2016 Immigrazione e agire politico del Prc

2016 Immigrazione e agire politico del Prc

Stefano Galieni*

Nell’anno che si apre, fra le tante questioni che si impongono, a livello nazionale, europeo e globale, sarà necessario sviluppare una serie di riflessioni comuni in materia di immigrazione che dovranno tradursi in pratiche concrete e attuate nei territori. Avremo certo bisogno e troveremo l’occasione di un incontro per mettere insieme riflessioni, proposte e spunti, ma è intanto opportuno provare a dare alcune indicazioni di carattere generale su cui sollecitare un dibattito.

Nell’anno che si è chiuso si è parlato, nel circuito mediatico come non mai di immigrazione. I servizi televisivi sono aumentati, rispetto all’anno precedente del 250% e nei primi 10 mesi, prendendo le principali testate giornalistiche, solo in 39 giorni non è comparso un articolo inerente a tale tema. Titoli e articoli spesso di carattere allarmistico, raramente in grado di raccontare la complessità degli eventi e le loro interconnessioni (migrazioni vs guerre, vs crisi economiche e ambientali, vs neocolonialismo ecc), ma ad effetto, tese a creare a volte pietà altre paura e ostilità. Notizie in merito al sistema di accoglienza (55%), ai flussi migratori (22%) al nesso col terrorismo (6,9%), poco e solo in alcuni quotidiani per quanto riguarda l’influenza dei migranti nell’economia e nel lavoro, (4%)

Eppure in Italia, nell’anno trascorso il numero dei profughi è diminuito, (-12%) tanto è che attualmente i richiedenti protezione umanitaria, presenti sul territorio nazionale non superano i 100 mila, in gran parte, il 72%, ospitati in strutture di emergenza temporanee CAS (Centri di Accoglienza Straordinaria) distribuiti in tutto il paese sotto il controllo delle prefetture.

Comincia inoltre a partire il meccanismo degli hotspots, (zone di smistamento, situate per ora solo in Sicilia) in cui arbitrariamente verranno divisi i migranti per ragioni economiche o ambientali, da espellere, dagli aventi diritto a chiedere protezione e asilo e ad essere ricollocati nei vari paesi europei o accolti in Italia. Chi avrà diritto a chiedere asilo sarà ospitato in hub regionali e poi diviso nei vari piccoli centri CAS e SPRAR. Come partito, dovremmo a mio avviso pretendere di monitorare questi luoghi di trattenimento e di accoglienza nei territori in cui siamo radicati, stabilire un confronto con prefetture ed enti gestori, vigilare sulle modalità di accoglienza (Mafia Capitale non è ancora finita e sono 14 le procure che indagano per illeciti commessi nella gestione dei centri), provare anche a rompere quel muro di diffidenza che spesso si stabilisce nelle comunità autoctone rispetto ai profughi. In alcuni punti nodali, come a Lampedusa, questo avviene già in parte, ma si tratta di una pratica che va estesa.

Si tratta di un lavoro prezioso utile anche a far capire come la ricerca del capro espiatorio nel profugo, portata avanti da lega e organizzazioni neofasciste, sia fondamentalmente falsa e priva di presupposti reali. Il messaggio da far veicolare è: non sono i profughi a toglierci welfare e diritti ma le politiche di austerity, i patti di stabilità, la distribuzione asimmetrica delle risorse. Diciamo spesso “i soldi ci sono”, vale anche in questo caso, tenendo conto anche del fatto che gran parte delle spese per dare accoglienza ai profughi derivano da risorse messe a disposizione dall’Unione Europea e non certo dai bilanci statali. Abbiamo avuto numerose esperienze nel partito, penso ad esempio a Palermo, Rovigo e a Pordenone, in cui le nostre sedi sono divenuti spazi di accoglienza, di inclusione, di costruzione di momenti di relazione e di sostegno.

Monitorare, accogliere, vigilare, se in caso denunciare le inefficienze e i soprusi ma contemporaneamente aprire una forte vertenza in merito a come l’UE si approccia a tali questioni. Gran parte delle persone che si allontanano dal proprio paese perché costrette da guerre, dittature, crisi economiche e disastri ambientali, rischiano con i nuovi piani (come l’Agenda Juncker) di essere rispedite nei luoghi di partenza, confinate in paesi terzi dove la loro vita è in pericolo, rinchiuse in Italia e in altri paesi europei, per lunghi periodi fino a quando le loro domande di protezione non verranno esaminate. In Italia aumenteranno i CIE (Centri di identificazione ed espulsione), illegittimi, inutili, costosi e fallimentari, nelle frontiere europee si rischia, col pretesto dell’“allarme terrorismo” la sospensione dell’area Schengen di libera circolazione e si preparano le guardie di frontiera verso i confini esterni.

Aumenteranno le morti in mare e quelle ai confini, in nome di una Europa che respinge e alimenta i conflitti. Sempre più quindi il nostro operato dovrà fare in modo di collegare, anche in termini di comunicazione verso i soggetti sociali di riferimento, il nesso fra guerra e immigrazione, fra politica estera fondata sulle armi e sull’appoggio alle peggiori dittature e distruzione delle condizioni di libertà e di prospettiva per intere popolazioni. Dovremo in tal senso recuperare un lavoro di informazione militante in cui i profughi non vengano trattati come oggetti e semplicemente considerati vittime ma come protagonisti di quanto si sta delineando nel nuovo disordine mondiale.

Più attento e puntuale dovrà essere in tal senso il nostro lavoro di ritessitura di legame quanto con i movimenti di migranti e antirazzisti locali quanto con le reti, soprattutto legate al Partito della Sinistra Europea. Con i primi, non più un ruolo di semplice adesione e partecipazione alle mobilitazioni ma una presenza stabile e un ruolo attivo, utilizzando le competenze maturate negli anni nel nostro partito.

Si è in un contesto in cui non è quasi più possibile un rapporto mediato dalle istituzioni che obbediscono ai dettami di Ministero dell’Interno e organismi europei non elettivi, in cui i principi dello Stato di diritto sono lesi ogni giorno con maggiore efferatezza. Bisogna anche in tal senso prendere posizione netta e senza ambiguità di comodo.

Non è vero che a parlare di queste cose si perdono voti, si perde credibilità non affrontandole nella loro complessità.

Con i partiti della Sinistra Europea e con le forze laiche e di sinistra della sponda Sud del Mediterraneo e del Vicino Oriente, vanno invece costruiti rapporti più continuativi e stabili, partendo dal presupposto che momenti di lavoro comune fanno crescere ognuno. In tali ambiti vanno costruiti, nella ristrettezza delle nostre forze e risorse, momenti di scambio. Un esempio fra tutti: oggi come oggi la resistenza kurda nel Rojava, che riguarda anche i temi in questione vista la presenza di rifugiati provenienti dall’area, non è soltanto un esempio da sostenere come lotta vincente contro il Daesh ma una ipotesi politica di democrazia da cui possiamo in molti apprendere e imparare.

Due ultime questioni riguardanti i profughi

Intanto bisogna insistere, come fanno molte forze, anche non comuniste, nel pretendere corridoi umanitari sicuri, l’interruzione di processi criminali come quello di Khartoum che portano ad accordi per esternalizzare le frontiere, diritto d’asilo europeo, superando anche le strettoie delle ricollocazioni, abrogazione del Regolamento Dublino, che blocca in un paese, spesso non gradito, la vita di chi fugge, abolizione di agenzie  come FRONTEX, ormai divenuta essa stessa, soggetto unicamente repressivo, canali di ingresso legali e garantiti per chi intende entrare in Europa.

Non si tratta di ipotesi ascrivibili a semplici motivazioni etiche: il proibizionismo nelle frontiere produce morti, criminalità diffusa, traffico di esseri umani, insicurezza, percorsi alternativi producono sviluppo sociale, culturale ed economico.

La seconda riguarda il nesso fra profughi e terrorismo. Un legame che semplicemente non esiste, lo affermano anche gli organismi di polizia europea. Chi fugge dal proprio paese, in gran parte fugge anche dai gruppi che condividono un progetto politico dittatoriale e reazionario, lo Stato Islamico, i foreign fighters che vanno a combattere dall’Europa al fianco di questi gruppi, sono i figli di quel parte di mondo musulmano che pur avendo formalmente la cittadinanza europea da 3 generazioni è perennemente escluso dalle possibilità di ascesa sociale, vive l’Occidente come  nemico o come mondo che non ha mantenuto le promesse in cui ha creduto.

Che nella radicalizzazione delle posizioni nascano anche elementi ultraminoritari che traducono tale condizione, spesso non esclusivamente economica, in azioni di guerra rappresenta una questione sociale che investe dall’interno il continente europeo e che dall’interno va affrontata, prevenuta e repressa prima che si traduca in fatto di sangue. Gli stessi documenti europei che si preoccupano di come affrontare la crescita del radicalismo non mancano di segnalare come questa si accompagni ad una islamofobia crescente e al fatto che oggi tanti cittadini di religione musulmana si sentano rifiutati dall’occidente. Ma prevale un atteggiamento controproducente. I segnali che stanno dando alcuni paesi europei: dalla sospensione della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo in Francia, alla possibilità di revoca della cittadinanza, alle espulsioni extragiudiziali, ad un controllo ossessivo e asfissiante verso chi non ha i tratti marcatamente occidentali, alla costruzione di inutili nuove barriere interne ed esterne, rischiano di far aumentare lo scarso consenso di cui oggi godono le organizzazioni terroristiche.

 

Ma oggi sembra che l’equazione imperante debba essere migranti=sbarchi.

Che dire degli oltre 5 milioni cittadini di origine straniera che vivono regolarmente in Italia, degli 800 mila minori inseriti nel sistema scolastico. Sono stati dimenticati? L’Istat ricorda, nell’ultimo rapporto, che sono loro a pagare in maniera più dura la crisi e in Italia perdere il lavoro, il reddito, si traduce rapidamente, grazie alla mai abrogata Bossi – Fini, nel rischio di essere espulsi non solo dal ciclo produttivo ma anche dal territorio nazionale. In questo mare magnum, il 7,5% della popolazione nazionale complessiva, ci sono persone nate e cresciute qui che ancora non hanno neanche la cittadinanza in quanto il misero testo di legge di riforma che dovrebbe vedere la luce nel prossimo anno, garantirà tale diritto solo ad una parte dei minori nati o cresciuti qui. E questo vale per una fascia di popolazione che garantisce per altro il 9% del Pil, 600 mila pensioni, 4 mld di euro di avanzo positivo.

Per gli adulti restano ostacoli insormontabili. E parliamo di cittadinanza formale, ma quella sostanziale? Quella che prevede accesso ai servizi sociali, a un sistema già carente di welfare, alla sanità, alla casa, è secoli indietro. Doveri tanti e diritti zero, checché ne dica la propaganda fascioleghista. Permangono i problemi per chi raccoglie frutta a Rosarno come in gran parte del comparto agro alimentare, non sparisce il caporalato nell’agricoltura come nell’edilizia, domina il lavoro nero non solo al Sud, aumenta lo sfruttamento in comparti anche gestiti da sedicenti cooperative come quello della logistica. E anche in tale contesto come Rifondazione Comunista, abbiamo già esperienze che ci insegnano come intervenire, dai blocchi anti sfratto nella bergamasca alle vertenze della logistica in Emilia Romagna e Lombardia, dalle esperienze di sciopero nei campi, alle pratiche di recupero abitativo nelle metropoli. Spazi in cui noi possiamo giocare un ruolo, aprendo le nostre sedi, fornendo competenze, spazi di assistenza legale, mense e corsi di italiano, non con l’obiettivo di assistere ma di costruire conflittualità comuni. Per farlo abbiamo anche necessità di avviare esperienze di formazione e autoformazione per i nostri iscritti, su cui siamo fortemente in ritardo.

Come si è in ritardo nel ricordare una questione specifica, quella delle popolazioni rom e sinti. Oggi di loro si parla meno ma gli sgomberi, la criminalizzazione, l’esclusione e l’autoesclusione permangono. E insieme vanno appoggiate tanto le proposte di legge per tutelarne l’identità di minoranza presente nel paese da generazioni, quanto la lotta alla ghettizzazione nei campi e alle ordinanze di sindaci di diverso colore che cercano di cacciare via le persone per catturare facile consenso.

Il linguaggio del razzismo, dell’esclusione, della xenofobia è sdoganato anche in assenza di un contraltare altrettanto aggressivo e lucido nel denunciare come il vero avversario sia il modello di sviluppo e chi ne determina le coordinate, non gli ultimi della catena dello sfruttamento.

Su questo abbiamo bisogno di riflettere e agire insieme nel prossimo anno, trovando modo di coordinarsi e di far emergere le singole esperienze, anche positive, maturate nei territori. A questo serve un partito.

La tessera del 2016 sarà molto evocativa. Conterrà immagini legate alle migrazioni e la scritta per noi fondante “Nostra patria è il mondo intero”.

Rendiamola, insieme, fatto concreto.

*Responsabile Dipartimento immigrazione Prc

 


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