Le conseguenze di Tsipras

Le conseguenze di Tsipras

di Paolo Ciofi
Quali sono le conseguenze che si possono trarre, in Italia e in Europa, dalla vittoria di Tsipras in Grecia? Da più parti si delinea uno scenario, che equivale a una gabbia ideologica prefabbricata, dal quale non è consentito uscire. Secondo illustri maestri del pensiero, che considerano la politica un semplice gioco di posizionamenti dentro il sistema sociale dato a prescindere dai contenuti, la straordinaria affermazione di Syriza non sarebbe altro che la prova provata di un vecchio assioma: la sinistra, stretta tra spinte scissioniste volte al passato e politiche di austerità prive di alternative, non ha altra prospettiva se non quella di affidarsi all’uomo della provvidenza, che fa e disfa a suo piacimento. In Grecia è Tipras, in Italia è Renzi. E se in Grecia si è dimostrato che non c’è spazio a sinistra di Syriza, altrettanto si profetizza per l’Italia a sinistra del Pd. Come se il Pd fosse Syriza e Renzi fosse Tsipras.
Mescolate i fatti accertati con i vostri desideri e il gioco è fatto. Il leader di Atene si sottopone per tre volte al voto popolare in meno di un anno, e lo statista di Rignano diventa capo del governo con un colpo di palazzo? Non fateci caso, entrambi sono giovani, abili e astuti. L’uno mette nel mirino sindacati e lavoratori, fino al punto di additare come nemici dell’Italia i custodi del Colosseo – ai quali è stato negato il dovuto – per un’assemblea regolarmente convocata, e l’altro, pur nella morsa dei creditori, dichiara di voler restare dalla parte di chi lavora, dei precari, delle donne disoccupate e dei pensionati, come ha fatto in tutti questi anni Syriza? Niente di strano, è solo un particolare irrilevante nel gran circo mediatico in cui gli sfruttati e i subalterni, tutti coloro che subiscono la crisi, non hanno rappresentanza né rappresentazione. In tale visione, la sinistra non è altro che un prodotto equivalente della destra, cui Tsipras e Syriza dovrebbero uniformarsi.
Non sappiamo se il capo del governo greco riuscirà a tenere la barra dritta, ossia a tutelare le classi e i ceti più deboli e a far uscire il suo Paese dalla crisi, come egli stesso ha dichiarato, continuando la lotta per un’altra Europa, contrastando il memorandum, rinegoziano il debito e combattendo a viso aperto la corruzione. Le condizioni di vita in Grecia sono molto pesanti, ancora più gravi dopo il ricatto dei creditori, che Tipras ha accettato per evitare la bancarotta conclamata e l’ingovernabilità del Paese, con la conseguenza certa di moltiplicare le spinte autoritarie e fascistiche. D’altra parte, il risultato elettorale, pur nella sua limpidezza, indica uno stato di disincanto e di difficoltà anche sul terreno politico: per l’elevato numero di astensioni, per la maggioranza risicata della coalizione di governo, soprattutto perché in questa nuova fase, dopo la fuoriuscita di una minoranza, non è chiara la configurazione di Syriza come partito di governo e di lotta.
Sappiamo però con certezza che se Tsipras fosse uscito sconfitto dalla prova elettorale, la discussione su una possibile alternativa sarebbe stata stroncata in Grecia e in Europa. E la prospettiva sarebbe oggi più incerta e più oscura. Quella vittoria rappresenta dunque un punto di forza per la costruzione della sinistra: di una sinistra alternativa, di lotta e di governo, con caratteristiche popolari e di massa, in Italia e in tutto il continente. Ma nello stesso tempo carica di maggiori responsabilità tutte le forze sociali e politiche che aspirano a un reale cambiamento, alla costruzione di un’altra Europa fondata sui principi di uguaglianza, di libertà e solidarietà. È del tutto evidente che la Grecia da sola non ce la può fare a cambiare l’Europa. Adesso, dopo la sua terza vittoria, Tsipras ha più forza, ma non si può trascurare che ha dovuto cedere al ricatto dei creditori perché in Europa è stato lasciato solo. Nel vuoto determinato dall’allineamento subalterno dei cosiddetti riformisti socialdemocratici alla linea della Merkel, ossia allo strapotere dei mercati, e dalla debolezza di chi a questo potere dichiara di opporsi. Mentre Renzi smonta sistematicamente i diritti del lavoro appellandosi a un blairismo retrodatato, ormai con Corbyn messo in discussione anche in Inghilterra da chi lo ha inventato e lo ha subìto.
C’è urgente bisogno di un nuovo internazionalismo, di fronte alle guerre tra poveri che si moltiplicano e alla tragedia dei migranti senza terra e senza lavoro che fuggono dalla miseria e dalla fame, cui l’Europa risponde in ordine sparso con egoismo e arroganza, alzando muri, alimentando al suo interno conflitti, nazionalismi ciechi e spinte fascistiche. L’internazionalismo del nostro tempo non può non essere una componente costitutiva della sinistra da costruire. Ma perché non resti una declamazione è necessario che cresca, in ciascun Paese, un movimento su concreti obiettivi comuni superando la frantumazione e le contrapposizioni esistenti, e che questo movimento trovi un’adeguata espressione politica. Non c’è sinistra se non si trova una nuova sintesi tra il sociale e il politico, che renda protagoniste le persone che vivono del proprio lavoro. Senza di che la sinistra non può vincere.
Da questo punto di vista non c’è dubbio che l’esperienza di Syriza, fino ai successi elettorali e alla conquista del governo, sia da considerare con grande attenzione. Tsipras ha imparato, e noi con lui dovremmo imparare, che se non stai dalla parte delle classi sfruttate e dei ceti più deboli, se non ti rivolgi a tutti quelli che dalla crisi sono colpiti, se dunque la maggioranza della popolazione non pesa politicamente, e anzi dalla politica viene respinta, non puoi contrastare il potere del capitale, rovesciare le politiche di austerità e tanto meno mettere sotto controllo i mercati. Su questa linea puoi subire una sconfitta, puoi essere costretto ad arretrare per evitare la catastrofe, ma dalla linea generale non puoi derogare.
Semplice a dirsi. Ma oggi per farlo non basta dire superiamo le divisioni, i personalismi, le ripicche e mettiamoci insieme. Serve molto di più. Devi rifondare le politica, ricostruirne il senso, rinnovarne i contenuti, i metodi e la forma organizzata, cioè il partito come strumento della politica. Di fronte a quello che è un vero e proprio passaggio storico, Syriza e Tipras ci hanno detto finora qualcosa da tenere bene a mente e, se si è capaci, da tradurre in pratica: non basta un leader, ci vuole un partito che abbia un progetto di cambiamento (il programma di Salonicco) e al contempo la capacità di dare risposte concrete ai bisogni che emergono dalla società e da questo capitalismo in crisi. La grande forza di Syriza è stata quella di vivere la crisi in mezzo al popolo, lottando per alleviarne le sofferenze nel quadro di una proposta di generale cambiamento.
Questa unità di intenti, di strategia del cambiamento e di concretezza degli obiettivi di lotta, che nell’applicazione della Costituzione trova una sintesi inedita, è il vero banco di prova su cui si misura oggi la costruzione della sinistra in Italia. «Per fare politica – annotava Togliatti nel lontanissimo 1919 – occorre avere una esatta conoscenza dei fatti storici e della realtà attuale, occorre valutarli esattamente, alla luce dei principi generali, e far concorrere conoscenza e valutazione a una concezione organica dei bisogni del momento e dell’avvenire». Oggi Tsipras dichiara che per trovare ispirazione rilegge spesso i discorsi di Berlinguer. Sarebbe auspicabile che anche in Italia chi intende costruire la sinistra si dedichi a questo utile esercizio.
 
fonte: www. paolo ciofi.it

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