Comunisti in festa e senza paure

Comunisti in festa e senza paure

di Stefano Galieni

 Vedere migliaia e migliaia di persone, giovani, donne, bambini e anziani, partecipare con entusiasmo alla festa nazionale del Partito Comunista Spagnolo (PCE), tenutasi come da tradizione nel Comune di S. Fernando, cintura periferica di Madrid, mi ha fatto molto riflettere. Provo a raccontare per sommi capi alcuni spunti non per proporre l’ennesima moda da seguire ma per provare ad intercettare alcune suggestioni a mio modesto avviso utili.

Il PCE, per quello che ho potuto vedere, è un partito con una propria forte identità politica, culturale, storica, con riferimenti ideologici chiari e visibili ad ogni angolo, ma proiettati nel futuro e non nella nostalgia di un irripetibile passato. Pochi ritualismi e molta concretezza, parole d’ordine nette contro la Nato, contro l’imperialismo, le politiche neoliberiste europee di destra e di presunto centro-sinistra, contro la devastazione ambientale, le violenze di genere, in difesa dei diritti dei rifugiati, dei migranti, delle lavoratrici e dei lavoratori, dei giovani e degli anziani. In due giorni e mezzo, oltre sessanta i dibattiti organizzati, più due comizi finali, con ampia partecipazione e momenti di discussione ben organizzati che riaffermavano il primato della politica. Con tempi contingentati 1 ora al massimo 1 e mezza, si provavano a tracciare analisi in merito a questioni di portata internazionale e storica, legati ai temi contingenti ma anche alle grandi sfide per il futuro. Mi sono sembrati dibattiti a forte impostazione progettuale, preparati non solo per denunciare le cose che non vanno e i nemici da combattere ma anche e soprattutto le proposte da fare per essere nel conflitto, non per declamarlo, per stare anche nelle istituzioni non per ridurre il danno delle scelte finora fatte dalle differenti destre al potere. «Non ci interessa avere soltanto qualche deputato in più alle prossime elezioni – hanno ripetuto molti dei relatori, a partire dal segretario José Luis Centella, – ma essere presenti nelle strade, fra chi lavora, fra chi è sfruttato». E ancora: «più del riuscire a eleggere uno o un altro compagno/a più che discutere sulle liste, ci interessa definire un progetto politico convincente e di rottura». E questo in un partito che pur dichiarandosi orgogliosamente comunista non pretende di riunire sotto un’unica denominazione tutte le esperienze comuniste presenti ma quelle disponibili a costruire un terreno comune giorno dopo giorno.

pce fiestaNon si è trattato di una festa o di dibattiti fondati sull’unanimità di facciata. C’erano posizioni diverse, all’interno del partito, fra le diverse regioni, fra giovani e anziani, con i delegati internazionali ma non c’era quell’imbarbarimento relazionale a cui capita di assistere troppo spesso nei nostri dibattiti. Non essere d’accordo non significa ridicolizzare l’altro, metterlo a tacere. Significa essere capaci di ascoltare e di rispondere, possibilmente nel merito e non utilizzando questioni di carattere generale per attaccare i gruppi dirigenti ad ogni livello. Discussione quindi, non paradisiaca e finta ma appassionata e concreta, anche sanguigna in cui, il bene del partito mi è sembrato – per quel poco che ho potuto vedere – prioritario rispetto all’affermazione delle posizioni individuali o di cordata, se ce ne sono.

Si è trattato di una vera “festa popolare” in cui nessuno annacquava il messaggio politico che si intendeva trasmettere, ma caratterizzata da un’atmosfera di accoglienza, di rispetto, di curiosità verso l’altro e non di paura. Lo stand di Rifondazione Comunista, realizzato grazie alla Federazione Estera, non aveva molto materiale da distribuire, soprattutto magliette, ma erano in tanti a fermarsi e a chiedere dell’Italia, del nostro presente e di quello che intendiamo fare. Tanto chi ci ospitava quanto le delegazioni straniere partivano da due presupposti che spesso nel nostro mondo non comprendiamo: l’Italia è ritenuto un paese fondamentale per ricostruire il conflitto e la sinistra; la nostra storia passata come le nostre scelte recenti non passano inosservate. Mi è stato chiesto di parlare non solo di immigrazione ma anche delle prospettive della sinistra dopo quanto accaduto in Grecia (prima delle elezioni) e rispetto al possibile modello di sviluppo politico e sociale da proporre. Ho avuto modo di notare, anche nelle conversazioni informali, come non si subisce il black out mediatico nei nostri confronti, che si respira in casa. Si cerca anche attraverso le informazioni che circolano in rete, di capire cosa accade da noi e come sostenere la sinistra radicale e il nostro partito in particolare. Ci stimano per certi versi più di quanto a volte noi stessi stimiamo il nostro partito e questo è un altro elemento di riflessione.

Una festa in cui un ruolo importante lo hanno rivestito i giovani della UJCE (la giovanile comunista). Anche il loro ruolo non è generalizzabile, posizioni diverse e critiche con dentro finalmente sana intemperanze ed estremismi, ma militanza attiva e generosa per il partito, ai ristoranti come nei dibattiti o nei comizi, con una passione che fa ben sperare. L’intervento di fronte a migliaia di compagni della segretaria generale, Anabel Garcia, è stato potente ed evocativo, esempio di cultura politica e di grande capacità comunicativa che ha colpito tutti e tutte, indipendentemente dall’età. L’idea che diffondeva era transgenerazionale per cui il partito è uno spazio di tutti che va curato, che deve essere accogliente e formativo, diffuso e aggregante, in cui si organizzano lotte e conflitti ma in cui si può e si deve stare bene. Certo in 3 giorni si fa in tempo ad osservare solo la superficie, non si entra nella profondità dei problemi e non si è capaci di osservare le faglie che certamente ci sono ma anche l’orgoglio con cui i rappresentanti delle singole regioni erano capaci di esporre le proprie specificità condensandole in un progetto comune, non solo spagnolo e non solo europeo (forte era la presenza dell’America Latina), fanno ben sperare. Come faceva ben sperare la presenza di numerose delegazioni internazionali, anche queste affatto afferenti ad un’unica linea, ma chiamate per dialogare con l’intero universo comunista.

E da ultimo faceva un certo effetto notare come, pensando a certi nostri sterili dibattiti da social network, si possa contemporaneamente e senza contraddizione affermare la propria identità marxista leninista, praticare mutualismo reale, essere nei sindacati, nelle scuole e nei quartieri poveri e contemporaneamente non aver timore di presentarsi alle elezioni con un simbolo diverso Izquierda Unida e dichiararsi pronti ad una Unidad Popular laddove si possono battere le destre del Partito Popolare o del Partito Socialista. Non considerare le elezioni il senso definitivo di un partito ma la presenza nelle istituzioni come strumento per estendere il proprio potenziale di radicamento e, in tale contesto, non avere il timore di allearsi con repubblicani, ecologisti, autonomisti, socialisti veri, movimenti, senza temere di perdere il senso della propria esistenza. L’idea insomma di una identità propria che non teme il confronto e che sui contenuti più che sui personaggi da ceto politico, decide se costruire convergenze o meno. Un atteggiamento che non è di subalternità ma neanche di estraneità al mondo, che avvicina invece che respingere. Una soluzione da imitare? Non lo penso. Tanto nel PCE quanto in IU di contraddizioni ce ne sono e molte e il contesto italiano è diverso da quello spagnolo. Ma guardarlo con maggiore attenzione, come giustamente si guarda alla Grecia, alle diverse fra loro, esperienze latino americane, a movimenti di liberazione come quello kurdo, potrebbe insegnarci qualcosa. Intanto a non imitare e a non diventare i supporter da tribuna (la curva è un luogo nobile) di uno o dell’altro a seconda degli eventi ma a cercare anche noi un nostro percorso, navigando in mare aperto!

Stefano Galieni

P.S. Un grazie doveroso a Maite Mola, vicepresidente del Partito della Sinistra Europea che mi ha accolto e coloro che mi hanno permesso di condividere con maggiori strumenti una realtà in fermento che potrebbe dare buoni frutti.


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