i palestinesi comunque rinchiusi, uomini, donne e numerosi minori, anche qui violando le convenzioni già ratificate. Ma in fondo non è casuale che il governo israeliano consideri partner affidabili i regimi di Al Sisi in Egitto e di Erdogan in Turchia. I metodi per risolvere ogni forma di dissenso verso il potere sono terribilmente simili e quando si è, come nel caso israeliano, anche Stato occupante, chi ne subisce le conseguenze ha ancora meno garanzie. Occorre che anche la sinistra italiana che da sempre considera come propria la causa palestinese, faccia sentire la propria voce.


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