La crisi capitalistica

La crisi capitalistica

di Lidia Menapace

 Credo sia necessario  ricontrollare i dati di analisi sulla crisi del capitalismo, perché non si può procedere a sensazioni e strappi, senza una bussola razionale e scientifica.

  Che il capitalismo sia costantemente in crisi congiunturale  è noto provato affermato: la crisi congiunturale è -per così dire- un carattere proprio del sistema. Su ciò ha lavorato molto Rosa, che appunto dall’analisi delle crisi deduceva il carattere della prospettiva socialista democratica, importante sino a che non si fosse presentata una situazione, nella quale la natura e caratteristica della crisi  si sarebbe palesata come “strutturale”.

  Ciò sta avvenendo per la seconda volta nella plurisecolare storia del capitalismo, la prima nel bel mezzo della “belle èpoque” che invece di evolvere in modo rivoluzionario in Germania, come si attendeva l’intelligentzia della sinistra europea nel 1905, va alla crisi della democrazia,  e all’incubazione del vari fascismi europei ( Italia Germania Spagna e Portogallo) e alla prima guerra mondiale. Infatti nel 1917 la rivoluzione d’ottobre avvia al tragico epilogo della guerra e alla crisi della democrazia nonchè ai primi errori della  stessa rivoluzione d’ottobre. Nel convulso  primo dopoguerra Rosa pensa come  potrà essere un avvio rivoluzionario  col famoso detto: “la rivoluzione sarà uno sciopero generale a oltranza nel corso del  quale le masse costruiscono la nuova società”, uno scarno appunto che non potè sviluppare, perchè fu assassinata -come è noto- in carcere a Berlino da ufficiali prussiani (Junker) che le imputavano la colpa di aver fatto perdere la guerra alla Germania.

  Sicchè le sue parole restarono nella forma  frettolosa e incompleta che ho citato.

  Che cosa volesse dire è una buona domanda cui mi sono sforzata di rispondere in questo giro d’anni. 

  Ma oggi importa che dica che secondo me la crisi del capitalismo non solo è struttuale – come molti economisti ammettono o affermano- ma essa è pure globale, non escludendo nessun continente  del pianeta, e – a mio parere – anche “finale” dato che il capitalismo è in crisi  tale da non poter più essere riformato: la crisi è davanti ai nostri occhi in tutta la sua pericolosità crudezza ed eloquenza.

   Il dilemma è “socialismo” “alternativa” o “barbarie”.

   Non può essere un processo precipitoso, deve essere gestito  ricordando che il Che sosteneva essere la pazienza una virtù rivoluzionaria ed era convinto che anche nei momenti più aspri non bisogna dimenticare la tenerezza, mentre Lenin è ancora lì a ricordarci che l’estremismo è una malattia infantile. Insomma il giro dei tempi e ll ritmo del processo sono fondamentali per mettere fuori gioco l’uso della violenza e lo  scontro  armato sarebbe solo l’inizio della fine del mondo.

  Sono convinta che il terreno sul quale agire con organizzazione abilità fantasia  si chiama “rivoluzione culturale”, oggi quanto mai necessaria e ancora possibile,  dato  il livello di diritti democratici ancora vigente.

   D’ora in avanti mi dedicherò quasi esclusivamente a ciò.

 

 

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