Sulla Grecia Renzi è un irresponsabile allo sbaraglio

Sulla Grecia Renzi è un irresponsabile allo sbaraglio

di Tommaso Di Francesco

È sba­gliato pen­sare che i pro­ta­go­ni­sti dello scon­tro sulla crisi greca siano da una parte il governo di Atene e dall’altra la troika tor­nata in carica anche nomi­nal­mente, rap­pre­sen­tata da Mer­kel e Fmi. No, per­ché c’è anche il terzo «comodo» dell’Italia gover­nata da Mat­teo Renzi. Un governo che gra­zie all’esilarante lavo­rio «gior­na­li­stico» di distratti e acco­dati com­men­ta­tori (da Repub­blica al Cor­riere della Sera, pas­sando per la nuova gestione di Rainews24) è stato fatto pas­sare addi­rit­tura per «media­tore». Un’invenzione di sana pianta, resa evi­dente dalle parole del pre­si­dente del Con­si­glio alla con­fe­renza con Mer­kel. Così tutti di corsa a sco­prire quello che era già lumi­noso: che il twit­ta­tore fio­ren­tino, pre­sunto media­tore, tra via greca e via ger­ma­nica pende pro­prio per la linea dura, auto­ri­ta­ria e ricat­ta­to­ria di Angela Merkel.
In linea del resto con la social­de­mo­cra­zia euro­pea, visto che ieri Mar­tin Schulz, pre­si­dente dell’Europarlamento, ha ver­go­gno­sa­mente dichia­rato a soli due giorni dal refe­ren­dum: «Via Syriza dal governo, ser­vono i tec­no­crati». E magari tacendo una mal­ce­lata ammi­ra­zione per il pre­si­dente della Com­mis­sione Ue Jean-Claude Junc­ker che si è «demo­cra­ti­ca­mente» rivolto al popolo greco invi­tan­dolo a votare sì.
Mat­teo Renzi non ha nep­pure biso­gno delle rive­la­zioni di Wiki­leaks, com’è acca­duto in que­ste ore per la pre­mier tede­sca spiata dalla Nsa ame­ri­cana men­tre mostra crepe nelle sue con­vin­zioni sulla crisi greca.
Renzi ha solo cer­tezze: «Rispetto la deci­sione del refe­ren­dum presa dal governo greco, ma io non l’avrei fatto». Almeno è sin­cero. Ci tro­viamo di fronte all’unica deci­sione demo­cra­tica, den­tro la crisi del sistema Europa. Una deci­sione che fa parte della stra­te­gia poli­tica, oltre che del par­tito di Syriza, di un governo — entrato in carica per volontà popo­lare solo 5 mesi fa, dopo il fal­li­mento della destra — che ammi­ni­stra l’esecutivo per rispon­dere alle esi­genze popo­lari chia­mando a deci­dere i cittadini.
È sicuro che Renzi «non l’avrebbe fatto»: governa infatti senza mai essere stato eletto demo­cra­ti­ca­mente (van­tando i risul­tati delle ele­zioni euro­pee che non riguar­da­vano l’esecutivo) in virtù dello spi­rito santo che lo ha nomi­nato dall’alto: l’ex pre­si­dente della Repub­blica Gior­gio Napolitano.
Sor­pren­dente poi l’affermazione, fatta sem­pre all’ombra di Mer­kel che non sap­piamo se più arro­gante o idiota (con tutto il rispetto per la figura mito-poietica dell’idiota): «Appena avremo finito di par­lare della Gre­cia biso­gna par­lare dell’economia euro­pea». Come se la Gre­cia non fosse Europa. Come se l’esplosione della crisi greca non ren­desse evi­dente che l’Unione è ormai ridotta solo ad una moneta ammi­ni­strata dai paesi più forti.
Intanto la crisi di Atene chiama in causa subito altri Paesi pas­sati già sotto i dik­tat della troika come Por­to­gallo e Spa­gna. E immune non è l’Italia che vanta, per bocca dei colon­nelli ren­ziani, di avere fatto «riforme» sulla pelle dei lavo­ra­tori e sfotte le cosid­dette «mini­pen­sioni» gre­che: dimen­tica che anche il governo Renzi pro­pone i pre­pen­sio­na­menti e che oggi in Gre­cia, gra­zie alla cura dell’austerità della Troika accet­tata dal governo Sama­ras le pen­sioni sono state tagliate quasi della metà, come i salari: insomma sono diven­tate tutte mini­pen­sioni da fame.
Ultima, in ordine di arrivo, la tele­fo­nata di Obama (a tutti i lea­der europei).
Per l’informazione di Palazzo Chigi è stata su «Gre­cia, Libia e lotta al ter­ro­ri­smo». Le parole sono pie­tre: ecco che la crisi greca viene deru­bri­cata e inse­rita nell’agenda accanto al pros­simo inter­vento militar-navale in Libia e alla lotta allo Stato isla­mico. La verità non veli­nara è che Obama è seria­mente pre­oc­cu­pato che la Gre­cia, iso­lata a ovest, diventi un’Ucraina alla rove­scia e possa rivol­gersi alla Rus­sia e alla Cina (come ha comin­ciato a fare per ora solo eco­no­mi­ca­mente); Obama ha com­preso che anche con una depo­si­zione da Bru­xel­les di Tsi­pras (se malau­gu­ra­ta­mente vin­cesse il sì, invece della svolta epo­cale per tutta l’Europa dell’augurabile vit­to­ria del no) la crisi greca rimar­rebbe sem­pre più aperta e den­tro un pre­ci­pi­zio poli­tico e sociale.
Ter­reno fer­tile della destra estrema raz­zi­sta, non solo di Alba Dorata, e della sua ricetta iper­na­zio­na­li­sta e auto­ri­ta­ria come inse­gna il regime di Orbán in Unghe­ria, men­tre il vento delle pic­cole patrie torna a spi­rare nel Vec­chio continente.

il manifesto
03.07.2015


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