Non chiamateli “separatisti curdi”, lettera aperta alla redazione del Tg La7

Non chiamateli “separatisti curdi”, lettera aperta alla redazione del Tg La7

NON CHIAMATELI “SEPARATISTI CURDI”

Lettera aperta alla redazione del Tg La7

Spett.le redazione,

da alcuni giorni noto che nel corso dei vostri tg nel riferire dell’aggressione militare e poliziesca in corso da parte della Turchia contro i militanti e i simpatizzanti del PKK di Ocalan li definite “separatisti curdi”.

La cosa stupisce perché dà l’idea che, nonostante la eroica resistenza di donne e uomini del PKK in Siria e Iraq contro i tagliagole dell’Isis, si ignorino gli obiettivi e le ragioni per cui tante persone hanno sacrificato la vita in questi mesi mentre stati della Nato o comunque alleati dell’occidente in maniera diretta e/o indiretta hanno offerto copertura ai fondamentalisti.

Non sfuggirà al direttore e alla redazione che definire “separatisti” i curdi può apparire una maniera per rende meno gravi le azioni che il governo turco sta portando avanti contro l’intero popolo curdo.

Avendo la vostra rete televisiva ampiamente raccontato l’assedio di Kobane mi stupisco che non sia giunta all’orecchio della redazione il “confederalismo democratico” che da anni costituisce il cuore della strategia di Ocalan e del PKK e anche il cuore della proposta di pace che il governo turco si ostina a non accettare. Al contrario di partiti presenti nel parlamento italiano il PKK non ha come obiettivo statutario la secessione dalla Turchia ma il riconoscimento dei diritti del popolo curdo.

La stessa esperienza di autogoverno di Kobane e del Rojava è una concretizzazione di quell’obiettivo.

Il PKK su impulso di Ocalan da anni ha rinunciato a una strategia di risoluzione della questione dell’autodeterminazione del popolo curdo fondata sul nazionalismo e quindi sulla prospettiva che i territori del Kurdistan che sono ricompresi in vari Stati-nazione esistenti o quasi (Turchia, Siria, Iraq, Iran) attraverso il separatismo vadano a costruire un’entità statale curda. Il separatismo non è la bandiera del PKK che rivendica invece la possibilità dell’autogoverno per i curdi in tutti gli stati della regione nell’ambito di un processo di democratizzazione degli stessi. Per questo i curdi alla violenza settaria, che vede contrapposti sunniti e sciti e sulla quale l’occidente e i suoi alleati nell’area gettano benzina, hanno contrapposto in Rojava un modello di convivenza fondato sulla tolleranza inter-religiosa, la democrazia e l’emancipazione da residui feudali o da modelli patriarcali.

Queste cose Ocalan le scrive da anni: “Un’infiammata del nazionalismo curdo potrebbe rendere ancor più radicali i nazionalismi persiano, arabo e turco, rendendo ancor più difficile una soluzione del problema. Si deve contrastare questo tipo di prospettiva con un model-lo di soluzione libero da aspirazioni nazionalistiche, che parta dal riconoscimento dei confini territoriali esistenti. In cambio i vari stati dovranno riconoscere per iscritto nelle rispettive costituzioni l’esistenza dei Curdi come popolo, garantendo loro i diritti legati alla cultura, alla lingua ed alla partecipazione politica. Una soluzione di questo tipo sarebbe quella più corrispondente alle realtà storiche e sociali della regione. Alla luce di tutto questo far pace coi Curdi sembra inevitabile. La guerra attuale o qualsiasi altra guerra futura non potrebbe che risolversi in una vittoria di Pirro. Si deve quindi porre ine a questa guerra, durata in troppo.(…) Alla società turca offro una soluzione semplice. Chiediamo una nazione democratica. Non siamo contrari né allo stato unitario, né alla repubblica. Accettiamo la repubblica, la sua struttura unitaria ed il laicismo, ma crediamo che debba essere ridefinita come uno stato democratico che rispetti i popoli, le culture ed i diritti. Su questa base i Curdi devono essere liberi di organizzarsi in modo tale da poter vivere la propria lingua e cultura e da potersi sviluppare economicamente ed ecologi-camente. Curdi, Turchi ed altre culture potrebbero così vivere insieme in Turchia, sotto lo stesso tetto di una nazione demo-cratica. Ciò è però possibile soltanto con una costituzione democratica ed una struttura giuridica avanzata che garantisca il rispetto delle diverse culture. La nostra idea di nazione democratica non è definita da bandiere e confini. La nostra idea di nazione democratica ab-braccia un modello fondato sulla democrazia, piuttosto che un modello basato su strutture statali ed origini etniche. La Turchia deve definire se stessa come una nazione che comprenda tutti i gruppi etnici. Un modello fondato cioè sui diritti umani, invece che sulla religione o la razza. La nostra idea di nazione democratica abbraccia tutti i gruppi etnici e tutte le culture”. Queste parole di Ocalan sono del 2008. La rete è piena di materiale accessibile in lingua italiana/ inglese/francese. E’ davvero incredibile che la cosa sfugga e che il PKK – dopo che il sacrificio delle sue combattenti è stato oggetto di corale ammirazione internazionale – venga raccontato attraverso la lente deformante della propaganda del governo nazionalista e islamista di Erdogan.

Proprio la strategia del “confederalismo democratico” ha consentito ai curdi in Turchia di costruire un nuovo partito come l’HDP che ha raccolto non sono tutte le altre minoranze ma soprattutto ha superato storiche incomprensioni con altri settori della sinistra turca favorevoli alla salvaguardia dell’unità nazionale.

Il “confederalismo democratico” è volto proprio a scompaginare le linee di separazione e contrapposizione che hanno trasformato l’intera regione del Medio Oriente nello scenario di una spirale interminabile di odio, violenza e guerra e costituisce anche un’alternativa al riprodursi di regimi autori e antidemocratici.

L’escalation terroristica in atto con attentati sanguinosissimi in Turchia contro i curdi, la ripresa degli attacchi militari e della repressione poliziesca contro il PKK rappresentano una reazione fin troppo evidente del governo turco al successo elettorale dell’HDP che ha impedito a Erdogan di avere la maggioranza assoluta e alla larga simpatia che a livello internazionale si è diffusa grazie all’eroica battaglia di Kobane.

Dopo Kobane risalta agli occhi dell’opinione pubblica come palese ingiustizia che Stati Uniti e Unione Europea, che contano tra i propri partner nella regione molti sostenitori e complici dell’Isis, continuino a mantenere il PKK nell’elenco delle organizzazioni terroristiche, come accadde anche all’African National Congress di Mandela.

Se Erdogan vuole riportare indietro le lancette dell’orologio e costringere il PKK al ritorno allo scontro armato – unilateralmente sospeso da tempo per iniziativa di Ocalan – è bene che la nostra informazione non accompagni questa escalation riproponendo rappresentazioni dei compagni curdi che da lungo tempo han perso fondamento.

Confido che la vostra redazione converrà che non è giusto e corretto affibbiare agli uomini e alle donne del PKK e al loro leader Abdullah Ocalan nel quale si riconoscono la stragrande maggioranza dei curdi, in Turchia come nell’emigrazione europea, un’intenzione separatista che non è la loro.

Cordiali saluti

Maurizio Acerbo

Segreteria nazionale

Partito della Rifondazione Comunista


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